La sinistra radicale (che saremmo noi) non ama le persone come Silvia, ora Aisha, Romano. Nonostante il fatto che questo tipo di persone sia odiato dalle destre. E in modo addirittura parossistico.
Non le ama nella sua versione ideologica, perché ritiene l’assistenzialismo una delle tante distrazioni individuali e collettive rispetto alla centralità della lotta di classe. E non le ama nella sua versione intelligente (del tipo “a me non la si fa”) perché le vede come manifestazione individuale di quel buonismo/politicamente corretto che ha considerato, negli anni antecedenti allo scoppio del coronavirus, suo nemico principale.
Sfumata, però, questa duplice ubriacatura (anche per la sofferenza esistenziale che sentiamo intorno con l’avvento della pandemia) molti di noi sono rimasti radicali, magari anche più di prima, ma si sono iscritti, nel contempo, alla “sinistra delle persone”. Intendendo per tale quella che lotta, con pensieri, parole e opere al servizio dei più deboli e contro le oppressioni e le disuguaglianze.
E questo è il caso di Silvia Romano. E di centinaia di migliaia di persone come lei, in giro per il mondo. “I care”, diceva don Milani. Questo ha fatto Silvia; e senza tutele o paracaduti a disposizione.
Dopo di che è stata venduta da alcuni abitanti del villaggio in cui si occupava dei bambini ad un gruppo jihadista. E tra i più feroci. Due anni senza contatti con nessuno. Due anni in cui ha trovato in sé la forza per resistere. E in cui la conversione all’Islam è avvenuta a metà del percorso. Liberamente, dice lei. E c’è motivo di crederle: troppo tardi, se legata alla necessità di non essere uccisa; troppo presto, se condizione per la sua liberazione.
Poi è intervenuto lo stato, in omaggio al principio, valido per l’Italia come per qualsiasi altro stato (Israele e Stati Uniti compresi), in base al quale la vita di ogni suo cittadino è sacra. E che occorra fare di tutto per difenderla, specie quando questa è chiaramente in pericolo (qualsiasi riferimento polemico al caso Moro è puramente casuale N,d.A). Il quale stato italiano, non essendo in grado di effettuare clamorosi blitz, ha usato, insieme – diciamo così – una generale benevolenza di cui gode, da sempre, nel mondo arabo-islamico e gli ottimi contatti di cui dispongono i suoi servizi segreti. Ha preso contatto con i rapitori, ha pagato il riscatto e l’ha portata a casa. Accolta dall’amore e dalla felicità di chi l’aveva conosciuta; desiderosa, nell’ordine: di mangiare una pizza, di abbracciare i suoi, di tornare a casa, e poi, più in là, di tornare in Kenya.
Per la destra, giornali, esponenti politici o “odiatori della tastiera”, tutti gli epiteti a sua disposizione: “islamica felice e ingrata”; “eroina del terrorismo”, “complice dei terroristi”, “praticante di gite buoniste da vietare (questa è di Sgarbi); e ”spot per il terrorismo”; nonché simbolo/occasione della resa del governo nei confronti di Erdogan, del terrorismo e di un atto di inimicizia nei confronti di Trump.
Questo, assieme al vomito sui social, solo nei primi due giorni. Quanto basta per capire che cos’è la destra italiana e l’abisso che ci separa da questa.
Per noi basta e avanza la gioia per il ritorno alla vita e agli affetti di una persona. Accompagnata dai migliori auguri per il suo futuro.
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