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New York: il fallito colpo di stato negli Usa

Era una cosa prima d’ora impensabile che negli Usa, cuore e simbolo della democrazia, ci potesse essere un attentato allo stato: un golpe (in spagnolo), un coup d’etat (in francese), un putsch (in tedesco). Evento associato con paesi latino-americani, africani o asiatici. Eppure é successo. L’istigazione ad occupare il Campidoglio é arrivata dal presidente uscente Donald Trump, con alcuni suoi seguaci che proponevano persino di impiccare il vice presidente Mike Pence e giustiziare la presidente della Camera, Nancy Pelosi.

Quel 6 gennaio 2021 al Campidoglio di Washington D.C. doveva avvenire una semplice cerimonia per ratificare la vittoria di Joe Biden a presidente degli Usa, tanto che le reti televisive non avevano nemmeno collegamenti in diretta e chi voleva seguire doveva collegarsi su Internet. Questo fino alle 14:30 quando le reti Tv interrompono le regolari trasmissioni per riprendere la scena di migliaia di scalmanati che invadono le aree non protette del Campidoglio ed oltre 500 di questi che entrano nelle sale ed uffici di deputati e senatori che, al quel punto, erano stati fatti evacuare attraverso passaggi segreti.

Dopo alcuni giorni, l’America si é resa conto che la situazione dentro il Campidoglio era stata piú seria di quanto le immagini Tv avessero mostrato e che vi era un piano per tentare di attuare un colpo di stato.

I servizi segreti erano a conoscenza che circa 25.000 sostenitori di Trump  (per coincidenza lo stesso numero di persone che prese parte alla “Marcia su Roma” nel 1922) si sarebbero riversati su Washington D.C., spinti da Trump, per una “Marcia per Salvare l’America”, ufficialmente per “protestare” contro la certificazione di Biden, ma in effetti per fermarla.

Prima di marciare verso il Campidoglio, Trump aveva accolto questi suoi sostenitori con un discorso pieno di slogan istigatori del tipo: “combattete duramente, mostrate la vostra forza al Campidoglio. Non riprenderete mai il Paese se deboli.” Aveva anche lodato i due senatori alleati per fermare la ratificazione di Biden: Ted Cruz (repubblicano del Texas) e Josh Hawley (repubblicano del Missouri); e aveva incitato il suo vice, Mike Pence (che era anche presidente del Senato) a fare una cosa “giusta” (per Trump, ma illegale per la Costituzione): fermare la ratificazione. Cosa che Pence non ha fatto, ed ecco la folla di esaltati che grida “impiccare Pence”.

L’occupazione del Campidoglio iniziata alle 14:00 é stata fermata verso le 16:30, quando le Guardie Nazionali, che prima erano semplicemente impegnate a dirigere il traffico, vengono ridirette a sgomberare gli scalmanati entrati nel Campidoglio, mentre il coprifuoco dalle 18:00 imposto dal sindaco della capitale ha provveduto a far dileguare il resto della brigata, poi definita “terrorista” di Trump.

Per oltre tre ore il Campidoglio é stato difeso solamente dal servizio d’ordine interno, composto da 2.000 guardie (60 poi ferite ed una uccisa), il che lascia pensare che l’assalto fosse ben coordinato e che sia le forze dell’ordine federali (come FBI, Homeland Security, Federal Park Police e servizi segreti che dovevano proteggere il vice presidente Pence) che la polizia municipale locale siano intervenuti solamente quanto era chiaro che l’attentato allo Stato era fallito.

L’operazione “Marcia per Salvare l’America” aveva componenti ben definiti: un braccio politico, uno operazionale, uno finanziario, uno di intelligence, ed il braccio armato composto dai sostenitori di Trump.

Per l’operazione “Fermare il furto (delle elezioni)”, poi diventata “Marcia per Salvare l’America”, Trump aveva raccolto fondi per oltre 207 milioni di dollari da una decina di miliardari, mentre il sostegno politico era garantito dai senatori Ted Cruz e John Hawley, assieme a sei deputati, tra cui la neo-eletta Lauren Boebert (repubblicana del Colorado), seguace di QAnon. Tra i simpatizzanti vi erano membri delle forze dell’ordine e dei militari, capeggiati dall’ex generale Michael Flynn (arrestato e poi perdonato da Trump), che aveva suggerito la legge marziale. La deputata Boebert é stata accusata di aver organizzato un tour del Campidoglio per alcuni sostenitori di Trump nei giorni precedenti all’assalto (accusa che lei nega, mentre il suo portavoce stampa ha dato le dimissioni), e nelle immagini riprese tra le forze dell’ordine del Campidoglio si sono visti alcuni poliziotti che aprivano le semplici barricate per far entrare i dimostranti.

Il 20 gennaio, per l’inaugurazione di Biden come 46mo presidente, il Pentagono ha diramato una nota di rimprovero per l’appoggio arrivato a Trump da alcuni capi delle forze militari mentre delle 20.000 Guardie Nazionali (provenienti da sei stati) schierate a vigilare sulla cerimonia d’inaugurazione, 12 sono state rimosse per dichiarate simpatie verso Trump.

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Dom Serafini

Domenico (Dom) Serafini, di Giulianova risiede a New York City ed è
il fondatore, editore e direttore del mensile “VideoAge” e del quotidiano fieristico VideoAge Daily", rivolti ai principali mercati televisivi e cinematografici internazionali. Dopo il diploma di perito industriale, a 18 anni va a continuare gli studi negli Usa e, per finanziarsi, dal 1968 al ’78 ha lavorato come freelance per una decina di riviste in Italia e negli Usa; ottenuta la licenza Fcc di operatore radio, lavora come dj per tre stazioni radio e produce programmi televisivi nel Long Island, NY. Nel 1979 viene nominato direttore della rivista “Television/Radio Age International” di New York City e nell’81 fonda il mensile “VideoAge”. Negli anni successivi crea altre riviste in Spagna, Francia e Italia. Dal ’94 e per 10 anni scrive di televisione su “Il Sole 24 Ore”, poi su “Il Corriere Adriatico” e riviste di settore come “Pubblicità Italia”, “Cinema &Video” e “Millecanali”. Attualmente collabora con “Il Messaggero” di Roma, con “L’Italo-Americano” di Los Angeles”, “Il Cittadino Canadese” di Montreal ed é opinionista del quotidiano “AmericaOggi” di New York. Ha pubblicato numerosi volumi principalmente sui temi dei media e delle comunicazioni, tra cui “La Televisione via Internet” nel 1999. Dal 2002 al 2005, è stato consulente del Ministro delle Comunicazioni italiano nel settore audiovisivo e televisivo internazionale.

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