La querelle FCA-Renault si trascina ormai da qualche settimana e non sembra ancora chiusa del tutto anzi, il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire riapre uno spiraglio al progetto di fusione. Bene dirà qualcuno! Male dico io.
Che c’è di male in una trattativa che si riapre e che potrebbe vedere l’azienda italo-americana FCA (ma controllata da Exor, la holding della famiglia Agnelli) acquisire Renault con una operazione da 35 miliardi di euro (che porterebbe alla nascita del terzo gruppo automobilistico mondiale dopo Volkswagen e Toyota)? Nulla dal punto di vista economico-finanziario, tutto dal punto di vista politico-economico.
Così come ben spiegato da Marcello Inghilesi nel suo articolo su questo giornale (FCA ritira l’offerta di fusione con Renault. Ma perché?) lo stato francese detiene il 15% di Renault (azionista di riferimento), mentre la famiglia Agnelli ha il 29% di FCA (nella fusione i due maggiori azionisti avrebbero dimezzato le loro quote 7,5% lo Stato francese e il 14,5% la famiglia Agnelli). Ci troviamo cioè di fronte ad una trattativa che vede da una parte un privato e dall’altra uno Stato sovrano: pensare che i pesi e le forze in campo siano equiparabili è pura follia.
Scrive Inghilesi: “Forse si erano illusi che i patti europei di non interferenza della politica e dei governi sul libero mercato dell’Unione fosse una realtà. Ingenui! Lo Stato francese “partecipa” nell’economia del Paese ed esercita, anche con vistosa prepotenza, questo suo potere (già le imprese italiane ne ebbero la prova con la trattativa per i cantieri di Saint Nazaire)”.
Ma ricostruiamo con qualche numero quello che è successo negli ultimi 20 anni tra acquisizioni e fusioni tra Francia ed Italia, in questo ci è utile l’articolo “Shopping francese in Italia: rilevate 364 aziende” (Truenumbers). Stando a quanto ricostruito dal sito di data journalism lo shopping francese in Italia conta 364 aziende acquisite, mentre accade il contrario solo per 231 aziende francesi che finiscono in mani italiane. Ma è il controvalore delle operazioni a dover spingere ad una ulteriore riflessione: 73 miliardi di acquisizioni francesi contro 41 italiani. Insomma abbiamo venduto e ci siamo (si sono) arricchiti.
Bene! Male dico ancora io. Perchè se togliamo dallo shopping italiano in Francia i 25,6 miliardi dell’operazione Luxottica-Essilor restano poco più di 15 miliardi di acquisizioni italiane in Francia. E cosa succede nel momento in cui si tenta di procedere con una maxiacquisizione? Arriva lo Stato Francese a trattare…
Quella tra FCA e Renault non è infatti l’unica operazione italiana stoppata con l’intromissione del Governo d’oltralpe, mesi addietro non è andata a buon fine nemmeno la vendita del 66,66% dei cantieri navali Stx France di Saint-Nazaire a Fincantieri (proposta lanciata nel 2017, ancora in stand-by).
Insomma da una parte ci troviamo uno Stato che detiene ancora importanti asset in imprese di carattere nazionale e che persegue una chiara politica industriale. Dall’altra grandi aziende private che operano nel libero mercato, con sede in un paese, l’Italia, che sembra aver abdicato da anni alla definizione di linee di politica industriale, tanto da pensare che si possa crescere e sviluppare anche in sua assenza. Salvo poi ricorrere, per contrastare la crescente disoccupazione e l’aumento della povertà, a misure socio-economiche dagli effetti risibili, come il reddito di cittadinanza.
Tanto per concludere il discorso e fornire ulteriori argomenti di riflessione occorre sapere che dall’ultima seduta di Borsa (precedente l’ufficializzazione della proposta di fusione FCA-Renault) la casa automobilistica francese capitalizzava 14,7 miliardi di euro. Il lunedì successivo le quotazioni di Renault sono schizzate a 16,5 miliardi, dopo il fallimento della trattativa piccoli ribassi, ma oggi le azioni Renault si sono riportate a ridosso di quei 16,5 miliardi.
A conti fatti, per i soci di Renault, il guadagno potenziale si attesta oggi sopra 1,8 miliardi. Ma chi è il principale socio Renault? Au revoir et bonne chance!
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