“Non ho una memoria fatta di ricordi personali. È semplicemente più naturale per me averne una mia, ispirata alla memoria di vite ed eventi che non sono mai esistiti, ma che l’esistenza
richiama, di cui si nutre. Ho inventato tutto… Ho inventato la mia giovinezza, la mia famiglia, le relazioni con le relazioni con le donne e con la vita. Ho sempre inventato. L’irreprimibile urgenza d’inventare è data dal fatto che non voglio niente di autobiografico nei miei film…Così sono tutto e niente. Sono ciò che invento”.
Federico Fellini, Sono un gran bugiardo
Un libro stupendo questo di Italo Moscati “Federico Fellini cent’anni: film, amori, marmi”, Castelvecchi Editore, in cui si è magicamente conquistati e sedotti dalla scrittura empatica di uno dei nostri maggiori critici e studiosi di Cinema, che, come pochi, riesce a ricostruire e reinventare l’universo felliniano. Definito in vario modo visionario, narciso, malinconico, ambiguo, avido di vita vera e di corpi, Federico Fellini, fu un genio sempre pronto a nutrirsi di emozioni e di giochi, mai stanco di partorire idee, storie, suggestioni, immagini, caratteri. Nell’avvicinarsi dell’anniversario del Centenario della nascita (20 gennaio 2020) un dato forse più di altri ha caratterizzato più e meglio tutta la sua esistenza – da quando, ragazzino cresciuto a Rimini tra mare e cinema, spiava le donne prosperose, fino al momento in cui, da adulto, conquistò Roma e la fama eterna con i suoi film -: l’attaccamento viscerale alle sue creature, reali e immaginarie, tutte presenti sullo schermo, nei suoi lavori e dentro di lui.
Lo spiega bene Italo Moscati, “Senza forse, basandosi sulle sue parole, si può arrivare a dire che Fellini diventò regista per corteggiare e possedere i volti, le facce; e naturalmente i corpi. Li ha così amati da non volerli abbandonare e da affidare loro il compito di essere i suoi testimoni”, scrive l’Autore, che in questo libro permette al lettore di immergersi letteralmente in tutto il mondo felliniano, dai sogni ai film alla vita vissuta intensamente fino alla fine.
Il racconto di Italo Moscati, intimo e al tempo stesso di ampio respiro, svela con grandissima maestria i tanti volti di Fellini, narrandone il talento inesausto e multiforme, mentre appare sullo sfondo anche il ritratto dell’Italia: in tanti, brevi capitoli, ecco la famiglia, la vita di provincia nella sua Rimini e la scoperta entusiasmante di Roma, città dove rendere concrete le fantasie che affollavano la sua mente. E poi l’ambiente del cinema e i grandi personaggi, da De Sica a Zavattini, i produttori e i politici, Cinecittà che diventa una seconda casa (e poi, dopo la morte di Fellini, un luogo dove celebrarlo in eterno). Seguendo passo passo i film – da La Dolce Vita a Otto e 1/2, da Amarcord ai Vitelloni, e tutti gli altri – il libro mostra come tutto nel percorso felliniano a cavallo del ‘900 sembri una giostra, o una festa, anche se non sempre allegra, in un turbinio di progetti, volti, personaggi che vedono al centro il regista e la sua inesauribile voglia di fare e soprattutto di raccontare noi italiani, tra tabù e cronaca, deliri, satira e fantasia.
Non mancano in questa grande storia ovviamente gli amori ma più in generale il rapporto stesso di Fellini con le donne, in primis quello vissuto con la donna che gli ha rubato l’anima, e con cui lui ha condiviso tutto, fino alla morte: Giulietta Masina, conosciuta in radio, nel 1941, lui 21 anni, lei 20, corteggiata in un primo appuntamento a cena, in un ristorante del centro, e stretta in un patto d’amore che li avrebbe tenuti fianco a fianco per 50 anni.
È un amore carico di equivoci quello che circonda il grande regista, nella vita privata e nell’arte: Fellini incontra, assorbe e sfida i piani alti della storia del cinema, dove abita Chaplin (che Fellini aveva amato e poi detestato), dove vive il maestro Rossellini, e dove entrò Pasolini, amico-nemico di Fellini, personalità con cui confrontarsi e rivale. Italo Moscati si inoltra in un racconto che comprende le luci e le ombre che hanno avvolto il celebre regista: i rapporti con la famiglia, la sua Rimini, poi Roma, l’ambiente cinematografico, la giostra dei produttori e dei politici. Una “festa” spettacolare che si è estinta con La dolce vita e con 8 ½: due marmi che hanno accompagnato il fellinismo in un poetico, esausto, corteo funebre dal sapore di un’unica commedia italiana.
E se mai fosse possibile, quale il bilancio della sua vita? Scrive Moscati: “La vita di Federico è stata dolce e amara come molte vite al mondo. Insieme a Giulietta-Gelsomina, all’alter ego Marcello, a Anita, la Silvia della Fontana di Trevi, e a tanti altri. Persone. Felici e nello stesso tempo deluse per non aver lavorato abbastanza con Federico. Spettatori. Una folla. Che cercava i suoi film e li cerca ancora. Mi piace immaginare che Fellini stia disegnando facce e sagome, come gli piaceva fare”.
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