“Il giardino dei Finzi Contini. Un viaggio tra storia, cinema e letteratura” di Gerry Guida, edito da Cultura e Dintorni, è una ricostruzione quanto mai meticolosa della genesi produttiva e creativa del film di Vittorio De Sica, 1970, di cui Lino Capolicchio, insieme a Dominique Sanda, Helmut Berger, Fabio Testi e Romolo Valli, fu uno dei principali interpreti. Diciamo subito che il libro di Guida è un libro ponderoso che si evidenzia per l’alto valore simbolico, contenutistico e stilistico, frutto di un lungo e faticoso lavoro fatto di ricerche, studi e approfondimenti. Un’opera di grande valore e originalità che permette attraverso la “lettura” e la sua stessa struttura da un lato di “vedere” il film (premiato anche con l’Oscar come miglior film straniero), uno dei capolavori assoluti della filmografia di Vittorio De Sica e non solo, dall’altro di scoprire o riscoprire il capolavoro di Giorgio Bassani una delle opere letterarie più significative del Novecento.
Guida ha spiegato le motivazione che lo hanno indotto a scrivere sul lavoro di Vittorio De Sica: “Ho difficoltà a trovare cose interessanti nel panorama cinematografico di oggi: per questo se devo guardare un bel film quasi sempre mi rivolgo al passato. “Il giardino dei Finzi Contini è uno di quelli”. Guida ha vivisezionato il film di De Sica con l’abilità propria di un chirurgo, suddividendolo sequenza dopo sequenza, dove un Lino Capolicchio rimanda, attraverso i ricordi minuziosi, ai giorni roventi del set. Ha ragione il critico cinematografico Fabio Melelli quando, nella prefazione al libro di Guida afferma: “Il film di De Sica è uno di quei film che possiamo rivedere sempre, con sguardo rinnovato, venendo ogni volta colpiti da aspetti diversi”. E un parere simile è stato espresso dallo storico del cinema Enrico Lancia quando scrive: “Veniamo a Il giardino dei Finzi Contini: lo divorai appena edito e mi appassionò al punto che, già a quel tempo, mi chiesi se un giorno avrebbe avuto una trasposizione cinematografica”.
Del resto ha pienamente ragione Graziano Maraffa, presidente dell’archivio storico del cinema italiano quando, nel suo intervento afferma che gli anni Settanta sono stati, per il cinema italiano “il decennio in cui i grandi autori analizzano e ridiscutono tramite le loro opere i valori assoluti della società: amore, amicizia, sentimento, moralità, dignità, memoria”.
E la ricchezza del libro è anche in tutti questi interventi che Guida decisamente coordina ed indirizza tra le sue pagine con metodo quasi filosofico. Anche nelle curiosità, che sono tante, e nelle analisi delle sequenze che Capolicchio sviscera con il più profondo senso della memoria. Si avverte tra le pagine anche tutta la contrarietà di Bassani quando, visitando il set a Ferrara, tratta l’intera troupe con estrema sufficienza. Era il modo, in qualche maniera, di trasmettere il proprio dissapore per la sua esclusione dal tavolo della sceneggiatura, esclusione avvenuta sul filo del rasoio per fare posto allo sceneggiatore Ugo Pirro, più incline, secondo la produzione e secondo il regista, al senso spettacolare richiesto dalla dimensione cinematografica.
Secondo Ugo Pirro, i letterati continuavano a mantenere nei confronti del cinema, almeno in quegli anni, una forma di rifiuto, anche se espresso con sufficienza, e gli scrittori di cinema venivano da loro considerati semplicemente degli artigiani fortunati laddove, senza alcun merito, veniva tuttavia concesso di fare a pezzi i loro “intoccabili” romanzi. “E il disprezzo poi diventava anche indignazione” ha scritto Ugo Pirro nel suo bel libro “Soltanto un nome nei titoli di testa”, edito da Einaudi: “proprio nel momento in cui leggevano la sceneggiatura e ogni scena, ogni dialogo li offendeva. Non riuscivano insomma a sopportare i cambiamenti e la sintesi imposta dalla stessa natura del linguaggio cinematografico”.
Capolicchio ricorda anche l’autentica gentilezza tirannica del regista Vittorio De Sica che, nonostante le sue urla lancinanti, assordanti, accusatorie, dirigeva invece tutto come un padre bonaccione. Altro grande merito di Gerry Guida è poi anche questo ritorno ponderato ed attento sui luoghi decisi del film, e sui temi del romanzo, sicuramente una delle opere letterarie più significative del Novecento. Anche che, tra le righe, si porta dietro un retaggio tutto pontino: fu quando Bassani, ospite della Principessa Marguerite Caetani visitando proprio i giardini di Ninfa a Doganella, non riuscì a resistere al fascino pittorico, e subito pensò una storia da adottare allo scenario visitato.
Infine vogliamo ricordare il film anche per una fotografia magistrale, luminosa, di Ennio Guarnieri, il direttore delle luci, purtroppo scomparso l’estate scorsa in Sicilia. L’intervista, poi, di Guida con Guarnieri, contenuta nel volume, ne decanta le fasi estetiche, quasi pittoriche, della lavorazione, ricordate anche attraverso il filtro di un altro esteta della immagine che è Luciano Tovoli. Ricorda Gerry Guida l’impazienza di Guarnieri di vedere l’opera finita, ma purtroppo non ne ha avuto il tempo. E per Gerry Guida questo è rimasto un rammarico. L’evocazione di una stagione, materia sostanziale del romanzo di Bassani e la luce malinconica, carattere del film di De Sica, rivivono anche nelle testimonianze, divertite e commosse quelle, di Emi De Sica, figlia di Vittorio e di Paola Bassani, figlia di Giorgio; più tecniche e critiche quelle rilasciate dall’attrice Cinzia Bruno e dal regista Alessandro D’Alatri, che sul set dei Finzi Contini fungeva da attore bambino, del direttore della fotografia Giancarlo Ferrando, della doppiatrice Livia Giampalmo, del truccatore Giulio Natalucci, del direttore di produzione, che nelle occasioni diventava anche attore in piccoli ruoli, Enzo Nigro, dell’attore Fabio Testi, dell’aiuto regista Giorgio Treves.
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