Quando nel 1983 la DC perse le elezioni perché la distanza con il PCI si ridusse a soli tre punti percentuali, Luigi Pintor che era un grande giornalista ed un politico eccellente dell’estrema sinistra, titolò sulla prima pagina del Manifesto “Non moriremo democristiani”. All’epoca da quasi quarant’anni la Democrazia Cristiana era al potere e sembrava che il suo dominio non dovesse finire mai. Invece in quelle elezioni politiche, le none della Repubblica, iniziò il suo declino.
Quella frase è diventata un mantra in molte successive occasioni in bocca a uomini e donne autorevoli sino ai nostri giorni, anche se l’originaria espressione fu formalmente, ma non sostanzialmente modificata nel tempo in “Non voglio morire democristiano”.
Da quel 1983 sono passati altri quarant’anni e quella scaramantica espressione non solo aspetta ancora di essere esaudita, ma anzi nelle ultime elezioni presidenziali ha portato molti a ripeterla privatamente e pubblicamente. È infatti successo che gli ex DC, la cui fede e il cui animus certamente non possono essersi esauriti nel tempo, hanno riconquistato il centro della scena. Eccoli dunque in prima fila i reduci di un passato glorioso: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al secondo mandato, il suo più plausibile attuale antagonista Pierferdinando Casini, il suo precedente antagonista di sette anni orsono Romano Prodi tuttora papabile, il segretario del Pd Enrico Letta, i maggiori commentatori delle attuali elezioni presidenziali presenti su tutti i teleshow, Cirino Pomicino, Clemente Mastella, Bruno Tabacci. E infine l’eminenza grigia, anzi bianca, il sempre ministro Dario Franceschini. Insomma di fatto gli ultimi quarant’anni sono passati invano. Per di più gli unici due laicì attendibili protagonisti dell’evento presidenziale, Mario Draghi ed Elisabetta Belloni, seppure senza tessera, provengono da quell’epoca, la Prima Repubblica, nella quale le carriere erano condizionate se non dall’appartenenza almeno dalla disponibilità a quel potere: Andreotti docet…ancora.
Questa sopravvivenza della Prima Repubblica nel 21º secolo testimonia che Partiti e Uomini della Seconda Repubblica, da Berlusconi ai berlusconiani ed agli antiberlusconiani, non sono riusciti a sostituirsi al passato né a raccoglierne il testimone. Di questa incapacità è straordinaria testimonianza il numero dei laici, ossia i non parlamentari o meglio i tecnici con o senza tessera, che in questi secondi quarant’anni e soprattutto negli ultimi venti hanno raggiunto il top istituzionale, ossia hanno guidato il Governo, da Ciampi a Dini a Monti, da Renzi a Conte a Draghi. Dunque meglio abbandonare lo slogan inutile e forse dannoso “Non moriremo democristiani”del povero Pintor e accettare quello che sembra il filo conduttore di questi ultimi anni “Primum vivere , deinde philosophari”.
E allora chi ha vinto e chi ha perso in queste elezioni presidenziali? Diciamolo senza infingimenti, ha vinto ancora la “Balena bianca”. Tutti i leader di Partito hanno fatto passi falsi : Berlusconi con una inopportuna candidatura anticipata che ha rimesso in moto la storia delle “olgettine”, Salvini col gioco del risiko formato Padania, ossia “mi gioco tutte le carte e resto col due di coppe”, Conte cercando una visibilità che rischia di trascinarlo davvero nell’ombra, la Meloni che per fare la prima della classe è finita fuori gioco.
Ha vinto insomma chi non ha perso, ossia chi non ha giocato : da buon democristiano Letta ha aspettato che l’onda gli riportasse le spoglie degli avversari, ha scelto l’attesa che alla fine ha condotto al successo il suo amico di Partito di allora la DC e di oggi il PD. Strano uomo quel Letta era espatriato in Francia da sconfitto, è ritornato per la disperazione degli altri sodali ed ha esordito malamente con lo “Ius soli” e col voto a 16 anni, sortite imprudenti ed inconsuete per un ex DC. La lezione gli è servita, è tornato alla prudenza, all’understatement ed ha vinto le elezioni amministrative a Milano, a Roma a Torino, a Napoli e nella maggioranza dei Capoluoghi, ha conquistato persino per sè stesso il seggio parlamentare di Siena, ha riportato il Partito al Governo sia con Conte che con Draghi ed alla fine ha riconquistato anche la Presidenza del la Repubblica con l’ex DC Sergio Mattarella. Con il 20% del consenso popolare accertato da tutti i sondaggisti, questi risultati sanno di miracolo. Un miracolo con poca politica, purtroppo con poca proposta, senza un segno che indichi la direzione di marcia, senza dissensi interni, nè feroci contrapposizioni esterne, insomma un miracolo nel segno della “Balena bianca”.
Dal diluvio di Tangentopoli la pattuglia dei sopravvissuti tanti anni dopo è tutta democristiana. I socialisti sono affogati nell’acqua sporca di processi pilotati, ne sono rimasti solo Giuliano Amato troppo furbo per restare legato alle idee ed ai compagni di allora e Rino Formica grande inesauribile vecchio che predice ancora il futuro sull’esempio del mitico tebano Tarsete. I comunisti sono finiti schiacciati tra le macerie del muro di Berlino, D’Alema sembrava salvo ed invece è affondato per così dire con la sua barca a vela, Bersani ha consumato il suo momento di gloria “smacchiando il giaguaro”. E gli altri? La Malfa figlio, chi era costui ? Fini, l’erede di Almirante, è stato per un breve periodo in sopravvivenza artificiale e poi si è perso per amore. Dei liberali nessuna traccia e neppure della Sinistra alternativa, qualche frammento è ancora in vita dei Verdi sopravvissuti nell’incendio dei boschi che amavano ! Il XXI secolo, parte importante della Seconda Repubblica, ha consumato gli altri eroi successivi, quelli della epopea berlusconiana, ma gli uomini della “Balena bianca” sono rimasti in piedi sulla tolda della loro Arca, convinti del loro destino di nocchieri per una navigazione senza termine!
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