Vi ricordate di Beppe Grillo, il comico genovese che fondò un movimento rivoluzionario chiamato a rivoltare il Parlamento come un calzino (o a svuotare il Parlamento come una scatoletta di tonno), e a cancellare per sempre ogni radicata concezione della partecipazione politica in chiave di potere personale?
Che arringava, in piazze e teatri gremiti, portatore di un moralismo spinto fino al più becero giustizialismo, non esitando a elevare il sospetto alla dignità di prova di reità.
Che, nella foia accusatoria, non considerava la sofferenza di vite distrutte, di carriere stroncate, essendo ciò funzionale al suo unico obiettivo: la conquista del potere.
Che si accattivava, tra frizzi e lazzi, il consenso delle donne, aprendo il movimento alla partecipazione femminile, sia pur successivamente, relegata in ruoli secondari.
Che attraversava a nuoto lo stretto di Messina, facendo rivivere i fantasmi di una politica muscolare, di mussoliniana memoria.
Che aveva posto a fondamento della politica del movimento, e quale evidente surrogato di una inesistente ideologia, il motto “uno vale uno”, espressivo della più elevata concezione democratica di rifiuto di ogni posizione di potere e, più ancora, di prepotere e di rispetto assoluto tra i consociati.
Grillo, un comico che per gli accenti, i toni, il penetrante e irridente umorismo, sembrava interprete della tradizionale satira e della effervescente comicità, che va da Orazio a Pulcinella, intrisa nel contempo dei valori impreteribili della nostra civiltà, tradotti in progetto politico.
Ebbene, quest’uomo, evidentemente in linea col movimento da lui fondato – che, conquistato il potere, lo gestisce rinnegando ogni sbandierato principio – non ha esitato a diffondere un video in difesa del figlio. Nel córso del quale ha avuto, tra l’altro, l’impudenza di denunziare l’infondatezza della denuncia, per essere stata presentata otto giorni dopo il fatto – dimentico, sul punto, che il termine massimo offerto dal legislatore per la presentazione della querela è di un anno – e di accusare addirittura la giovane studentessa di essere stata consenziente allo stupro di gruppo e, quindi, di essere una “poco di buono” e una calunniatrice. Ciò con buona pace del diritto-dovere di difendere le donne vittime di violenza.
Non ha poi esitato a rinnegare, in un sol colpo, altri basilari princìpi pur avendoli sostenuti con forza in passato e rinnegando consolidati princìpi della nostra civiltà, da quello del rispetto delle regole del processo penale – che vogliono che si sia considerati innocenti fino al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna – a quello del rispetto della donna vittima di violenza sessuale e, infine, a quello del diritto degli stessi indagati di essere processati e giudicati al riparo da influenze esterne di ogni tipo, specialmente politiche.
Il video si è così trasformato in una pietra tombale sulla partecipazione politica del comico e sul destino dello stesso movimento.
E la stessa maschera di Grillo ha perso, nel córso del video, lo smalto di una comicità viva e ridanciana, per assumere quella di uno sconfitto e malinconico Pierrot, triste immagine di una patetica umanità.
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