Di fronte agli strafalcioni grammaticali, sintattici o culturali degli uomini politici giunti al governo del Paese o, comunque, in parlamento, agli Italiani è sistematicamente proposto il problema del decadimento della scuola, definito, con termini reboanti, un vero “disastro”.
Comincia a questo punto un bla bla blache va avanti per un po’ di tempo (sino a quando, cioè, l’attenzione non si concentra su un’altra piaga nazionale) e ciò in una confusione di concetti che è un altro segno del caos che regna nella mente degli Italiani.
V’è chi ha rispolverato vecchie tesi, come quella di John Henry Newman, sull’ “utilitarismo educativo”. E ciò ha fatto per contrastare l’idea che i giovani debbano studiare per imparare una professione o un mestiere (invece che per diventare migliori) senza rendersi conto che la stragrande maggioranza dei più noti professionisti italiani ha studiato sempre e solo per la finalità da Newman condannata.
Qualche altro notista ha lanciato grida disperate sullo smantellamento della scuola pubblica, incolpando gli esecutivi (succedutisi nel dopoguerra) di scarsa attenzione per l’istruzione e, soprattutto, dell’insufficienza dei finanziamenti, restando sulla superficie del tema e senza mai spingersi a chiedere le motivazioni di tanta incuria.
V’è chi, politicizzando il problema, ha accusato le forze politiche che, dal “Sessantotto” in poi, hanno combattuto la selettività in nome di un’ideologia dell’appiattimento, anche culturale (ritenuta agevolmente dimostrabile per tabulas) e chi ha parlato di “svolta anticostituzionale” e di “allontanamento dell’istruzione dal suo significato costituzionale”, senza analizzare le norme costituzionali che sarebbero state violate.
Su quest’ultima tesi v’è da chiedersi se sia mancata la volontà d’infrangere un vero tabù nazionale o se il problema sia stato inconsciamente “edulcorato”.
La verità è che bisogna avere il coraggio di affermare che la radice del male dell’istruzione nel Bel Paese risale agli inizi della Repubblica Italiana e sta proprio nel suo atto fondativo (che, non senza sfrontatezza, continua a essere definito, da taluno, “liberale”).
La nostra Costituzione (la“più bella del mondo”, secondo non pochi, esaltati fanatici) è stata il frutto dell’intesa in apicibus russo-americana e più in basso catto-comunista (con l’accettazione più o meno silente delle sparute forze laiche presenti in Assemblea Costituente, sostanzialmente abbandonate da una Gran Bretagna divenuta laburista con la vittoria di Clement Attlee e la sua elezione a Premier del Paese).
Porre tutte le premesse per la distruzione della scuola pubblica italiana, all’articolo 33 della Costituzione, è stato un must cui la stragrande maggioranza dei Costituenti non ritenne di doversi sottrarre.
L’applicazione successiva da parte dei cattolici e dei socialcomunisti di quell’articolo della nostra Carta fondamentale ha portato soltanto a esecuzione una sentenza che condannava a morte la scuola pubblica.
In altre parole, la Repubblica italiana segnava, normativamente, la fine dell’istruzione laica (si fa per dire, data la stragrande prevalenza cattolica anche tra gli insegnanti della scuola pubblica) impartita, a suo tempo, negli istituti scolastici del Regno d’Italia. Vediamo come.
Il citato articolo 33 prevedeva che il legislatore ordinario, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, doveva assicurarne la piena libertà e sancire “l’equipollenza del trattamento scolastico privato a quello degli alunni di scuole statali”.
La formulazione astratta di quel principio definito di libertà, calato in una realtà sostanzialmente confessionale per la rilevante presenza “guelfa”, produceva (al di là dell’apparenza “liberale”) il monstrum dei “diplomifici”: in massima parte religiosi e, per le briciole, civili, anch’essi fonti di consistenti arricchimenti.
“Tutti promossi a fine anno” “Bocciato, recupera l’anno con noi” divenivano gli slogan che apparivano su manifesti a caratteri cubitali, affissi in tutti i luoghi dello Stivale.
Quelle norme davano luogo, quindi, alla nascita e alla crescita di un numero considerevole di scuole private (religiose o civili) che originariamente solo “parificate”, divenivano “paritarie”, per effetto di una “provvidenziale” (è il caso di usare tale aggettivo) legge del Ministro Luigi Berlinguer, comunista.
La trasformazione delle scuole parificate in scuole paritarie consentiva anche il finanziamento dello Stato ai “diplomifici” ecclesiastici e privati. Chi già sosteneva che quelle scuole facevano realizzare ai loro gestori lucrosi guadagni, istituendo una sorta di “tassa sugli asini” (in altre parole, facendo pagare cifre notevoli per titoli di studio non sempre meritati) oggi si ritrova a rimpiangere la scuola pubblica dei tempi passati che, pur avendo dato prove adeguate a dimostrare di essere abbastanza “conformistica” è considerata “l’ultima spiaggia” della cultura.
Secondo gli osservatori politici di scuola laica, è incalcolabile il “male” fatto alla collettività dei cittadini da una legislazione, costituzionale e ordinaria, contraria alla cultura, alla morale, alla giustizia, all’onestà, al buon governo del Paese.
Sono veramente preoccupanti gli effetti che la disinvolta e ben lucrativa concessione di titoli di studio, del tutto immeritati, procura al Paese, formando (si fa per dire) o sfornando (rectius) una classe dirigente del tutto inadeguata ai suoi bisogni.
Nessuno sembra essere veramente consapevole dei danni che tale attività, nel lungo tempo, può provocare nel Paese. Nessuno osa neppure immaginare in quale e quanta misura la profonda diseducazione culturale si ritorcerà contro la vita dei nostri discendenti.
Naturalmente, la Chiesa cattolica, che gestisce il numero più cospicuo di scuole parificate, oggi “paritarie”, negherà sempre con maggior vigore di fare del “male.
Essa, d’altronde, nel segreto delle sue stanze e dei luoghi di culto, sa di venire incontro all’obiettivo della “fede” della stragrande maggioranza dei nostri connazionali, che è da sempre contraria alla “conoscenza”, addirittura vituperata e condannata nella Bibbia. Sono ancora tanti i parroci che ritengono la cultura, naturalmente quella non religiosa, opera del diavolo. E’ vero che la Chiesa comincia ad avere i suoi problemi (non per gli effetti dell’ignoranza alimentata dalle sue scuole parificate, ma per le pratiche di omo o pedofilia di altri luoghi di educazione e di preghiera, come i seminari ecclesiastici e i conventi) ma, certamente, i gestori privati di scuole parificate (oggi paritarie) non desisteranno dai loro intenti di continuare ad avere per tutti i loro studenti e allievi la promessa “promozione” di fine anno.
La giostra, quindi, continuerà a girare con religiosi e privati in solidale abbraccio!
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