L’Iran, il Presidente Trump, l’assassinio del generale Soleimani, le ripercussioni di un “nuclear deal” cancellato e neutralizzato, moltissimi i temi che si intrecciano e molti i punti di vista. Luciana Borsatti, giornalista Ansa e già corrispondente da Tehran, in libreria con una nuova e aggiornata versione del “L’Iran al tempo di Trump” per Castelvecchi Editore, riassume l’evento formativo che si è tenuto pochi giorni fa presso la Casa Internazionale delle donne di Roma, organizzato per l’Ordine dei Giornalisti del Lazio.
La Borsatti con grande lucidità e capacità di sintesi narra l’incontro: “E’ giudizio diffuso che le prossime elezioni parlamentari in Iran, il 21 febbraio, vedranno la vittoria degli ultraconservatori sui gruppi dei moderati e riformisti: gruppi che, insieme al presidente Hassan Rouhani, hanno puntato tutto sul dialogo con l’Occidente ed il ‘nuclear deal’ ma hanno perso la scommessa per la linea dura di Trump contro l’Iran. A determinare questo esito non dovrebbe essere soltanto l’ormai conclamata erosione del consenso popolare nei confronti di Rouhani – che probabilmente porterà ad una bassa affluenza al voto – ma anche la recente decisione del Consiglio dei Guardiani di bocciare oltre due terzi dei circa 14.500 aspiranti candidati, fra cui soprattutto i moderati e i riformisti, compresi 92 deputati uscenti”.
“Al tempo stesso, non è affatto scontato che questo potere di veto del Consiglio dei Guardiani – organismo composto da sei esperti di diritto islamico nominati dalla Guida Ali Khamenei e da sei costituzionalisti scelti dal Parlamento – sia in linea con lo spirito della Costituzione della Repubblica Islamica. Anzi, il dibattito sul tema di una riforma della Costituzione è aperto in Iran” prosegue la giornalista. A rilevarlo è stato Raffaele Mauriello, docente italiano alla Allameh Tabataba’i University di Teheran, intervenuto all’evento dal titolo: “Iran, la crisi peggiore degli ultimi 40 anni”. Un evento che ha visto la partecipazione di oltre 100 giornalisti e un dibattito a tratti molto acceso, e che ha avuto il merito di mettere in discussione molti assunti che si danno per scontati quando si parla di Iran.
Uno è appunto quello sull’antidemocratico potere di veto sui candidati al Majlis, potere che il Consiglio dei guardiani si è preso nel tempo, ha detto in sintesi Mauriello, ma su cui vi sono molti dubbi di costituzionalità; altri dubbi vi sono anche sulla durata dell’incarico della Guida, attualmente a vita benché la materia faccia capo all’Assemblea degli Esperti. E’ in corso infatti un dibattito interno sulla Costituzione e sulla possibilità di riformarla, ha rilevato. Cosa che implica, aggiungiamo noi, che possono esservi spazi di riforma interna al sistema: spazi che forse l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano del 2015 ha impedito di aprire, in quello che avrebbe potuto essere un graduale processo di cambiamento interno. Sostituito invece, proprio per effetto di quella politica di ‘massima pressione’ adottata dagli Usa, da quel rafforzamento dell’ala dura ostile al cambiamento e all’apertura all’Occidente che, con ogni probabilità, trionferà alle prossime elezioni parlamentari, facendo di Rouhani una vera e propria “anatra zoppa” anzitempo.
Mauriello ha anche messo in discussione la tesi secondo cui, nonostante la presenza di un Parlamento e di un presidente eletti a suffragio universale, le decisioni ultime siano in realtà una prerogativa della Guida, il Rahbar, la cui parola definitiva sarebbe sempre legge. In realtà, in un sistema in cui vi sono molti organismi o sfere di potere, spesso in conflitto tra loro, ha detto, “ciò che in realtà fa il leader è ratificare una decisione raggiunta con il consenso. Per esempio, Khamenei ha sempre detto che gli Usa sono inaffidabili, ma l’accordo sul nucleare è stato fatto lo stesso”, dal governo di Rouhani. Inoltre, la figura del leader corrisponde al nostro Capo dello stato, che è anche al comando delle Forze armate, mentre quella del presidente è analoga a quella di primo ministro. E così Qassem Soleimani, il generale dei Pasdaran ucciso da un drone Usa nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, se era certo una figura potente e carismatica in stretto contatto con Khamenei, non può considerarsi il “numero 2” della Repubblica Islamica come è stato definito dopo la sua morte, ma rivestiva una carica formalmente sottoposta al comandante dei Pasdaran e al Supremo Consiglio della Sicurezza Nazionale: un organismo collegiale al cui vertice vi sono il presidente Rouhani e un segretario da lui nominato, Ali Shamkani, formato da altri cinque ministri del suo governo e dal presidente del Parlamento (Ali Larijani), oltre che dal capo della magistratura e da altre figure indicate dalla Guida, come i vertici militari.
Insomma, siamo ben lontani da quel ruolo ‘tirannico’ che viene assegnato al leader da certe semplificazioni occidentali, e l’insieme degli organi che compongono il sistema si rapportano fra loro in modo ben più complesso di una semplice struttura piramidale. Anche se, come evidenziato da Alberto Zanconato, scrittore e giornalista dell’Ansa con 14 anni di esperienza nell’ufficio di corrispondenza di Teheran, resta aperto il nodo dei poteri decisionali detenuti dal Rahbar in forza del fatto che questi incarna l’aspetto ‘teocratico’ della Repubblica Islamica. In questo complesso sistema politico vi sono infatti contraddizioni e complessità, ha osservato Zanconato, che nascono da un problema di fondo: il Rahbar è un rappresentante di Dio sulla terra, secondo l’ideologia di Khomeini – ha sintetizzato – anche se non infallibile. E la Guida, proprio in quanto rappresentante di Dio, può dunque intervenire e dire l’ultima parola.
Oltre le questioni politico-dottrinali, resta urgentemente aperto il problema di cosa ne sarà dell’accordo sul nucleare del 2015 dopo che Trump ne è uscito l’8 maggio 2018 e dopo che Teheran, a partire dalla stessa data di un anno dopo, ha avviato un processo di graduale disimpegno dai suoi obblighi, processo accelerato proprio dall’uccisione di Soleimani. A parlarne è stata Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Interanzionali (Iai) nonché consulente dell’Alto rappresentante per la politica estera, durante il mandato di Federica Mogherini e ora anche con quello dello spagnolo Joseph Borrell. Innanzitutto, ha precisato Tocci, quella degli Usa non è stata una semplice “uscita” dall’accordo ma una vera e propria “violazione” di quell’intesa, come della Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che la recepiva. E se è vero che l’Europa è riuscita a fare ben poco per aggirare gli effetti delle sanzioni secondarie Usa contro le imprese europee che facessero affari con l’Iran, va considerato che Teheran non ha ancora spinto l’acceleratore sul suo processo di disimpegno quanto si è temuto, soprattutto dopo l’uccisione di Soleimani: ha cioè sì posto fine ai limiti previsti dall’accordo sul numero delle sue centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, ma per ora non ha né aumentato il grado di tale arricchimento fino alla soglia di allarme del 20%, né ha limitato l’accesso alle sue strutture nucleari agli ispettori dell’Aiea.
Ora però Germania, Gran Bretagna e Francia hanno ceduto alle pressioni di Trump, aprendo formalmente le procedure che potrebbero portare ad uno ‘snapback’ delle sanzioni Onu contro Teheran. Ma tali procedure possono anche essere seguite dilatandone i tempi. Quello che dunque sperano gli europei, ha concluso, è di poter tirare avanti fino a novembre, mese delle prossime presidenziali Usa. Nella speranza che a vincerle non sia più, stavolta, Donald Trump.
Il tema rimane caldo e dibattuto, e come recita il nuovo libro di Luciana Borsatti “…avvenimenti che chiamano anche l’Europa alla responsabilità di agire per fare uscire diversi attori dalla trappola dell’escalation e restituire agli iraniani il diritto di determinare i propri destini.”
La registrazione dell’evento è disponibile su Radio Radicale.
di Tiziana Buccico con Luciana Borsatti
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