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Il dominio della finanza sull’Europa

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“Con il Recovery Fund l’Italia diventerà una colonia“. Non ha dubbi Giulio Tremonti, l’ex Ministro del Tesoro e, soprattutto, l’analista economico italiano più apprezzato all’estero tra quelli che contano nella finanza mondiale. Non a caso è stato Giulio Tremonti il primo che, con i suoi libri e i suoi interventi, ha messo tutti in guardia sui rischi del liberismo sfrenato e della globalizzazione esasperata che avrebbero minato alle fondamenta le democrazie occidentali.

A decenni di distanza, anche molti dei suoi avversari, ammettono che le sue analisi erano lungimiranti e corrette.

Nella sua più recente intervista, rilasciata alla Verità, Tremoti spiega: “23 anni fa già erano evidenti i segni del male interno al corpo della democrazia. Di che male parlo? Primo: ti candidi al governo di una nazione ma l’origine e la dimensione sovranazionale dei problemi – che, se vieni eletto, devi governare – va oltre i tuoi poteri. Dalle migrazioni alle macchine ruba lavoro portate dalla rivoluzione digitale.

Secondo: la caduta delle ideologie che per due secoli sono state capaci di identificare principi, apparati di pensiero, schemi di azione.

Terzo: la spesa pubblica. Il deficit è stato, nell’ultimo mezzo secolo, un mezzo per acquisire consenso o ridurre il dissenso. Adesso è l’opposto. C’è il Covid ma quello della finanza pubblica tornerà ad essere uno dei fattori determinanti, in positivo o in negativo, per la democrazia: Un conto è governare contenendo o riducendo il deficit, un conto è governare facendo deficit”.

Sulla reazione dell’Ue ai problemi economici posti dal Covid Tremonti è altrettanto netto: “Degli eurobond già si prevede il carattere una tantum e non permanente. I contributi sono condizionati non solo all’efficienza degli investimenti finanziati, ma anche alla presenza di riforme di ‘stile europeo’. Tanto sugli investimenti quanto sulle riforme, il controllo può prendere la forma del condizionamento. Oggi, e domani soprattutto, si dovrà constatare quanto duro sarà dipendere dalle condizioni europee. Anche perché tutto quanto fatto in Italia verrà controllato dai nostri partner europei, partner si fa per dire…

Insomma, il futuro è fosco e l’azione della Ue è insufficiente e tardiva ma soprattutto legata a condizionalità che si trasformeranno in una trappola per l’Italia.  Secondo Tremonti, la classe dirigente europea sta affrontando la crisi del Covid senza una vera consapevolezza dei profondi cambiamenti che essa sta provocando a livello mondiale. Sarebbero quindi necessari, a suo avviso, profondi cambiamenti nelle regole di un gioco che finora e’ stato, a livello globale, caratterizzato dall’assenza di regole. Mentre l’ Europa, al contrario, e’ stata ingabbiata in una ragnatela di regole asfissianti, spesso inutili e dannose che andrebbero completamente riscritte.

Ma non, come e’ avvenuto dopo la crisi del 1978, riscritte dai signori della finanza e delle banche , bensi’ da una politica lungimirante che anteponga i bisogni dei cittadini agli interessi del denaro. Una politica lungimirante di cui Tremonti non vede traccia nei vertici europei.

Non e’ solo Giulio Tremonti a pensarla così perché molti altri analisti di vaglia esprimono scetticismo e critiche sul Recovery Fund che, tra l’altro, e’ legato a molte incognite. Oltre alle procedure di controllo della Ue sui programmi nazionali, c’è chi punta il dito sul pericolo, per lo spread italiano, rappresentato dal fatto che finora tutti i prestiti Ue (Mes e Sure) hanno lo status di crediti privilegiati. Finora per il Recovery Fund non c’e’ nulla di scritto ma le dichiarazioni dei vertici Ue non lo hanno affatto escluso: i mercati quindi chiederebbero un prezzo di rischio per acquistare in seguito i titoli italiani, facendo impennare lo spread. Ora, invece, le aste dei nostri titoli pubblici stanno registrando una forte richiesta e, grazie ai massicci acquisti della Bce, il costo e’ quasi zero, visto che gli interessi vengono girati dalla stessa Bce alla Banca d’Italia e, quindi, al Tesoro italiano.

Inoltre, come ha sottolineato recentemente anche il Sole 24 ore, la Ue, per finanziare il Recovery Fund, a partire dai prossimi mesi, dovrà  emettere 900 miliardi di Eurobond: una cifra notevole che, secondo molti analisti, potrebbe inflazionare il mercato e fare concorrenza alle esigenze di finanziamento pubblico dei diversi stati europei, Italia in testa

Nell’accordo sul Recovery fund, inoltre, non sono ancora stabiliti i tassi di interesse dei prestiti che verranno erogati agli stati membri, mentre i finanziamenti a fondo perduto sono stati definiti e saranno per l’Italia una operazione quasi sicuramente in perdita.

Secondo l’analisi del fondo Algebris, guidato ora da una esperta economista della commissione europea, i sussidi per l’Italia di 80 milioni  di euro sono previsti a fronte di un contributo italiano all’Ue di 50 milioni. Questo si traduce in sussidi per l’Italia di 4,2 miliardi di euro l’anno  a cui vanno sottratti, secondo queste stime, i 3,8 miliardi della eccedenza del contributo italiano al bilancio ordinario Ue. Ma non basta: vanno anche sottratti i costi che l’Italia dovrà sostenere a fronte dello sconto sui contributi ordinari ottenuto dai cosiddetti paesi frugali, capitanati dall’Olanda di Mark Rutte. Secondo le stime dei centri studi europei, lo sconto ai paesi frugali, il cosiddetto rebate, costera’ all’Italia 1,5 miliardi l’anno.

Insomma, nessun sussidio netto all’ Italia  ed un vantaggio vero per i piccoli paesi del Nord Europa.

Infine c’è chi mette l’accento sul rischio politico: per finanziare il Recovery Fund l’Europa, oltre agli Eurobond, intende introdurre anche nuove tasse a livello comunitario concentrate sui consumi non green e quelli digitali. In questo consesso di egoismi ed interessi contrapposti rappresentato dall’Unione europea, siamo sicuri – si chiedono in molti, a cominciare dallo stesso Tremonti- che Ursula von der Leyen avrà la forza di imporre nuove tasse transnazionali ai molti Stati riottosi, in un momento di così acuta crisi economica?

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Alessandra Spitz

Dopo aver collaborato come free lance a varie testate, lavora per tre anni all'Agenzia di stampa Asca come giornalista sindacale. Passa poi all'Ansa e per 18 anni fa parte dell'area Economico-finanziaria. Diventa poi responsabile della nuova area Multimedia dell'Agenzia ed infine, assume l'incarico di Capo redattore centrale.

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