Conobbi Gianni nel 1965. Tristano Codignola, amico comune, volle che incontrassi Gianni e Roberto Spano all’Unuri; venivo da Vicchio di Mugello, dove lavoravo come professore di ginnastica alle scuole medie; mi ero iscritto al PSI nel 1960; aiutavo Don Milani nella sua scuola di Barbiana; avevo fatto un doposcuola comunale per i figli dei poveri; e avanzatempo studiavo Economia a Firenze.
Nacque già al primo incontro tra noi tre amicizia e simpatia; che restò tutta la vita. Prima nell’associazionismo universitario (fummo tutti e tre presidenti dell’Unione Goliardica Italiana); poi nella politica, socialisti lombardiani, loro con incarichi nella Direzione del Partito; e infine nell’amministrazione pubblica e, loro, in cariche elettive e istituzionali, Camera e Senato; e Gianni, Ministro della Repubblica.
Gianni fu una persona curiosa; amava sapere, conoscere, ragionare; non l’ho mai visto “riposare”, distendersi; era una macchina sempre in movimento. Con questa curiosità a volte faticosa e disarmante assieme. Ma Lui non sembrava mai stancarsi. Col tempo trovò nel ballo moderno uno strumento di distensione. Non ballava: si muoveva, si agitava, sudava e si lasciava portare da orribili musiche assordanti. Ma era una maniera di fare ginnastica, come mi disse una volta, di rimando alle mie ironiche prese in giro.
Una volta, a Hong Kong, eravamo con Sua moglie Francesca Barnabò; volle portarci in una discoteca con alcuni ambasciatori (era Ministro degli Esteri); scese in pista a “far ginnastica”. La cosa curiosa è che molti degli ambasciatori presenti lo seguirono e si agitarono in pista attorno a Lui, per compiacerlo.
Gianni fu un leader, ma non un trascinatore; un ragionatore, un chimico della politica. Aveva una memoria visiva, fotografica, i documenti gli restavano impressi, come le formule. Quindi leggeva con una rapidità impressionante; ricordava, rifletteva, elaborava e decideva sulle scelte da fare. Raramente improvvisava. E poi fu un leader in un team, non da solo. C’erano cose che i capi politici dovevano avere, come oratoria, retorica o demagogia, che Lui non aveva. Quindi in tutta la Sua vita politica fu capo, ma appoggiato ad altri, a Lombardi, a Signorile, a Craxi. Da solo forse non avrebbe retto. Questo non
voleva dire che non coltivasse un suo orto di idee e di amicizie, spesso anche da imporre agli altri.
In termini di potenzialità umana fu forse molto più capace a fare il Ministro che il politico. Fu un Ministro che si impose per il sapere (studiava sempre e tutto quello che era necessario), per la rapidità con cui prendeva le decisioni, per la forza con cui le imponeva e per l’entusiasmo con cui caricava i Suoi collaboratori diretti. Era temuto, per i Suoi rullini di marcia; correva e l’elefantiaca macchina dello Stato faceva fatica a starGli dietro; ed era temuto anche per la frequente forza che spesso usava sui Suoi interlocutori… dipendenti.
Ascoltava molto; e poi decideva; e voleva che tutti seguissero scrupolosamente la linea.
Spesso ho avuto idee diverse dalla Sue; e ha teso a massacrarmi da solo o in riunione. Il giorno dopo notavo che quasi sempre teneva conto di quello che gli avevo detto e in tutto o in parte faceva quello che gli avevo consigliato.
Avemmo per esempio lunghe discussioni sulla questione nucleare; Lui, di base, era un “nucleare” convinto; ma le tesi degli antinucleari soprattutto ambientalisti erano per molti aspetti ragionevoli, in termini scientifici e politici. La convivenza delle due politiche era difficilissima; ma alla fine fu la strada che prendemmo; anche perché Lui si studiò a fondo tutti i dossiers delle innovazioni nucleari (ce ne erano tante, a cominciare dai reattori a sicurezza intrinseca) e quelli delle politiche ambientali, che di per sé potevano non stare
nel campo antinucleare (i reattori, se sicuri, erano la risposta pulita alle energie fossili inquinanti, anche se progressivamente sempre più pulite ). Le questioni dunque erano tecnologiche, ma venivano usate politicamente in un senso o nell’altro. Quindi i dati oggettivi delle tecnologie si scontravano con il loro uso politico: e questo metteva il chimico De Michelis in sofferte incertezze, che si trasformavano in discussioni appassionate, nelle quali il Suo “sapere” normalmente prevaleva, se pure nell’incertezza dell’operare.
Talvolta viaggiavamo assieme; in aereo mi diceva tutto sui Paesi dove eravamo diretti: demografia, economia e politica; cifrava il suo dire, con libri e atlantini; e poi finalizzava la Sua visita.
Venne al mio matrimonio in Tunisia; con crudeltà imposi ai trenta ospiti italiani, tra cui Lui e la moglie Francesca dieci ore circa di un traballante autobus noleggiato, per arrivare da Tunisi a Ksar Debbab, nel Sud, all’ingresso del Sahara, dove si svolse la festa beduina. Durante tutto il viaggio, mi dicono, Gianni lesse, spesso ad alta voce, una guida turistica, che raccontava la storia delle località traversate e la commentava, per il piacere degli scanzonati amici, tra cui uno disteso nel corridoio dell’autobus a farsi sigarette d’erba.
Andai a trovarLo a Roma negli ultimi tempi; era la prima volta che per vedere un amico in città dovevo scendere le scale e non salirle. Lo trovai immerso in montagne di carte e volumi, con un libro aperto sul tavolo, che stava leggendo-studiando; era un libro di demografia in tedesco. Gli dissi che mi ero laureato con una tesi in demografia. Mi travolse con analisi complicatissime sullo sviluppo demografico dell’umanità. Mi arresi subito; lo
vidi ormai sofferente. Stetti male a lungo per questo ricordo; più per questo, in cui era ancora vivo, che per quelli delle visite veneziane a Gianni, ormai stravolto.
Tra noi ci fu soprattutto affetto fraterno, che andava al di là e al di sopra di tutto. Non ci ho mai lavorato assieme, né nella politica né nell’Amministrazione; ma ci siamo stimati e voluti bene.
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