Bloccato al piazzale delle partenze all’aeroporto di Fiumicino senza poter entrare in aeroporto, né andare agli arrivi. Questa è la scena che mi si è presentata durante la prima fase del ritorno negli Usa.
Cominciamo dall’inizio. Il volo Alitalia 608 per New York, aeroporto JFK (unica linea aerea con volo diretto per gli Usa), parte presto da Roma e per poter arrivare in tempo dalla costa adriatica prenoto un albergo vicino Fiumicino per la sera prima. L’albergo offre un servizio di navetta dagli arrivi, ma il bus Giulianova-Fiumicino (che avevo preso per recarmi in aeroporto) scarica i passeggeri alle partenze. Per andare dalle partenze agli arrivi bisogna passare da un’unica porta controllata da un agente che fa entrare solamente i passeggeri muniti di carta d’imbarco per lo stesso giorno, quindi sono escluso. Vago in lungo e in largo per il piazzale dell’aeroporto in cerca di qualche scala esterna, senza successo, fin quando non incontro un soldato di guardia che, capito il dilemma, mi permette di utilizzare un ascensore riservato agli addetti, allertando un collega di guardia agli arrivi della mia presenza.
Una parentesi per quanto riguarda il bus diretto all’aeroporto. Dopo aver consegnato l’autocertificazione e misurata la febbre dall’autista, si entra in un comodo pullman con un biglietto che costa poco più del pedaggio sulla A24.
Tornando all’aeroporto (FCO), il check-in è stato facile (anche perché sono arrivato alle 7:20 per il volo delle 10:40 e all’unica entrata c’erano pochi passeggeri), ma per New York gli imbarchi si trovano in una zona diversa dalle indicazioni (vicino al check-in Alitalia al Terminal 3, piuttosto che verso il T1). É sorta un po’ di confusione per il passaporto, in quanto al check-in hanno voluto quello americano (altrimenti serviva il visto o la carta verde), mentre al controllo di frontiera preferivano quello italiano.
All’imbarco non hanno voluto il modulo dell’autocertificazione compilato al check-in (la temperatura era stata presa all’entrata dell’aeroporto con un termoscanner e di nuovo prima di entrare a bordo) perché l’aereo, un B777-300 aveva solamente 60 passeggeri e quindi sicuro per la distanza sociale. Il modulo lo si poteva riempire anche online. Comunque a FCO il concetto di distanza sociale non sembra molto chiaro visto che chi arriva in volo da Milano in coincidenza per New York, viene stipato in una navetta affollata per accedere al terminale.
L’imbarco per JFK è iniziato dalle ultime file (saltando il modello delle preferenze), mentre lo sbarco ha avuto inizio dalle prime. Il personale di bordo è stato diligente nel far osservare l’uso delle mascherine. Il servizio ristoro di bordo era basico: ravioli, formaggino, dolce e solamente acqua per bere.
In volo è stato distribuito il modulo “U.S. Traveler Health Declaration”, l’equivalente dell’autocertificazione italiana, che richiede la quarantena per chi proviene dai paesi dell’U.E., ma stranamente non da Paesi ad alto contagio come Russia, India e Bangladesh.
Anche questa operazione non è stata amministrata con diligenza: sulla passerella verso l’ufficio immigrazione un agente ha ritirato la “declaration” mentre un altro agente un po’ più avanti ha misurato la febbre, che non è stata quindi annotata sul modulo come era invece previsto. Poi al controllo passaporti, per un disguido informatico, i passeggeri (assieme ad altri, arrivati con un volo dall’Asia) sono stati trattenuti per l’inserimento manuale dei dati. Comunque, per via dei pochi passeggeri in arrivo, niente coda per il taxi.
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