Corre l’anno sscolastico 2019/20, è l’anno del covid 19, l’anno del lockdown, della quarantena: scuole chiuse, lezioni in classe interrotte, didattica a distanza. Ma la scuola è comunità, è vita condivisa, è empatia, è “contatto”. La “scuola telematica” non può essere la stessa cosa.
Come si fa a diventare cittadini del mondo restando bloccati a casa? Ma un insegnante non può arrendersi, deve andare avanti nonostante le difficoltà, le “anomalie” del momento. Soprattutto un insegnante deve sempre trovare la strada per motivare, una strada che sia anche resilienza e, nello stesso tempo, riscatto: tutti hanno il diritto di crescere, di maturare, di diventare persone libere, vere, empatiche.
Carica di queste considerazioni mi decisi ad affrontare la situazione d’emergenza, situazione straordinaria, inimmaginabile, di una difficoltà “esagerata”, immane per il cuore e la mente. Fu così che pensai di ispirarmi a Boccaccio e al suo Decamerone per fare dei miei studenti un’allegra brigata, capace di resistere al momento davvero difficile con la forza della creatività, delle proprie emozioni. Le nozioni si possono pure dimenticare ma non si può non diventare persone capaci di muoversi da protagonisti, interagendo con la natura, gli affetti, gli uomini.
Cosa poteva esserci di più normale, quindi, che raccontare l’anormalità del momento con occhi e cuore limpidi, con una penna libera di seguire le maree dell’animo e del cuore? E allora ogni giorno un tema diverso su cui riflettere: #iorestoacasa, #lamovidasulbalcone #iorestoacasaleggere,#inonnipossonomorire, ecc….
Io leggevo tutto quello che mi veniva proposto ed ero sempre più sorpresa positivamente: i testi erano “forti”, originali, spontanei, svelavano un mondo interiore misconosciuto. Cadevano di colpo tutti i luoghi comuni, i pregiudizi sui giovani d’oggi interessati solo all’effimero, alla ricerca del piacere, della leggerezza hic et nunc.
Mi scatenavo in complimenti, forse esagerati, al punto che qualcuno tra i più impertinenti ha sospettato (Giusy Marrazzo) che fosse un effetto collaterale del virus in una positiva asintomatica. I più erano entusiasti, quasi increduli pensavano di aver scoperto una innata e sconosciuta vocazione alla scrittura.
Oggi si parla tanto di buone pratiche didattiche, di progetti su progetti dai nomi altisonanti che lasciano intravvedere miraggi di alta formazione, in realtà l’apprendimento non ha formule standard, è fatto solo di entusiasmo, di empatia, di amore per la conoscenza. Il dovere per il dovere, il dovere che non passa per la gratificazione e per il piacere non è la strada da seguire per il successo. Un cammino libero da sovrastrutture, empatico, può, invece, riservare sorprese inattese, scoprire mondi per cui basta un input per esplodere.
In un tempo di grande difficoltà, esistenziale soprattutto, quando tutto sembrava superfluo e inutile di fronte al senso del vivere, di fronte ad un nemico sconosciuto che in un attimo veniva a sconvolgere le nostre vite, la mia sfida è stata quella di tentare una “terza via” rispetto a quelle che apparivano due direzioni di comportamento, quasi standard: da un lato un apprendimento veloce e fugace di stampo utilitaristico da parte degli studenti, dall’altro la necessità, ad oltranza, di continuare a “convogliare” nella mente una serie di nozioni/verità giudicate irrinunciabili per un dignitoso progetto di vita. In questi tempi difficili le due direzioni erano, a mio parere, destinate a fallire: la prima per troppe incertezze, la seconda perchè prigioniera di troppe certezze.
Di qui la necessità di trovare una via di “salvezza” dal nichilismo e dal dogmatismo sterile per favorire una riflessione autentica sull’essere alla vita. L’unica strada percorribile era quella a favore del pensiero sull’uomo, sull’Io, sul Noi, sull’identità individuale e collettiva al di sopra di ogni muro, filo spinato o faglia ideologica.
Il tempo del covid-19 , un tempo sospeso, è stato un tempo magico per la concentrazione, ha favorito la riflessione autentica e LIBERA, la ribellione alla norma tremenda della nostra società del “vietato pensare”. Una restrizione accolta sempre di più perché rende la vita più facile e “riposante”, evita una faticosa tensione ai neuroni e la pericolosa tentazione di andare controcorrente.
I ragazzi, così, sciolti da ogni restrizione, liberi di andare, pur consapevoli che il miglioramento è sempre in fieri, hanno espresso una scrittura spontanea, creativa, a tratti poetica, riflesso dell’esperienza del sè e del mondo. Nulla di straordinariamente unico in termini di produzione testuale ma sicuramente tanto in termini valoriali.
A conclusione di questa “piccola grande” esperienza mi sento di dover ringraziare anche a nome di tutti i miei studenti MOONDO e l’opportunità unica ed “affascinante” che ci ha offerto.
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