Nel 1996, in occasione delle celebrazioni del Centenario della nascita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), autore del celeberrimo “Il Gattopardo”, ebbi modo di realizzare lo Speciale di Video Sapere Rai “Giuseppe Tomasi di Lampedusa: l’ultimo Gattopardo”, girando oltre che a Palermo e nei Luoghi descritti nel romanzo, anche a Villa Piccolo a Capo d’Orlando (ME), ultima residenza dei cugini di Lampedusa, i Baroni Piccolo di Calanovella, Casimiro, Agata Giovanna e Lucio, quest’ultimo eccelso Poeta, “scoperto” da Eugenio Montale nel 1954 al convegno di San Pellegrino Terme organizzato da Giuseppe Ravegnani sul confronto letterario fra due generazioni.
T’ho visto da queste ringhiere
calmo salire, luglio.
E poi fermarti nell’alto, sui golfi, sotto
è il forte dominio, in acque opache o lucenti
in polpe porporine, in scorze striate di verde.
Questi versi del poeta Lucio Piccolo, cugino dello scrittore, sono un tutt’uno con la verde, affollata, brulicante, animistica e magica natura della Villa di Capo d’Orlando. Con i cugini Casimiro, Giovanna e Lucio, Giuseppe Tomasi di Lampedusa era solito trascorrere giorni di indimenticabile spensieratezza e di grande affinità, consapevole, quasi ultimo “Gattopardo”, di testimoniare un mondo in via di estinzione. Oggi, le stanze della Villa di Capo d’Orlando restituiscono intatta la stessa atmosfera degli anni in cui Tomasi di Lampedusa e i cugini Piccolo amavano intrattenersi in dotte e raffinate disquisizioni letterarie. Ambienti, arredi e oggetti sono ancora quelli, a testimoniare il gusto raffinato e il culto per i valori del passato.
E proprio a Capo d’Orlando, ospite dei cugini Piccolo, sul finire dell’aprile 1957, a Tomasi di Lampedusa si rivelò il male incurabile che in appena tre mesi ebbe il sopravvento. Fra le sue ultime volontà, pregava gli eredi di adoperarsi per la pubblicazione de “Il Gattopardo”, evitando la mortificazione di farlo a proprie spese. In una delle ultime lettere scritte da Roma al cugino Casimiro, il suo desiderio di tornare a casa trapela struggente e disperato: “in questo mese vorrei venire a passare dieci giorni alla Piana. Lo potrò? Ma sarebbe bello arrivare col vagone letto la mattina alle sette, coricarmi nella stanza vuota, dormire sino alle nove e svegliarmi con l’illusione che non sia successo niente, che tutto è come prima”.
La storia della famiglia Piccolo di Calanovella è particolare. La principessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò, madre dei fratelli Piccolo – ferita nell’orgoglio dopo la fuga del marito con una ballerina – decise di lasciare la vita mondana di Palermo per ritirarsi con i figli nella tenuta di Capo d’Orlando. Da quel momento impose vita austera e riservata a se stessa e ai suoi tre figli. Poliglotti, colti e raffinati conversatori, amanti della musica e dell’arte, della natura e degli animali, specialmente dei cani, cui avevano riservato in villa un degno cimitero con il nome dei defunti sulle lapidi, i Piccolo vennero inevitabilmente considerati una famiglia di eccentrici.
La sorella Agata Giovanna (1891-1974), appassionata di botanica e membro dell’Associazione mondiale di floricoltura, trapiantò, nell’orto di villa Vina, la Puya delle Ande, introducendo per la prima volta in Europa la rara pianta tropicale illustrata in un saggio del 1963. Fin troppo noto per la sua inclinazione verso l’occulto, il fratello Casimiro (1894-1970) condivise con Lucio la fascinazione per l’oscurità, spartita fra indagine scientifica ed esoterismo; più recente fu invece l’attenzione agli acquerelli e alle fotografie, testimoni di originali e pionieristici interessi.
Ingegno acutissimo, precoce e poliedrico, Lucio (1901-1969) sovrastò tutti per talento lirico e cultura. Conseguita la maturità classica al liceo Garibaldi di Palermo, non intraprese studi universitari; fu in corrispondenza con William Butler Yeats e frequentò il salotto palermitano del barone Bebbuzzo Sgàdari di Lo Monaco. All’insegna di un paradossale cosmopolitismo (rari gli spostamenti in Italia e all’estero, in Francia e in Inghilterra con Lampedusa), Piccolo continuò a vivere a Capo d’Orlando dove fu munifico ospite di letterati, artisti e giornalisti, attratti dalla sua personalità non meno che dall’opera. Eclettico lettore di testi classici moderni e contemporanei, italiani e stranieri in lingua originale, esperto di filosofia, teosofia, metapsichica, matematica e astronomia, fu anche pittore e musicista con la passione per Richard Wagner, i polifonici del Cinquecento e Gian Francesco Malipiero.
Alla figura e all’opera di Casimiro Piccolo è dedicato l’interessantissimo libro “I segreti di Casimiro Piccolo”, scritto da Giuseppe Ruggeri, pubblicato di recente da Giambra Editori.
“A tavola ci sedevamo curando sempre di apparecchiare il posto di mamam anche dopo la sua dipartita. Io ne avvertivo nitidamente la sua presenza, udivo perfino la sua voce che m’indicava quali fossero le quantità di bevande e cibo che si doveva somministrarle”. Era un rituale che si ripeteva ogni giorno, come raccontava il barone Casimiro Piccolo di Calanovella, fratello della botanica Agata Giovanna e del poeta Lucio e cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che scrisse il famoso romanzo ‘Il Gattopardo’. Lui non credeva all’esistenza di un confine tra corpo e anima”.
L’Autore racconta, di aver avuto una notte un dialogo proprio con il fantasma del barone che era “considerato un’autorità in metapsichica e il suo nome era ben noto negli ambienti americani d’oltreoceano. Perfino la rivista americana Atlantic parlava di lui come se fosse un negromante. Ma oltre a quelle degli spiriti le passeggiate notturne di Casimiro registravano pure la presenza di “strane creature che gli capitava di rinvenire, affermava, ai piedi degli alberi, su una pianta, su un punto indefinito del cielo, ovunque insomma la sua sbrigliata fantasia lo spingesse a immaginarli”. Ed erano proprio questi personaggi a ispirare la vena artistica del barone che nacque a Palermo il 1894 e morì il 4 dicembre 1970. Elfi, fate, gnomi, folletti, streghe, ritratti al ritorno dalle lunghe passeggiate all’interno del parco della villa, prendevano forma nei suoi acquarelli, 34 in tutto realizzati tra il 1943 e il 1970. Sono adesso esposti nella Casimiroteca presso la Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella a pochi chilometri da Capo d’Orlando nel Messinese.
Scrive Ruggeri: “il barone mi confidò di non aver mai amato la luce. Le persiane della sua stanza restavano sempre chiuse dormiva tutto il giorno e si alzava nel tardo pomeriggio”. Poi vestito in abito scuro e indossando un papillon “disseminava ciotole d’acqua dappertutto, in casa e in ogni angolo del giardino per abbeverare le creature che avrebbe evocato”. E con la sua macchina fotografica cercava di fermare le loro immagini sulla lastra per dar conferma della loro esistenza” “Per Casimiro, la fotografia – ricorda il cavaliere Carmelo Germanà figlio di Giuseppe che fu amministratore della famiglia Piccolo di Calanovella – costituiva un’arte vera e propria alla quale dedicava molto tempo e attenzione. Si faceva inviare le pellicole direttamente dagli Stati Uniti. Casimiro catalogava minuziosamente ogni foto in base ai parametri tecnici. In quei tempi la fotografia era roba per intenditori come lui, che stavano ore e ore prima di realizzare lo scatto e sviluppavano le immagini in camera oscura curando che la resa fosse il più possibile nitida ed esteticamente apprezzabile”.
“I fratelli Piccolo, specie Lucio e Casimiro, sono apprezzati e conosciuti dal pubblico a patto che accanto alla loro bravura si parli delle loro stranezze. – sottolinea nella prefazione Andrea Italiano – Ecco, fermandoci a Casimiro, credo che sia finalmente giunto il tempo di superare questo binomio, che alla fine è un ostacolo per il riconoscimento globale della caratura assoluta della sua capacità di essere artista, quindi in nuce visionario, trasgressivo, originale. Folle. Ad esempio, quanti guardando i film della saga del ‘Signore degli anelli – prosegue – hanno pensato ai folletti, agli stregoni, agli gnomi di Casimiro? Pochi, anzi pochissimi. Eppure credo che per qualche strana via della conoscenza quei personaggi, le loro fisionomie, persino il loro comportamento, debbono qualcosa alla creatività del nostro nobile artista”.
Un libro evocativo, onirico e barocco questo di Giuseppe Ruggeri, che restituisce empaticamente l’insolita personalità di uno degli ultimi “Gattopardi”.
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