Improvvisamente l’attenzione di tutti è per Conte, naturalmente nel bene e nel male.
Cosa c’è di strano, direte voi, è il Presidente del Consiglio.
Non è sempre stato così. Nel precedente governo era considerato (e si considerava) il notaio – nella migliore delle ipotesi il mediatore – tra i due scalpitanti vicepresidenti.
Ma già in quella occasione bisognava capire che quella sobrietà così esibita, quella compassatezza super partes serviva a definirgli un ruolo più tecnico, meno politico-partitico.
In un governo che si definiva populista, sovranista e postideologico, il Presidente si smarcava riservandosi il formale ruolo di garante della neutralità dell’Istituzione e dell’eticità dell’Amministrazione (è pur sempre l’avvocato del popolo).
Formalismo subito sottolineato quando “incaricato” ma non ancora “fiduciato” girava in taxi, circondato dagli uomini di scorta mentre pagava la corsa.
Tanto per far capire ai suoi alleati, il fior fiore della demagogia nazionale che, all’occorrenza, anche lui era capace di cavalcare l’indignazione.
In realtà la sua demagogia è pedagogia. Mentre gli altri inseguono e blandiscono in ogni modo possibile l’elettore, dandogli ragione qualunque turpitudine sostenga, egli invece si “concede” ma subito precisa, puntualizza, chiosa (è pur sempre il professore del popolo).
La sua storia politica (di quella personale non abbiamo saputo praticamente nulla) è assolutamente anomala per il nostro Paese. Conte era (segnalato da Bonafede) in un elenco di bei nomi da cui selezionare i ministri di un futuro governo. All’improvviso divenne la seconda o terza scelta, nella affannosa ricerca da parte dei 5Stelle di un premier quando, dopo mesi di trattative, di colpo si sbloccò il governo giallo verde. Ma solo il Movimento di Grillo poteva trovarsi in queste condizioni alla vigilia di elezioni in cui era dato da tutti, se non trionfatore come fu, almeno vincente.
Essendo loro per definizione i nemici dell’establishment, non potevano avere un normale gruppo dirigente, un ceto politico consolidato, una presenza territoriale organizzata, nonostante il partito esista oramai da anni.
Risultato: hanno scelto per il loro più prestigioso incarico la persona che sembra la personificazione stessa dell’establishment di stampo anglosassone.
Ve lo vedete il Presidente (che io considero un neodemocristiano 4.0) conformarsi al grido di guerra della allegra brigata pentastellata e lanciare dei “vaffa..”? Secondo me neanche verso il figlio quattordicenne qualora tifasse per i “frugali” olandesi.
Conte ha imparato il mestiere in fretta. Si è costruito una credibilità internazionale. Ha applicato la sua precisione alla conoscenza dei contenuti specifici di ogni decreto legge, circolare, Dcpm.
Si attiene ad una linea laica e non esibisce la sua fede.
Capimmo che era coraggioso e abile quando Salvini, convinto per un attimo di essere Mattarella, proclamò le elezioni dalla spiaggia del Papeete.
Conte trasformò le sue dimissioni in Parlamento in un atto politico. Perché – dopo aver collaborato silenziosamente – decise di autoproclamarsi l’avversario ufficiale del segretario della Lega, prenotandosi così uno potenziale spazio elettorale.
Fu efficace anche in termini comunicativi. Difficile dimenticare come appoggiandosi alla spalla del suo vicepresidente, in una sorta di confessione privata e con voce suadente, gli spiegò tutto quello che gli mancava per essere uno statista.
Tuttavia è la pandemia che lo ha reso davvero popolare ma non era così scontato. Molti altri premier (Macron e Johnson ad esempio) hanno pagato dazio.
Credo che abbia vinto dicendo la verità, ammettendo la confusione istituzionale e organizzativa tra Stato e Regioni, solidarizzando con la prudenza della scienza, dichiarando l’assenza di certezze. Ma in un dialogo continuo, rassicurante. Usando un tono medio tra autorevolezza e partecipazione, insomma un po’ da medico.
Ora viene il difficile perché la crisi morde, gli spiriti animali si risvegliano, la ripartenza tarda, il pessimismo è contagioso.
E se l’arrivo di molti soldi da parte dell’Europa (che egli, per essere onesti, ha contribuito ad ottenere), può confortare il Governo, difficilissimo sarà spenderli intelligentemente. E questo farà scendere i consensi nel Presidente.
Secondo alcune ricerche demoscopiche, Conte oggi (domani sarà diverso, forse già nel pomeriggio) con una sua lista autonoma può valere il 14% dei voti. Secondo Grillo il 30% dei consensi ai 5Stelle se ne fosse il capolista.
Tanto basta perché tutto lo schieramento politico lo veda come il pericolo pubblico numero uno. L’opposizione perché non vincerebbe, il PD perché perderebbe elettori a suo favore, Renzi perché non decollerebbe, persino Di Maio e Di Battista che preferiscono che il partito ottenga il 15% a condizione di esserne, ciascuno di loro, il capo.
Comunque vada a finire, il presidente del Consiglio “dilettante” ha mostrato più personalità, tenuta, spessore del previsto. Ha l’aria di essere un po’ snob, un po’ vanitoso, un po’ permaloso (gli ultimi due difetti sono generalizzati nel ceto politico).
Pare sia anche un perfezionista puntiglioso. Questa, invece, è una caratteristica rarissima nella nomenclatura, che è composta di tuttologi per forza di cose generici e superficiali.
Se Conte sapesse fare uscire la macchina pubblica – con la sua infinita burocrazia – dal pressappochismo, pigrizia, sciatteria, sarebbe già da ricordare per i prossimi decenni.
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