In anni passati ho lavorato in una scuola parificata che offriva un servizio di tutoria. Funzionava così: a ciascun docente dopo preparazione apposita, – su base volontaria o indicato dai colleghi – era affidato un gruppo di studenti, di varie classi.
Il docente tutor, attraverso colloqui periodici con il Tutorato/a e con la famiglia, si informava di difficoltà, portava la riflessione su punti di forza e di debolezza, proponeva metodi, aiutava l’organizzazione, ascoltava, monitorava progressi etc.
In previsione del colloquio con le famiglie si informava presso i docenti sulle valutazioni, visionava compiti (erano tenuti in un schedario apposito e nella correzione/valutazione si teneva conto di questo aspetto) delineava un quadro globale di cui poi discuteva con la famiglia.
Era un’offerta formativa individualizzata che funzionava. Era anzi proprio il centro del progetto educativo – avanzato – di quella scuola.
Veniva retribuito con una certa somma per ogni alunno/a tutorata. Una somma consistente: teoricamente si poteva mettere insieme un secondo stipendio con la tutoria.
Avendo ricevuto formazione in tal senso, ed essendo convinta del beneficio di questa offerta formativa, volevo fare domanda per ricoprire questo ruolo da poco introdotto dal ministero, anche a sostegno delle azioni contro la dispersione del PNRR
Ma:
Ma scusa, in quell’altra scuola lo facevi! Vero. C’era la sala pranzo, se ti fermavi fino al pomeriggio; tavolo colazione e caffè sempre fornito; salottini per i colloqui, biblioteca, spazi personali ampi, scarsa o nulla burocrazia; c’era il tempo pieno per gli studenti, con tempi lunghi per lo studio autonomo pomeridiano. Si stava a scuola con piacere, senza che ogni passo dell’alunno richiedesse controllo e sorveglianza e senza che ogni azione del docente fosse regolamentata da circolari.
Più in generale, sono stanca di questa asimmetria: quando chiede, lo stato usa un metro (non ti pago come una professionista, non ti tratto come una professionista, mi aspetto che mangi un panino in piedi, che non abbia una scrivania o uno scaffale, che fai come dico io); quando si giudica il lavoro fatto, si pretende uno standard ultra professionale.
Un discorso come la tutoria ha bisogno di un ambiente, di un contorno. Richiede relazione, sentirsi liberi, essere a proprio agio, respirare fiducia. Non può resistere al clima burocratico. Non è cosa di carte e di verbali…
Più professionalità si chiede, più autonomia si deve concedere, più fiducia si deve far sentire. E nella scuola siamo all’anno zero in tutto questo.
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