Pur non avendo mai fatto parte dei due “opifici”, l’Oulipo francese e l’Oplepo italiano, Paolo Fabbri (il semiologo scomparso lo scorso 2 giugno) in più occasioni dedicò attenzione alla letteratura potenziale: a chi scrive piace tra queste ricordare quella di un incontro (1993) con alcuni soci dei due gruppi, a Parigi, nel “suo” Istituto Italiano di Cultura di rue de Varenne. Fu in quell’occasione che raccontò del suo forte interesse per alcuni scritti di Italo Calvino lasciando trasparire, tra l’altro, il merito di aver ispirato Calvino per quella che era l’idea alla base del Castello dei destini incrociati: narrare storie attraverso le figure dei tarocchi. L’applicazione della combinatoria alla letteratura incontrava in quel caso il brillante uso delle carte che la rappresentano pienamente. Il Castello è del 1973 e quindi pressoché contemporaneo all’ingresso di Calvino nell’Oulipo. Da allora Fabbri ha sempre seguìto con cura le performance di Calvino cogliendone tratti molto interessanti dal proprio punto di vista di analisi semiotica del linguaggio, specie con riferimento ad altre operazioni “oulipistiche” dello scrittore: darsi una regola narrativa interna e quindi seguirla in tutto e per tutto. Ne è prova la contrainte di posizione, la regola originale che sta alla base del Barone rampante e per la quale il protagonista si trova a non dover mai scendere dagli alberi; Fabbri ne scrisse in modo approfondito in quella che era la sua specifica chiave di lettura, ma anche in modo più accessibile, come fece in un convegno caprese sull’omonimia lessicale.
In quell’occasione il semiologo ebbe a ricordare il capitolo dei pirati nel quale l’eroe (Cosimo) salta su una nave e di là ne uccide alcuni e poi, dopo aver girato un po’ per il mare, ritorna a terra e si ritrova su un albero, un albero naturale, mentre prima egli era saltato sull’albero della navicella. «La cosa interessante di questo salto ‒ diceva Fabbri ‒ è che esso è il “salto” tra una parola e l’altra, cioè il gioco di Calvino è di inventarsi e di trovargli una spiegazione, anche se sa che ci sono delle differenze». Infatti, Calvino, poiché era un buon linguista, non aveva mancato di dire «… si domandava (Cosimo) se non avesse derogato alle sue leggi interiori saltando da un albero con radici a un albero di nave, senza radici». E, poiché si era in un convegno sull’omonimia, Fabbri precisava che tra i due alberi non c’era omonimia, ma soltanto un’espansione semantica, e faceva pure notare che nella traduzione francese del libro la questione non si poneva affatto, poiché l’albero della nave era mât, A guardare bene, però, nei vocabolari dell’antico francese, si sarebbe potuto scoprire che anche quell’albero si diceva arbre. Il discorso, poi, continuava su aspetti fortemente semiotici.
Un’altra occasione dell’interesse mostrato dal semiologo per le cose dell’Oulipo fu l’analisi che volle condurre su di un breve testo di Calvino scritto per celebrare Raymond Queneau, fondatore dell’Oulipo e autore del Fiori blu. Le sue considerazioni appassionarono l’uditorio, ma rimasero, purtroppo, senza una dovuta trascrizione, anche a causa dell’incorreggibile agrafia dell’autore, contrapposta a quella che era la sua sempre fluida e partecipata oratoria. In mancanza dell’analisi “destrutturante” di Paolo Fabbri, non si può far altro che riportare il testo delle sue Aiuole per Queneau. Si tratta di otto versi nei quali il lipogramma, la voluta assenza di una o più lettere (nel caso in questione si tratta di vocali) fa da protagonista in varie vesti. «Lipogrammi vocalici successivi» potrebbe essere il nome di questa struttura; verso per verso, una a una, le vocali scompaiono e ricompaiono nell’ordine. Questo per la prima parte, perché negli ultimi versi Calvino cambia gioco: prima indugia ripetendo due volte ciascuna vocale, poi conclude con tre versi monovocalici tutti in e (forse, un piccolo omaggio a Georges Perec che di lipogrammi se ne intendeva…
Aiuole obliate gialle d’erba, sa
un cupo brusìo smuovervi, allusione
ad altre estati, cetonia blu-violetta,
enunciando noumeni oscuri: tutto fu,
sarà ed è in circolo: dunque è sempre
presente nelle eterne senescenze
e effervescenze d’ere, nel serpente
d’etere, seme, cenere, erbe secche.
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