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Elezioni a Roma, può nascere da qui la Grande Riforma?

Domani il voto amministrativo in alcune grandi città e in una Regione, la Calabria, indicheranno lo stato di salute reale dei leader che si dichiarano rappresentanti di partiti e movimenti in quella sorta di tri-populismo italiano nato dal fallimento del bipolarismo.

Il voto nella Capitale, poi, oltre che lo stato di salute politica di Letta, Conte, Meloni e Salvini aprirà – come spero scopriremo assieme- uno sguardo sul possibile futuro del governo; questione questa essenziale per l’Italia, e si capisce, ma anche per l’Europa e per la NATO.

Poiché, come spesso succede nel Bel Paese, tendiamo più che studiare gli avvenimenti degli altri stati, come è giusto, strumentalizzare gli altrui risultati, magari senza averne studiato a fondo i meccanismi che li hanno generati; è sorta una letteratura, davvero poco sofisticata, che ha deciso di valutare il risultato delle elezioni della scorsa domenica come la rinascita del concetto d’antan di “partito” ed inoltre la vittoria relativa della socialdemocrazia tedesca come dimostrazione della fine dei tempi cupi di quella a/e parti politiche che si considerano più o meno assimilabili alla SPD.

Ci vuole qualche sforzo per paragonare il partito di Letta e Bettini all’SPD, giacché se è vero che dopo non facili trattative con la componente ex popolare europea, che del PD è parte fondante ed essenziale, i parlamentari che a quella lista fanno riferimento partecipano attivamente al gruppo europeo in cui confluiscono socialisti, socialdemocratici, laburisti, è altresì vero che il PD – grazie allo strenuo impegno dei miglioristi e riformisti e l’assenso determinante del PSI guidato da Bettino Craxi- per portare nell’Internazionale Socialista, quel che restava del PCI dopo la Caporetto del 1989, non ha voluto mantenere la sua partecipazione alla massima organizzazione del socialismo mondiale, dove, come italiani, siedono soltanto i rappresentanti del PSI.

In verità le elezioni tedesche hanno dimostrato che:

a) la fine del bipartitismo tra le due componenti storiche della politica tedesca , popolari e socialdemocratici;

b) la nascita, tramite un piccolo premio in percentuale e seggi,  alla SPD ed una sonora bocciatura della CDU/CSU di nuove politiche che mantenendo la forma “partito”, per non disperdere un valore essenziale della democrazia rappresentativa,  aprono in qualche modo- che probabilmente si accentuerà nel futuro sul sistema istituzionale- ai contenuti delle nuove richieste di democrazia partecipativa che provengono dalle nuove generazioni, specialmente sul clima e sulle libertà individuali.

Poiché le idee vanno supportate dai fatti è bene ricordare che finita l’epoca nella quale i due grandi poli si dividevano l’80 e passa per cento dei consensi, riducendosi al 50%, liberali e verdi hanno capitalizzato un voto nettamente superiore di elettori sotto i 25 anni sia in percentuale che in voti reali.

Gli under 25 che hanno votato SPD e CDU sono stati rispettivamente il 15 ed il 10%. Questi partiti hanno stravinto tra gli over 70, 38% i popolari, 35% i socialdemocratici. Verdi e liberali, invece hanno rispettivamente conquistato il 23 ed il 21%, realizzando una specie di dualismo moderno, nonostante sino a poco tempo fa i liberali non fossero associati a quell’elettorato giovanile che oramai viene semplicisticamente definito come i ragazzi del Fridays for Future.

Aprendosi sul programma e le possibilità concrete di realizzarlo, con un consenso già pragmaticamente annunciato nelle trattative, per ora, tra i due partiti minori della futura coalizione, i socialdemocratici si affrettano, a differenza del PD, a cercare, con la fine dell’era Merkel, un nuovo equilibrio sociopolitico sicuramente interno alla Germania e più difficoltosamente nelle relazioni europee.

Non, come vagheggia qualcuno, temendolo, per un ritorno alla politica di severa austerità specialmente punitiva nei confronti del valore da assegnare al debito pubblico dei singoli paesi, quanto per gli impegni che la Germania stenta ad assumersi nella accelerazione dell’Unione politica e di Difesa delle istituzioni europee.

Per il nuovo equilibrio, la SPD deve quindi, come ha annunciato il candidato cancelliere Olaf Scholz, continuare e rafforzare l’attenzione governativa per il futuro, zukunftsorietiert, non, come Angela Merkel, per risolvere, in modo preponderante, le crisi del presente.

Esattamente il contrario di quanto avviene in Italia dove il PD marcia compatto nella conservazione di un patto di potere con uno dei poli populisti, il Movimento 5 Stelle (come a suo tempo tentò Massimo D’Alema con la Lega bossiana definita “costola della sinistra”), agevolando piuttosto che lo sviluppo di novità la continua erosione di quella che Sabino Cassese ha definito la epistocrazia , dal greco “episteme”, termine col quale Platone definiva il sapere certo, obiettivo, contrapposto alla chiacchiera, all’opinione vaga, all’empiria pasticciona.

Roma è l’emblema del disastro provocato dai tre populismi, quello della destra che ha governato a Roma e nel Lazio; quello comunista, poi ex e post, divenuto catto-comunista; quello giallo pentastellato.

Con differenze, si capisce: dove la mettiamo la cultura politica di quella sinistra falsamente etica e sostanzialmente moralista che divide il ben fatto dal non fatto sulla base non dei risultati conseguiti ma dal timbro- impresso dai sacerdoti meta media-politici- di “buono” contrapposto a “cattivo”, quindi mal fatto da tutti, diconsi tutti, gli avversari politici esterni ed interni al partito?

Le esemplificazioni sono tante ma, anche se la generosità di spazio concessa dal direttore di Moondo è prodiga, mi limito a segnalare le disavventure dell’ex sindaco Marino che, non so se per ingenuità o sopravvalutazione delle sue forze, pensò di scardinare i poteri delle potenti corporazioni che hanno sinora bloccato la realizzazione delle radicali e necessarie scelte di governo cittadino.

In fin dei conti che bisogno c’è di epistocrazia quando ambulanti e municipalizzate, costruttori e commercianti, tassisti e un esercito di sessantamila dipendenti soltanto comunali, sono in grado di determinare di volta in volta il successo o la sconfitta elettorale sulla base di interessi singoli difesi da nuclei familiari agguerriti e da sindacati vari?

Il fatto è che la realtà, granitica nella forma, diviene sottile sabbia facilmente dispersa al vento se non è capace di essere al passo coi tempi.

Ed i tempi son mutati; vuoi per le trasformazioni enormi imposte dal Covid -19, vuoi per la imperiosa necessità di “sospendere” il teatro della politica (celebre massima di Berlusconi che promise la fine del “teatrino” e divenne celebrato regista “stabile” sul palcoscenico italiano) al fine di ridare fiato ad una economia giunta al limite della sopravvivenza. I cittadini hanno trovato, o pensano di aver trovato, nel pragmatismo risolutivo di Draghi un esempio di praticabili e redditizie virtù.

Non per caso, inascoltate cassandre, quasi tutti i politologi studiano allarmati la fine ingloriosa dei partiti oligarchici e suggeriscono di volta in volta soluzioni che, senza una coraggiosa e condivisa modifica costituzionale, possono garantire soltanto momenti di tregua.

Il che non è una bella prospettiva, perché la attuale complessità dei fenomeni sociali ed economici spinge i cittadini a nuotare verso la riva dove li attende una sorta di paternalismo efficace, dall’aspetto libertario, ma alla fine (copyright della socio economista di Harvard, Shoshana Zuboff) regna sul Capitalismo della Sorveglianza il metodo coinvolgente di quella che è definita la Nudge Theory, con la quale i gruppi dirigenti- non obbligatoriamente segreti ed oscuri- sapendo unificare i comportamenti diversi attraverso scelte innocue (cioè non nocive) o contradditorie con l’interesse generale  restringono, con la accettazione dei diretti interessati, libertà individuali in vista di vantaggi sia collettivi che personali.

Il nudge diventa così una spinta gentile e sornionamente efficace che governa con poteri formalmente ma non sostanzialmente costituzionali. Da “Whatever it takes”(finché è necessario) a “Whatever it works” (finché funziona). Di Mario Draghi chi scrive ha grande stima, ma teme molto chi potrebbe succedergli; perciò, si preoccupa che le scelte di domani siano utili per un futuro non soltanto presente ma adeguate ai tempi che verranno.

Ecco che elezioni romane possono essere assai utili a definire il panorama delle iniziative future.

Soltanto Carlo Calenda ha scelto di presentarsi senza liste collegate. Non è un dettaglio, una marginale opzione di metodo.

È la presa di coscienza che la democrazia rappresentativa deve trovare l’ossigeno necessario per dare stabilità al respiro, ossigenazione al sangue, vitalità al cuore delle istituzioni attraverso strumenti differenti dai defunti partiti, già culla della rappresentatività, del dibattito, della partecipazione, con strumenti partecipativi trasparenti ed efficaci, partendo- in questo caso- da una lista civica il cui leader , aiutato da circa cinquecento esperti, presentando un dettagliato programma con un anno di lavoro su tutto il territorio della Capitale ( il più vasto di tutta l’Europa continentale) dimostrasse che è possibile il buon governo e l’epistocrazia. Vedremo se il lavoro vero, scevro dagli interessi burocratico-affaristi del sistema corporativo porterà Calenda al ballottaggio.

Se così fosse i patti di potere PD-5Stelle si dissolverebbero in un baleno e si potrebbe sviluppare una inedita stagione di riforme degna di un paese che sa di poter trovare al suo interno forze sinora tenute in disparte in nome di una demagogia critica nella forma e sostanzialmente conservatrice.

In realtà il grande timore degli attuali “autisti” del mezzo pubblico, che deve trasportare gli italiani dalla crisi alla compartecipazione piena dello sviluppo, non è soltanto quella di far rispettare il contenuto del noto cartello: “vietato parlare al conducente”, è anche quella di mantenere intatto il sistema di acquisizione e manutenzione dei mezzi sui quali governano e un successo elettorale di Calenda, a due cifre, costringerebbe comunque i diversi conservatori socialpopulisti a doversi misurare con il servizio della politica come gestione competente degli interessi collettivi , come valore insostituibile dell’equilibrio pacificatore di interessi diversi, fors’anche contrapposti, gestibili con maggioranze possibilmente ed esplicitamente alternative.

Insomma, comunque nascerebbe un nuova forza aggregatrice dove trovano spazio, in nome della libertà politica generata dal dubbio, storie, culture diverse socialiste e liberali, azioniste, repubblicane, democratiche.

Per Gualtieri, ottima persona e buon docente, il risultato accettabile è uno solo, vincere o trascinare con sé chi gli ha sostanzialmente tolto la parola durante la campagna elettorale basata esclusivamente dai vertici del suo partito contro l’innovativo Calenda.

Per gli elettori di Calenda le opzioni vincenti sono due, una per restituire Roma al rango che merita ed entrambe portano alla formazione di uno schieramento operativo per la realizzazione della Grande Riforma.

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Giuseppe Scanni

Giornalista e saggista.

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Tag: Calenda

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