Liliana Segre con la scorta per le minacce ricevute in quanto “sporca ebrea”. Nella partita contro il Verona il calciatore Ballotelli viene talmente tanto insultato (“negro, scimmia, mangia le banane “) che la partita si interrompe. Ad Alessandria una signora rifiuta di far sedere accanto a se sull’autobus una bambina di 7 – SETTE – anni perché di colore. Durante una partitella di calcio una madre insulta un bambino nero (“sporco negro vattene a casa tua”) che ha fatto un punto a sfavore del figlio. A settembre a Cosenza un bambino marocchino di 3 – TRE – anni viene steso con un calcio allo stomaco da un padre perché si era avvicinato alla figlia nel passeggino.
Potremmo andare avanti, purtroppo a lungo. Ma fa male. E viene da chiedersi: dove sono gli “italiani brava gente”? Cosa siamo diventati?
Razzisti, intolleranti, terrorizzati dal diverso, soprattutto se povero. Una paura intensa e molto spesso ingiustificata, alimentata da pregiudizi sapientemente fomentati da chi su questi sentimenti ha costruito (e continua a costruire) una fortuna elettorale.
L’Italia sta vivendo da anni una lunga crisi economica, il pil non cresce, anzi. La disoccupazione è alta, quella giovanile è altissima. Il rifiuto dell’emigrante viene giustificato con la necessità di difendere “il nostro”. Non solo i soldi, ma anche i servizi sociali. Peccato che non sia affatto vero.
Non conta spiegare che spesso i “negri” fanno lavori che gli italiani non vogliono fare più (ad esempio nell’edilizia, nella ristorazione, nell’agricoltura, nei servizi alla persona), che quelli messi in regola contribuiscono con tasse e contributi al welfare del nostro paese. Secondo il rapporto annuale della Fondazione Moressa di Mestre, gli immigrati sono l’8,3% della popolazione italiana, pari a circa 5 milioni di persone; contribuiscono per 127 miliardi al PIL italiano, ovvero l’8,6% del PIL totale; versano tasse IRPEF per 7 miliardi e contributi previdenziali per 11 miliardi, pagando di fatto 640 mila pensioni agli italiani. Vediamo i pensionati. Quelli stranieri sono solo 100 mila, mentre quelli italiani oltre 16 milioni. Tito Boeri – ex presidente dell’Inps – nel 2017 ha citato uno studio del Fondo Monetario Internazionale secondo il quale le previsioni Fmi, riviste a seguito della riduzione dei flussi migratori, dal 2045 ci fotografano un lavoratore per ogni pensionato. Senza la “stranieri spa” saremmo fritti.
Sotto il profilo economico gli immigrati, dunque, sono un affare per il nostro Paese. Ma moltissimi connazionali preferiscono aggrapparsi al rifiuto, alla diffidenza, repulsione e ostilità.
Eppure se ci voltassimo un po’ indietro, vedremmo che neanche 70 anni fa eravamo noi nelle condizioni che oggi esecriamo tanto negli “altri”. Ma In fin dei conti non dobbiamo neanche andare così lontano. Nel 1992, mentre arrivavano a Brindisi le prime navi stracariche di profughi albanesi, noi avevamo ancora in Svizzera almeno un migliaio di figli clandestini, nascosti nelle case dai genitori perché le rigidissime leggi elvetiche non consentivano di portare i bambini. Non potevano uscire perché se riconosciuti italiani sarebbero stati rispediti in Italia. <Piccoli fatti entrare di straforo e costretti a vivere come Anna Frank>, scrive Gian Antonio Stella nel suo libro “L’orda”.
Nel 2014 sono stati 100.000 gli italiani partiti alla ricerca di un lavoro all’estero. Non più con la valigia di cartone, ma con una laurea in tasca. E lo scopo era lo stesso. Secondo i dati elaborati dal centro studi Idos (organizzazione indipendente sponsorizzata tra gli altri da Unar, Caritas e Chiesa Valdese) nel 2017 se ne sono andati dall’Italia circa 285 mila cittadini. L’Ocse segnala come l’Italia sia tornata ai primi posti nel mondo per emigrati, per la precisione all’ottavo, dopo il Messico e prima di Vietnam e Afghanistan.
C’è poi da considerare che ogni emigrato istruito italiano è come un investimento che se ne va: mediamente 164 mila euro per un laureato, 228 mila un dottore di ricerca, secondo i dati dell’Ocse. Il centro studi della Confindustria ha calcolato che la perdita annuale da attribuire all’emigrazione dei giovani italiani under 40 sarebbe pari all’1 per cento del Pil.
E noi continuiamo ad accanirci contro “gli sporchi negri”.
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