Per 9 anni ho vissuto e respirato le gioie, le risate, i pianti di una grande famiglia che è il Festival di Sanremo.
Allora il voto che decideva la vittoria era diviso tra quello degli esperti e quello della giuria popolare dislocata in varie sedi Italiane.
Erano gli anni delle satire di Beppe Grillo, dei Pippo Baudo e di quei favolosi anni ‘70 dei grandi della musica italiana come Lucio Battisti, Rino Gaetano, Anna Oxa, Matia Bazar, Zucchero, Toto Cotugno, Umberto Tozzi, Al Bano e Romina, Lucio Dalla, i Nomadi e molte altre glorie della musica.
Ricordo ancora un Beppe Carletti dei Nomadi che rincuora un piangente Augusto Daolio che aveva sbagliato le parole della canzone.
Per gli artisti, come ora, la sola partecipazione al Festival significava lavoro di concerti tutto l’anno e quindi la sopravvivenza.
Ho vissuto quei nove anni di Festival prima come ufficio stampa e PR della EMI Italiana e poi come capo del repertorio internazionale che mi vedeva decidere la pubblicazione in Italia degli artisti stranieri delle etichette della EMI nel mondo, i loro concerti, le loro apparizioni TV e le partecipazioni radiofoniche.
Per un ragazzo come me di 25 anni il Festival significava appartenere a quel gruppo di privilegiati che, con il PASS bene in vista, poteva entrare nei camerini, salutare gli artisti, assistere alle prove, vivere tutti i giorni del Festival anche dietro le quinte e condividere le paure degli artisti, le battute per farsi coraggio, gli abbracci, e un’esplosione di sentimenti che, non essendoci ancora il telefonino, venivano scaricati sui telefoni a gettoni alle mamme e ai parenti dall’altra parte del filo.
Nascevano brevi amori, venivano organizzati scherzi nelle camere degli alberghi, il tutto condito con una grande amicizia tra i discografici, i produttori degli artisti, gli accompagnatori, i parolieri e i direttori d’orchestra. Una grande famiglia in movimento che si riuniva ogni anno per una settimana tra prove e serate ufficiali e che, alla fine del festival la domenica, se ne ritornava sempre triste alla vita di tutti i giorni.
Giornate piene di allegria, di viaggi all’aeroporto di Nizza per prendere gli artisti internazionali, di corse tra gli alberghi e il Casino prima e al teatro Ariston poi, per prendere oggetti dimenticati negli alberghi, lettere e messaggi compromettenti dimenticati che, in mano alla stampa, avrebbero potuto essere amplificati sui media. Volavano i pettegolezzi, le dicerie, le piccole incomprensioni e quelle previsioni sul vincitore che ogni casa discografica cercava di carpire dai giornalisti più informati.
Ci univa tutti un comune denominatore: non si dormiva mai! Perché dopo le serate televisive seguivano le cene delle case discografiche con tutti gli artisti e poi chi non era ancora sfinito poteva andava ad ascoltare, sempre nella stessa discoteca, la allora sconosciuta Premiata Forneria Marconi. Erano già allora bravissimi musicisti e ci portavano con la loro musica fino alle 5 di mattina quando, stralunati ma sazi della lunga giornata, raggiungevamo gli alberghi per dormire quelle 3 ore sufficienti a darci il giorno dopo l’aspetto di zombi frenetici esaltati dall’atmosfera festivaliera di una manifestazione nazionale che ancora adesso rappresenta un mistero magico da circo Barnum che unisce persone di tutti i gusti e di tutte le età per quella settimana che, con la scusa della musica, trasforma i 55 mila abitanti della città di Sanremo in protagonisti viventi di un mondo sognante e brulicante di energia.
Dalla radio alla televisione, dal bianco e nero ai colori delle TV, il Festival da 70 anni testimonia l’evoluzione dei costumi del Paese Italia in tutto il mondo.
Ieri ho quindi respirato come ogni anno quelle sensazioni del passato, quei profumi intensi, quelle sonorità e quei ricordi legati a un bellissimo periodo della mia vita che ho avuto la fortuna di assaporare quando sono entrato a visitare il museo della mostra di Sanremo e dei suoi 70 anni in corso fino al 16 febbraio al Forte Santa Tecla a Sanremo.
Un bellissimo progetto di Rai Teche e Rai Direzione creativa a cura di Andrea Di Consoli e di un vecchio amico Dario Salvatori che con Renzo Arbore ha condiviso quasi tutta la sua vita di giornalista musicale.
Riporto qui di seguito, senza nessuna modifica, il testo della bellissima brochure che mi hanno dato all’ingresso della mostra e che mi ha fatto volare nel tempo e nei ricordi di un mondo al quale sono stato fortunato di appartenere per un breve periodo della mia vita ma che, quando ti entra nel cuore, non ne esce più.
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“Una grande mostra per raccontare il Festival della canzone più famoso nel mondo, la più longeva manifestazione televisiva e canora, nonché grande macchina di intrattenimento che compie 70 anni.
La mostra è suddivisa in 7 tappe cronologiche, tutte corredate da testi, fotografie e montaggi di filmati delle canzoni vincitrici e da 7 pannelli tematici che raccontano i record, le grandi scenografie, i super ospiti stranieri, le canzoni sanremesi di maggior successo mondiale, i grandi conduttori e le canzoni evergreen escluse dal podio.
Un momento importante della mostra è costituito dalla stanza degli abiti dove si ha la possibilità di ammirare i vestiti indossati sul palco da artisti del calibro di Gigliola Cinquetti, Mia Martini, Iva Zanicchi e Dalida della quale è esposto il celebre abito rosso mai indossato durante la sfortunata edizione del 1967 quando Luigi Tenco si tolse la vita.
Per concludere, la mostra è un lungo racconto italiano che attraversa la storia dell’intero Paese, una carrellata di immagini d’archivio per entrare nel vivo del grande mondo di Sanremo.
La mostra si sviluppa in 5 sale secondo una narrazione che alterna aree cronologiche ad aree tematiche.
1.IL FESTIVAL DALLA RADIO ALLA RETE
Come nella famosa scena dell’osso di “2001 Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, anche in questa sala si può vivere un rapidissimo cambiamento epocale.
La ricostruzione di un salotto italiano degli anni ’50 restituisce un’idea di ascolto radiofonico, intimo, familiare. Accanto c’è invece una TV connessa, un’idea di fruizione digitale, mobile e dinamica. Insomma, il Festival delle nuove generazioni. Due ere tecnologiche e due diversi modi di vivere il più importante evento musicale italiano.
2.LA STORIA DEL FESTIVAL
La seconda sala è il cuore dell’esposizione: la storia dei 70 anni del Festival si snoda sulle pareti perimetrali secondo un percorso temporale che include varie tappe dedicate ai momenti clou del Festival. Dalla prima parete, che mostra “Gli anni della radio” (1951-1954) si raggiungono le pareti dedicate a “Urlatori e cantautori” (1960-1963) e a “Gli stranieri in gara” (1964-1970), fino ad arrivare alla settima parete dal titolo “Lo spettacolo della televisione” (1988-2019).
Inoltre, sempre nella sala centrale, sono presenti 7 grandi pannelli tematici che approfondiscono con curiosità e notizie inedite la storia del Festival.
3.GLI ABITI IN MOSTRA
Non poteva mancare un omaggio ai vestiti delle star che calcavano le scene del Festival. Si parte dai costumi originali della coppia vincente del 1953, Carla Boni e Flo Sandon’s vestita da Fernanda Gattinoni, passando per la riproduzione del vestito che indossò Gigliola Cinquetti nel 1964. E ancora, vengono esposti gli abiti di Iva Zanicchi, trionfatrice nel 1969 (Gigliola Curiel), di Marcella nel 1972 (Sartoria Gulp), di Orietta Berti (Trussardi), fino alle mise di Loretta Goggi, Loredana Berté e Mia Martini, per chiudere con l’abito Armani indossato nel 2018 da Michelle Hunziker.
Rarità assoluta il vestito rosso, cucito per l’occasione dalla sartoria Daphné di Sanremo, che l’artista avrebbe dovuto indossare nel 1967 se la canzone “Ciao amore ciao” fosse andata in finale.
Correda l’allestimento scenico un suggestivo Led verticale che esibisce una passerella dei look che hanno fatto la storia del Festival.
4.I VIDEO D’ARCHIVIO
Una sala di visione in cui, attraverso materiali d’archivio e montaggi creativi, poter fruire e godere dei momenti salienti dei 70 anni del Festival.
5.LA SALA DEGLI OGGETTI E DEI RICORDI
La memoria collettiva del Festival è un processo storico che non avrà mai fine, perché ogni singolo italiano è un pezzo di questa leggenda. In questa sala si trovano alcuni reperti della storia del Festival che appartengono alla grande storia della RAI.
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