Il piacere dei sensi

Duplicità dell’immagine e della parola

Il doppio, si è visto, s’addice all’enigma, ma non ad altri generi della cosiddetta “enigmistica” che usa essere, ahimè, apparentata a essa.

È evidente, infatti, la sostanziale differenza tra la scrittura a enigmi e, per esempio, la realizzazione di giochi che utilizzano una rappresentazione figurata; è così anche quando ci si riferisca all’attuale categoria dei cosiddetti “rebus”, per i quali non c’è da parlare di una scrittura enigmatica, bensì di una scrittura criptica.

Deve infatti notarsi che, mentre nell’enigmistica della parola, quella cui è capitato di accennare, possono coesistere due livelli di lettura omogenei, con una compiuta doppia isotopia semantica – anche a prescindere dall’intento ludico – nell’enigmistica dell’immagine i due livelli di lettura non sono sullo stesso piano, evidenziandosi il secondo soltanto con la spiegazione del quesito proposto e, la maggior parte delle volte, attraverso l’integrazione dell’immagine con elementi letterali.

Il “gioco illustrato” difetta del doppio, contemporaneo e omogeneo livello di lettura. Anche quando si tratti di “un illustrato” privo di lettere aggiunte, la sua interpretazione (frase risolutiva) non può rappresentare il doppio livello di significazione del “testo” iniziale, poiché essa si realizza con mezzi differenti: il supporto della figura viene abbandonato per cedere il posto alla scrittura della frase risolvente. In questo caso, peraltro, la proposta grafica appare soltanto come gratuitamente sostitutiva (o alternativa) dell’esposto letterale di una “crittografia mnemonica”. Ad esempio, può pensarsi alla riproduzione del Colosseo che può dar luogo alla “soluzione”: costruzione del periodo latino.

La sostituzione di “linguaggio” dunque, che si verifica nell’enigmistica dell’immagine, non può in nessun modo trovare affinità con quanto avviene con l’enigmistica della parola: la prima, in termini di “enigma”, determina un ibrido.

È una considerazione cui potrebbe tornare adatta anche la distinzione “enigmistica dell’occhio” ed “enigmistica dell’orecchio”; per la prima “vedere” è necessario, per la seconda non è indispensabile, poiché l’ascolto del componimento a doppio significato può essere sufficiente per offrire la sovrapposizione dei sensi.

Questo “piacere dei sensi”, tutto legato al gusto della parola, dei suoi molteplici significati e perciò letterariamente sorprendente, viene meno nel rebus, dove la sorpresa è riservata all’equazione

[IMMAGINE + GRAFEMI] → frase risolutiva

La scrittura per immagini è, in effetti, una forma di trascrizione e comprende necessariamente il passaggio intermedio che esplicita la chiave:

[IMMAGINE + GRAFEMI] → chiave risolutiva → frase risolutiva

e il passaggio è presente anche nel caso di assenza di grafemi

[IMMAGINE + CHIAVE] (1° lettura) → FRASE RISOLUTIVA (2° lettura).

Questo “terzo incomodo” intralcia decisamente la possibilità di apparentare il rebus all’enigmistica della parola; esso, inoltre, determina la caratteristica di tipo esclusivamente propositivo del componimento illustrato, ch’è la sua unica utilizzazione in termini di quiz o di scrittura cifrata.

È interessante, ancora a proposito della duplicità dell’immagine, un riferimento a Raymond Roussel, più specificamente a una serie di illustrazioni realizzate da Henri-Achille Zo per le Novelles Impression d’Afrique e costituite da 59 immagini doppie congiunte ad altrettanti frasi omofonicamente doppie, un’olorima in prosa che si sviluppa su brevi didascalie riferentisi a scene doppie, le quali, a seconda dell’angolo visuale, lasciano individuare due differenti immagini: una sorta di caleidoscopio elementare.

Un esempio di effettiva e totale coesistenza di due livelli di lettura in una stessa immagine è, invece, fornito dal notissimo quadro di W.E. Hill, Mia moglie e mia suocera, nel quale è possibile individuare quasi contemporaneamente i profili di entrambe le donne, profili delineati mediante i medesimi tratti: un fenomeno visivo-concettuale molto vicino agli obiettivi di Maurits Cornelis Escher teso a superare l’affascinante difficoltà legata al fatto di dover distinguere e rappresentare due soggetti contemporaneamente.

              

Sono tante le procedure e le costrizioni cui l’ispirazione di un testo letterario (ma deve davvero ancora parlarsi d’ispirazione?) abitualmente si adatta; non è perciò da escludersi una restrizione che investa il significato e non altri aspetti.

È una regola, quella dell’enigmistica della parola, che addirittura può riuscire “utile” nel senso calviniano: Italo Calvino, in una delle sue lezioni americane (Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti, Milano, 1988.), l’ultima, quella sulla “molteplicità”, accennava, infatti, al «miracolo di una poetica, apparentemente artificiosa e meccanica, che tuttavia può dare come risultato una libertà ed una ricchezza inventiva inesauribile», insistendo sul concetto che l’adozione di regole fisse non soffoca la libertà, bensì la stimola.

Forse ciò che “guasta” alla scrittura enigmistica è l’ordinario intento ludico: il fatto che essa possa riguardarsi come una domanda cui deve essere data risposta.

Il gioco, è vero, è una cosa  seria – diceva Huizinga (Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino, 1973) – ma la serietà non implica naturalmente la letterarietà. Nel caso in esame la posizione  della domanda predomina fortemente e distrae l’attenzione.

È possibile, però, prescindere dalla connotazione ludica dell’enigma; non più come quesito da risolvere, ma come discorso enigmatico a doppia significazione. Potrebbe allora sostenersi che l’enigmografo conosce talmente bene la tecnica del parlar doppio da “pensare” in quei termini; il suo testo, allora, discenderebbe direttamente da un linguaggio perfettamente assimilato, tanto da potersi considerare connaturato e originale.

Perciò, pur nella convinzione che non debba risultare spregiativo attribuire all’attività enigmistica la categoria del gioco, se ne può tentare una forte rivalutazione, assimilandone i codici a quelli di una qualsiasi restrizione letteraria.

*** Il rebus riportato in alto, con l’ausilio del diagramma numerico (2, 13, 7, 2, 4, 5, 9), si spiega così: lastra ordina RI a M E mori, adipi C, ode LL A mirando LA = la straordinaria memoria di Pico della Mirandola.

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Raffaele Aragona

Raffaele Aragona (Napoli), ingegnere, ha insegnato Tecnica delle Costruzioni all’Università di Napoli “Federico II”. Giornalista pubblicista, ideatore e promotore dei convegni di caprienigma, è tra i fondatori dell’Oplepo. Per la “Biblioteca Oplepiana” ha scritto La viola del bardo. Piccolo omonimario illustrato (1994) e molti altri lavori in forma collettanea. Autore di Una voce poco fa. Repertorio di vocaboli omonimi della lingua italiana (Zanichelli, 1994), ha curato per le Edizioni Scientifiche Italiane, i volumi: Enigmatica. Per una poietica ludica (1996), Le vertigini del labirinto (2000), La regola è questa (2002), Sillabe di Sibilla (2004), Il doppio (2006), Illusione e seduzione (2010), L’invenzione e la regola (2012). Sono anche a sua cura: Antichi indovinelli napoletani (Tommaso Marotta, 1991, ried. Marotta & Cafiero, 1994), Capri à contrainte (La Conchiglia, 2000), Napoli potenziale (Dante & Descartes, 2007) e il volume Italo Calvino. Percorsi potenziali (Manni, 2008). Ha pubblicato il volumetto Pizza nella collana “Petit Précis de gastronomie italienne” (Éditions du Pétrin, Paris, 2017). È autore di due volumi per le edizioni in riga (2019): Enigmi e dintorni e Sapori della mente. Dizionario di Gastronomia Potenziale. Il suo Oplepiana. Dizionario di letteratura potenziale è pubblicato da Zanichelli (2002).

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