Appena due anni e mezzo fa, il partito di Macron raggiungeva la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati. Oggi, nei settanta o poco più comuni con una popolazione superiore ai cinquantamila abitanti dove si votava per il ballottaggio, nessuno dei candidati eletti è stato eletto sotto le sue bandiere.
Ancora due anni e mezzo fa poco meno del 50% dell’elettorato era rappresentato dai due partiti in lizza per le presidenziali; oggi il numero dei consiglieri eletti da Lrm e dal Rn è tra il 5 e il 10% (secondo alcuni, la percentuale sarebbe anche più bassa).
Nel 2017 non c’era un solo deputato verde. Oggi i verdi sono presenti nelle coalizioni vincenti in più di quaranta comuni; e hanno il sindaco quasi sicuramente a Marsiglia e anche a Lione, Bordeaux, Strasburgo, Grenoble oltre che in altre città medio grandi.
Nel 2017 il partito socialista sembrava sull’orlo del disfacimento: oggi riconquista i suoi vecchi bastioni a Parigi, nell’Ovest e nel Sudovest della Francia e strappa al Pcf, Saint Denis, bastione rosso dal 1929.
Nel 2017, la sinistra, nel suo insieme, era debole e divisa. Oggi ha improvvisamente recuperato, almeno a livello locale, una capacità coalizionale che le ha consentito di vincere nella maggioranza dei confronti.
Nel 2017 l’avvento di Macron sembrava aver messo in soffitta la tradizionale contrapposizione destra/sinistra. Oggi questa è tornata all’ordine del giorno.
In tutto questo non c’è nulla di straordinario o di imprevedibile. Semmai un ritorno alla normalità.
Prima osservazione: l’uomo solo al comando e il “né di destra né di sinistra” non funzionano in un paese, come la Francia, fortemente politicizzato e strutturato (a rompere gli schemi, dal dopoguerra in poi, c’è stato solo De Gaulle; ma De Gaulle, a differenza di Macron, incarnava un progetto forte e comprensibile).
Il Nostro si è del resto prontamente adeguato al nuovo contesto. Precipitandosi ad accogliere tutte le 151 proposte della Convention citoyenne sul clima (e a sottoporre al referendum le due più importanti). La scritta sul muro che lo terrorizzava avrebbe finora le sembianze di un populista; ora non più.
La vittoria ecologista è anche quella dei socialisti (buoni i loro risultati a livello di sindaci, soprattutto nell’ovest, nel centro-sud-ovest, a Parigi e nella sua cintura; tolto al Pcf Saint Denis, che reggeva dal 1929); e soprattutto, di una generale capacità coalizionale: verdi, formazioni civiche e, assieme a loro, i partiti tradizionali della sinistra.
Hanno votato molto pochi è vero; ma è anche vero che, nel generale disincanto, hanno votato i più motivati e non le truppe cammellate.
Purtroppo il messaggio non c’è. Perché, qui e oggi, non c’è nessuno in grado di riceverlo.
Perché i verdi italiani sono stati massacrati. Da quadri della sinistra antagonista alla ricerca di una collocazione meno impegnativa; dalla tutela soffocante e censoria degli ex comunisti; da giovani virgulti in attesa di più luminosi destini; e, infine, da una classe dirigente che trasuda tristezza da ogni suo poro.
Perché i socialisti sono scomparsi dall’orizzonte; e non solo per colpa degli altri.
Perché la sinistra, a ogni livello è travolta da un passato di sconfitta e dedita a liti perpetue, che rendono pari a zero la sua capacità coalizionale.
E, infine, perché i comuni e la democrazia comunale sono stati le grandi vittime delle riforme istituzionale, del protagonismo di governatori e/o sindaci, salvatori della patria e, infine, della politica di austerità.
Ma, allora, l’unico messaggio importante e cogente che viene dalla Francia è quello di ripartire dai comuni. Facce nuove, cause vere, nuove forze in campo. Libere da qualsiasi legame con un passato che ci condiziona e ci uccide a poco a poco.
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