In mie precedenti note su questo giornale on line, ho sostenuto (e lo ribadisco ancora adesso) che, a partire del 1989 (data del crollo dell’Impero Sovietico) la politica delle forze della Sinistra in Occidente è stata a sostegno del liberismo assoluto dei magnati finanziari, tenaci e pervicaci assertori del laissez faire ed ha comportato un tentativo di totale asfissia delle iniziative economiche volte a perseverare obiettivi di mantenimento in vita del capitalismo industriale.
Ho anche scritto più volte che il conato deve considerarsi in fase di stallo negli Stati Uniti, dopo l’elezione a Presidente della Repubblica Nord-Americana di Donald Trump e a seguito della Brexit in Gran Bretagna (soprattutto, a partire dall’elezione a Premier di Boris Johnson). Il tentativo, invece, è in pieno e pernicioso svolgimento nell’Unione Europea dove le misure di pareggio di bilancio, di austerity, di blocco degli investimenti produttivi, industriali e infrastrutturali, imposte agli Stati-membri (su verosimile indirizzo del potere finanziario Occidentale) minacciano seriamente di fare aumentare l’insicurezza economica di Paesi che pure avevano avuto in passato primazie nel campo dello sviluppo del Capitale e del Lavoro.
John Maynard Keynes (La fine del laissez-faire, Hogarth Press, 1926) aveva già definite “empie” e “designate a ritardare lo sviluppo” (economico) le interferenze socialiste, ma non aveva potuto immaginare che, rispetto ai suoi tempi in cui la motivazione della politica condotta dalla gauche era la democrazia egualitaria ispirata a Rousseau, Paley, Bentham, esse sarebbero divenite, addirittura, palesemente “ciniche”.
E ciò, sino al punto di intervenire, con falsi pretesti, in favore del mantenimento di un vero e forte potere politico nelle mani dei banchieri: in apparenza, in nome della esigenza (pur sempre conservatrice) del quieta non movere e con lo sbandieramento mendace dei consueti Valori Nobili, mai assenti nel loro repertorio per i loro (ancora, trinariciuti?) seguaci (stavolta sono di turno quelli di un’Europa unita e solidale, dove, invece, l’assalto alla diligenza comune di Francia e Germania avviene nel modo più spudorato mai immaginabile); e, in buona sostanza, invece, per godere dell’appoggio mass-mediatico tutto in mano, in un modo o nell’atro, delle Banche.
In modo decisamente contraddittorio rispetto ai decenni passati, è mutato, profondamente, anche l’atteggiamento della Sinistra verso l’azione pubblica nel campo dell’economia: un tempo fortemente favorevole all’interferenza del potere pubblico nei problemi monetari e nelle politiche d’investimento; oggi ostile (per ciò che riguarda l’Unione Europea, ma non solo per essa) a ogni rivendicazione di sovranità (finanziaria, territoriale e via dicendo) da parte dello Stato, espressione del “patto sociale”.
Comunque, se il “voltafaccia” della Gauche appare clamoroso, non meno scandaloso è quello della Destra economica, sedicente liberale, che s’è appiattita su quelle stesse posizioni che, anche se soltanto a parole, aveva sempre contrastato.
I liberali italiani, oggi, sono a congresso e forse non sarebbe fuori luogo porsi un esame di coscienza e trovare argomenti per contrastare la mia provocatoria affermazione: “Oggi il liberalismo euro-continentale è solo un sinistrismo più timido, pauroso e contenuto di quello dei cristiano-sociali e dei socialdemocratici”.
Sono scomparsi i liberali (o almeno non fanno sentire la loro voce) che attribuivano alla libera iniziativa, all’abilità e al buon senso dei cittadini singoli effetti miracolosi per il benessere di tutti gli individui viventi sul Pianeta e sono apparsi nell’Euro-continente quelli che plaudono al blocco degli investimenti, disposto dall’Unione Europea, con un battito delle mani di poco meno sonoro di quello dei gauchisti.
E ciò anche se le misure dei tecnocrati di Bruxelles annullano ogni anelito individuale di cercare di fare il proprio bene per sé, giovando, nel contempo, alla comunità con l’aumento complessivo della ricchezza.
I liberali eurocontinentali di oggi sembrano aver dimenticato, persino, il monito di uno studioso tutt’altro che di destra, John Rawls, che ammonisce: se il benessere generale cresce, tutti se ne avvantaggiano e una società di poveri uguali non la vuole nessuno.
Un tempo, quelli che pecorilmente seguivano la politica del comunismo bolscevico erano definiti “servi sciocchi”. Oggi quella definizione è caduta in desuetudine ma la sua sostanza è rimasta la stessa.
Se così non fosse, vi sarebbe comunque da dire che i liberali peccano di inerzia e di timore, entrambi eccessivi; sanno di avere alla loro destra movimenti ribellistici di tipo fascistoide, ma non è questa una buona ragione per ripetere gli errori del passato; devono trovare finalmente il coraggio di dire in modo civile e democratico, ma pur sempre con voce forte e chiara, il loro pensiero sulle possibili, future degenerazioni del capitalismo monetario; devono rivedere in senso Keynesiano la loro dottrina per ciò che riguarda il libero scambio delle merci e plaudire all’opera di Trump (e probabilmente di Johnson, non appena si sarà del tutto liberato dai lacci e laccioli dell’Unione Europea) che ha ripristinato i dazi doganali avverso gli Stati autoritari che producono slealmente prodotti più competitivi per effetto di “forzati” bassi costi della mano d’opera.
Se ciò non avverrà, non è difficile prevedere, per tutti (dico:tutti) i liberali dell’Eurocontinente che la loro confusione di pensiero, di sentimento e di linguaggio li condurrà a una loro illacrimata scomparsa.
Con l’ulteriore addebito di avere favorito quel ritorno di “feudalesimo” (di cui ho pure già scritto) che, improntato alla pura rendita del denaro posseduto dai banchieri, annullerà ogni valore dell’Uomo nel processo di produzione della ricchezza; con tanti saluti alla libertà individuale e con un sonoro benvenuto ai “servi della gleba” del terzo millennio.
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