DA WIKIPEDIA. “Nei partiti, nei sindacati e in altre associazioni il congresso (denominato anche convenzione o conferenza) è il massimo organo decisionale. È un’assemblea che si può riunire con frequenza annuale o pluriennale (ad esempio, ogni cinque anni), costituita dagli iscritti o da loro delegati, che possono essere anche alcune migliaia, eletti in occasione di ciascuna sessione. Accanto al congresso nazionale (o generale) possono esserci congressi limitati ad un’articolazione territoriale (regionali, provinciali ecc.). Il congresso nazionale ha il potere di modificare lo statuto; definisce la linea politica e il programma dell’organizzazione; elegge l’assemblea (denominata comitato centrale, consiglio nazionale o in altri modi) che funge da massima istanza decisionale dell’organizzazione tra una sessione congressuale e l’altra.”
Si potrebbe aggiungere: Congresso, pratica democratica utilizzata dai partiti politici nella seconda metà del secolo scorso per eleggere la classe dirigente e deliberare la linea politica con il voto della maggioranza dell’assemblea dei delegati, a loro volta eletti nelle assemblee provinciali e regionali.
Con il nuovo millennio questa “pratica” è stata abolita, cancellata. La classe dirigente dei partiti viene formata per cooptazione e i nominativi decisi dal leader, la linea politica non viene più dichiarata né tanto meno elaborata ed approvata da qualcuno che non sia il leader. In definitiva la democrazia nella vita interna dei partiti è stata abrogata.
Si può immaginare lo stupore nell’apprendere che un gruppo di associazioni civiche riunite nell’Alleanza Civica del Nord hanno annunciato per la fine di febbraio la convocazione di un Congresso, prima in ambiti territoriali poi in ambito nazionale, aperto a tutte le organizzazioni locali che vogliono partecipare, per elaborare in modo condiviso idee e progetti su tematiche del nostro tempo.
Idee, progetti e visione sono vasi comunicanti, condivise fanno l’identità di una comunità.
Una sorta di elettroshock per quanti vivono da tempo un sentimento di depressione, una incapacità di reagire al degrado della vita politica del Paese. Sappiamo che il benessere reale dei cittadini dipende molto da valori che non sono economicamente misurabili come la sicurezza, la qualità dell’istruzione, la cultura, il tempo libero e altri tanti fattori che determinano la qualità della vita. E tuttavia non sappiamo da che parte cominciare. Osserva Pierluigi Celli:
“E’ cambiato drasticamente il paesaggio, sono cambiati gli attori della scena, e questi parlano e si comportano senza ossequio alcuno per le buone convenzioni di un tempo non sembrano affatto preoccuparsi di quanto costituiva il tessuto delle sicurezze socialmente condivise, dei limiti anche di buon gusto delle posizioni da adottare. Non hanno rispetto delle nostre memorie né delle nostre pattuizioni linguistiche è un imbarazzo totale. Ci sono molti modi per morire: il più stupido è quello di farlo per dispetto.”
E’ evidente che sia necessario invertire la rotta, intervenire per sciogliere il nodo dei problemi attuali che sta innanzitutto nel fatto che i partiti politici hanno cessato di svolgere la funzione loro assegnata nel sistema politico istituzionale. Il Cittadino ha finito per vedere negli eletti non persone disponibili a far fronte alle sue esigenze, ma individui che mirano ad occupare posizioni di potere a prescindere dalla maglietta della squadra che indossano. Si è così determinata una frattura tra elettori ed eletti con la conseguente diserzione dal voto.
Riprendere la strada dell’impegno politico e democratico non è facile. Scrivono Simona Colarizi e Marco Gervasoni: “La tela di Penelope è la metafora dell’immobilità del paese che dopo il crollo della prima Repubblica sembra aver smarrito la strada verso il futuro …. Si trattava di rifondare la Repubblica ma per raggiungere questo obiettivo era indispensabile presentarsi con identità politiche nuove ma la ricerca identitaria è una delle ragioni della fragilità manifestata.”
Ma sappiamo che l’identità è un problema innanzitutto culturale, di cui vanno ricercate le radici comuni e fondanti. E sappiamo che la nostra società ha vissuto una recessione economica grave e una non meno grave recessione culturale per cui è necessario lavorare per ridare credibilità alla vita di comunità anche per ridimensionare l’agitazione movimentista che ha dominato la scena puntando su demagogia e populismo. Quindi il nostro reagire deve essere il ritorno alla competenza, al raccordo tra politica e cultura, alla fiducia nello studio e nella scienza, alla progettazione del cambiamento secondo il metodo del riformismo.
La tradizione del civismo che crea condizioni partecipative nel processo di discussione e di proposta politica con un forte legame con il territorio e che nasce dalla aggregazione di cittadine e cittadini, per scopi sociali o per specifici obiettivi legati alla realtà locale, può dare un contributo decisivo
Non è un mistero che nel territorio nazionale, popolato da migliaia di comuni di piccole e medie dimensioni, il modello di organizzazione politico-elettorale attorno al “civismo” ha assunto una diffusione grandissima.
E’ in questa cornice che si è manifestato l’interesse di un gruppo di promotori di dar vita ad una Alleanza Civica per Roma e il Lazio che prende le mosse dall’interlocuzione con esperienze radicate da tempo soprattutto nel centro-nord che si vanno muovendo verso un’organizzazione “stellare” di connessioni, quindi attraverso anche un congresso nazionale, nel rispetto dell’autonomia di propositi e di proposta di ciascuna esperienza. E tuttavia condividendo metodo, etica e scelte degli obiettivi più caratterizzanti.
Uno dei temi del confronto dovrà essere una “new welfare theory”: lo stato sociale del ‘900 ha garantito la sostenibilità della propria vita sulla capacità salariale fornendo servizi sociali essenziali. Dopo la crisi del ’29 le politiche di welfare si sono concretizzate attraverso un intervento diretto dello Stato nell’economia e nella comunicazione. Alla fine del secolo scorso questo modello è stato liquidato. Il nuovo millennio ci ha portato una rivoluzione digitale che ha investito ogni sfera della nostra esistenza, la produzione, il lavoro, la qualità della vita determinando una trasformazione eccezionale e inediti rapporti di potere. A vantaggio di chi? Servirà a dare opportunità a chi ora non ne ha? Oppure ricchezza e opportunità andranno a quanti già ne hanno abbastanza? Questa è la sfida culturale, sociale e politica che abbiamo di fronte. La Rete delle associazioni Civiche, partendo ciascuna dalle proprie radici e dalle esperienze di governo delle proprie città, possono promuovere una coalizione culturale, prima ancora che politica, in grado di modificare i rapporti di potere nella società. Ancora una volta il riformismo è la chiave per cambiare.
Un altro tema di stretta attualità che riguarda già il domani prossimo e sul quale sappiamo e conosciamo ancora troppo poco è la transizione digitale, processo complesso e che ha bisogno di studio e di una innovativa capacità progettuale.
E il Congresso nazionale dovrà anche affrontare il tema Roma. Il grande tema di Roma Capitale d’Italia. Il problema non sono le buche o l’immigrazione, il vero deficit è che la Capitale non ha un autore, nessuno ha un’idea di Capitale, per cui la prima cosa da fare è reintrodurre nel dibattito pubblico il confronto culturale, sui progetti, sulle leggi, per disegnarne la nuova “forma” che prenda corpo mediante una visione che, guardando al futuro tutto nuovo che si prospetta nel nostro Paese, possa rappresentarlo ed interpretarlo per il ruolo che ha e che le compete. Il mondo intero guarda alla sua storia per capirne la grandezza e il valore che ha avuto ma deve conoscere la sua capacità di interpretare valori nuovi e rinnovati che rispondano ad una capitale anche di fatto e non solo di nome.
Alleanza Civica per Roma può essere un luogo di incontro e di dialogo, di “incrocio”, dove si possa staccare l’occhio dal proprio microscopio e affrontare la realtà con uno sguardo più ampio, uno sguardo che abbia la capacità di andare “oltre”. Una Alleanza per un civismo riformista che si organizza intorno a valori condivisi, può essere la risposta giusta, escludendo alla sua prospettiva quel civismo collateralista riproposto anche nella recente campagna elettorale sia dal centrosinistra che dal centrodestra.
“Alleanza Civica per Roma” può essere il modo per riannodare il filo spezzato dai populisti dell’anticasta, per riprendere il dialogo, per dare una prospettiva a quanti nella città si sentono soli e abbandonati. È questo l’unico modo per riavvicinare i cittadini alla politica.
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