Ambrogio Lorenzetti, artista che dai Commentari di Lorenzo Ghiberti risulta essere stato, oltre che grande pittore, acuto filosofo, è universalmente celebre per gli affreschi del Palazzo pubblico di piazza del Campo a Siena. Le Allegorie, la descrizione degli effetti che sul Buono e sul Cattivo Governo possono avere le idee dominanti in un Paese meritano una riflessione.
Non si fa fatica, infatti, ad indovinare che per il Mal Governo l’Italia gli abbia offerto molto materiale (la Iustitia legata, svilita, senza manto, scettro e corona: la bilancia spezzata in due; la Tirannide strabica, zannuta e, come il diavolo, cornuta, la zampa artigliata e via dicendo).
Riesce, invece, più difficile immaginare da quale Paese l’artista abbia tratto ispirazione per descrivere e affrescare le scene del Buon Governo. La mia personale idea che Lorenzetti abbia immaginato per il suo luogo di Bengodi, la polis greca e la res publica Romana, quella antecedente all’immigrazione ebraica, cristiana e all’egemonia del pensiero platonico (e post).
In quei luoghi, prevaleva ancora una visione monistica della realtà, priva delle fantasie e fumisterie del dualismo religioso e filosofico, basata sull’individualismo concreto e non sull’universalismo astratto delle Idee che prendono il posto delle cose.
E come Lorenzetti, al pragmatismo operativo dei “Buoni governanti” empiristici e concreti hanno guardato con motivata ammirazione molti geni dell’umanità, diffidenti degli universalismi, falsamente salvifici e benefici. Herik Ibsen riteneva che l’esaltazione degli ideali nobili e degli alti valori fosse pura menzogna. E molti altri filosofi e scrittori sono stati pienamente d’accordo con lui. Tutti gli idealismi mascherano la realtà e rendono soprattutto la lotta politica più aspra e conflittuale per la carica di odio che è connessa a ogni “diversità” di opinioni, manifestata dagli esseri umani. In ciò “veri lupi”, a detta di Hobbes, per i loro consimili; soprattutto dopo che la mediorientalizzazione della vita occidentale (post Roma Repubblicana) ha imposto l’imperativo religioso che un nemico di Dio va ucciso e non fatto prigioniero (e ciò a causa del pericolo, che continui ad avere e a diffondere le sue idee).
Ignazio De Loyola definiva “santa” l’”occisione dei nemici di Dio” ed è particolarmente ricca la storia delle distruzioni cristiane: dai pagani, agli ebrei, dai mussulmani alle Crociate, agli infedeli del Messico e del Centro-America oltre ad altre consimili ribalderie. Per il raggiungimento di Nobili Ideali è giocoforza che l’emozione prevalga sull’intelligenza e sul raziocinio.
Per l’affermazione conclamata dei Diritti Umani si possono compiere le più ignobili nefandezze. E ciò perché si è portati a ignorare la realtà e a inseguire il sogno e l’utopia. In altre parole, volendosi perseguire l’ordine, si crea il caos. Dell’intuizione di Ibsen, la Storia ha offerto valide e significative prove; soprattutto dopo che la guerra per l’affermazione degli Ideali e dei Valori religiosi è stata incrementata con la lotta, altrettanto feroce, tra gli Ideali e i Valori dei fascisti e dei comunisti, discendenti alla lontana, del loro Maestro laico, Platone.
Baruch Spinoza che qualificava “impostori dell’Umanità” Mosè, Cristo e Maomento, a causa degli assassini provocati sul Pianeta dalle loro predicazioni, ignorava, ovviamente, che i seguaci futuri del fantasioso filosofo ateniese, tacendo sul mondo iperuranico, avrebbero inventato i giochetti dell’Idea Universale e degli Io particolari (con una sorta di partita a scacchi tra tesi, antitesi e sintesi) provocando morte e stermini di analoghe proporzioni.
Solo l’intelligenza successiva ai genocidi del “secolo breve” ha fatto scoprire (e non per tutti, purtroppo!) il marcio di tutti gli ecumenismi e universalismi oltre che di tutti gli Ideali che si ripromettono di salvare l’umanità e di garantire i cosiddetti human rights. “Non usare parole straniere: “ideali”. Noi abbiamo una nostra parola eccellente: “bugie” – fa dire Ibsen a uno dei protagonisti della sua commedia “The Wild Duck”.
Ma Samantha Power, ambasciatrice di Barack Obama all’ONU, probabilmente, non apprezza il drammaturgo norvegese e quando scrive le sue memorie in un libro dal titolo “The education of an Idealist” esalta le organizzazioni come Human Rights Watch e tutti quei movimenti (ecologisti, pacifisti, buonisti) che (non si sa da chi sorretti e finanziati) “marciano” sulle strade del mondo per nobili obiettivi.
Peccato che tali imponenti manifestazioni non siano mai riuscite a impedire agli Stati Uniti d’America, governati dai “Presidenti” prediletti e voluti dagli gnomi di Wall Street (e ciò, proprio fino a Obama) di non intervenire – non per un difetto di conoscenza o di influenza ma per mancanza di volontà (lack of will, scrive la Power) – tutte le volte che i “diritti umani”, di libertà e di vita, sono stati messi a rischio nella storia recente dell’umanità. E ciò, non soltanto nell’America Latina. Le violazioni del diritto internazionale da parte degli Stati Uniti d’America, retti dai Presidenti delle passate legislature nonché delle Istituzioni da essi governate sono state veramente molteplici.
Il volume della Power è stato recensito in senso argutamente critico da David Rieff e Franco Continolo ne ha dato notizia con le sue email agli amici. Dobbiamo ringraziarlo per il suggerimento della lettura.
Sotto un aspetto diverso ma non troppo distante, parlare male dell’illuminismo francese con alcuni intellettuali italiani (in realtà la grande maggioranza di essi) è come investire in India una mucca sacra e tentare di farla franca o come bestemmiare contro il Dio unico nei Paesi di religione monoteistica mediorientale senza che insorga con veemenza (se non violenza) l’ira dei religiosi per la blasfemia compiuta.
Ho scritto un libro dal titolo: “Le luci spente dell’illuminismo” (pubblicato da Avagliano nel 2010 in edizione fuori commercio) con il sottotitolo: “Il diario nel tempo di un black out della Ragione”, in cui il mio giudizio sul pensiero dei nostri cugini d’oltrealpe era meno severo di quello che mi sento di esprimere oggi.
Da allora, infatti, già nei miei scritti, dell’Illuminismo francese ho parlato in modo diverso distinguendolo soprattutto dall’Illuminismo Inglese. Certamente, anche in Inghilterra il ricordo dell’assolutismo degli Stuart e della dittatura di Oliver Cromwell aveva avuto un peso per le scelte illuministiche contrarie all’intolleranza soprattutto religiosa, e non v’è alcun dubbio che il bene fatto alla laicità di una modesta parte della cultura europea a opera di Voltaire, Diderot e d’Alembert sia stato enorme. Ma è circa gli effetti politici dei due movimenti di pensiero che occorre distinguere nettamente le due correnti di pensiero ricordate sotto lo stesso nome.
Il risultato dell’illuminismo inglese, sotto l’aspetto della polis,è stato quello benefico portato dalla rivoluzione del 1688: avere contribuito, cioè, a risolvere i problemi del difficile rapporto tra l’Istituto monarchico e il Parlamento. E quegli effetti ancora perdurano: sono la caratteristica più saliente della liberal democrazia britannica.
La rivoluzione del 1789, figlia dell’illuminismo francese, ha avuto, invece, il ben più drastico effetto di “decapitare” in senso non traslato la monarchia, facendo tagliare materialmente le teste dalla ghigliottina a Luigi XVI, a Maria Antonietta e via dicendo e di sostituire al potere degli aristocratici quello, altrettanto poco commendevole, dei borghesi.
Inoltre alla sobrietà inglese ispirata alla filosofia di John Locke e di David Hume l’illuminismo francese ha contrapposto il reboante trinomio: fraternité, egalitè, liberté rivelatosi ben presto, e cioé fin dall’epoca del Terrore, un terribile bluff.
La dittatura Napoleonica va vista come il naturale prosieguo di quelle idee che mandano in visibilio tanta parte degli intellettuali italiani. Essa era chiaramente conseguente al collegamento delle idee illuministiche francesi con la cultura prevalente nell’Europa continentale, ferreamente dominata da idee assolutistiche e autoritarie di origine religiosa (ebraico-cristiana) o filosofica (post-platonica).
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