Donald Trump ha detto con certezza di espressione e senza mezzi termini che l’Italia starebbe meglio fuori dall’Unione Europea. La notizia, pur tra le mille furbizie giornalistiche per toglierle valore (in primis: i passi avanti della procedura di impeachment del Presidente degli Stati Uniti), introduce un elemento nuovo di discussione (se sarà raccolta, ma è più che lecito dubitarne) su una “possibile” verità, su cui, sinora, è stata sempre messa la sordina dal sistema mass-mediatico occidentale.
E cioè: sull’ipotizzata influenza negativa della rete di vincoli, lacci e lacciuoli posta dall’Unione Eropea sugli Stati membri, rendendoli non più liberi di perseguire come first il proprio interesse alla crescita produttiva ed economica. Ora, dato che l’ha detto Trump che riesce a focalizzare su di sé tutto l’odio dei cosiddetti “benpensanti” Europei (quelli che si ritengono intellettuali a la page e pensatori brillanti già dopo il diploma della scuola media) è possibile che ne scriva qualche notista politico, sia pure solo per aggiungere altri elementi di denigrazione contro l’odiato nemico (la storia si ripete: era già avvenuto con Winston Churchill, altro papavero più alto degli altri che Tarquinio, il superbo, avrebbe tagliato in cima con la falce). Eppure, bastava usare la “logica” per giungere alla stessa conclusione del leader nord-americano.
L’Italia, grazie agli sforzi della sua classe imprenditoriale e a governi del Paese che non avevano ancora scoperto le delizie di una politica fiscale come quella che sta facendo giocherellare l’attuale maggioranza parlamentare (in progressiva debàcle nel Paese) tra aliquote, sotto-aliquote e concessioni annuali anche di pochi centesimi per una strombazzata redistribuzione del reddito, si era collocata tra le maggiori potenze industriali del mondo.
Dopo l’introduzione dell’Euro e vari trattati europei (di Maastricht e di altre varie denominazioni) che impedivano investimenti, imponendo agli Stati, in nome dell’austerity (bella parola per coprire le vergogne, come i pannoloni in taluni dipinti delle Chiese cattoliche) di tenere sempre disponibili nel salvadanaio nazionale soldi per ripianare gli eventuali deficit delle banche, prodighe di crediti (con interessi) a imprese in difficoltà, e per sostenere il traffico umano di mano d’opera a basso costo per una sorta di nuovo schiavismo (tutto a beneficio di imprenditori decisi a non “delocalizzare” i propri opifici, altra opzione gradita), il Bel Paese è precipitato, ruzzolando malamente, sulla scala delle potenze industriali fino a raggiungere i gradini più bassi, prossimi al baratro.
Il Presidente Trump ha parlato con la sua consueta e apprezzata (da chi non ama le ipocrisie e i giochi della retorica, cosiddetta “dotta”) chiarezza ma c’è da chiedersi: era così difficile desumere, usando il raziocinio, che qualcosa non andava per il verso giusto nell’Unione Europea dei 28 Stati-membri egemonizzati da due soltanto di essi (Germania e Francia)?
Era così difficile arguire che dei tecnocrati provenienti dalla banche e che sostituivano nella sostanza delle vere decisioni gli uomini politici (che, in modo del tutto inutile, erano democraticamente eletti nei vari Paesi) avrebbero portato allo sbando economie di antica stabilità? No! Non lo era, ma la grancassa dei mass-media era (e continua a essere) suonata dalle Banche Europee e Anglosassoni: i batteristi provenivano dai palazzi comunitari di Bruxelles o dagli edifici in vetro-cemento di Wall Street e della City.
In più, i liberali che, militando nel Partito Repubblicano, hanno espresso Donald Trump in America del Nord non sono presenti nella parte continentale dell’Europa. In questa zona del mondo vi sono sedicenti liberali che sono semplici caudatari dei democristiani e dei socialdemocratici. Essi rappresentano la longa manus nel vecchio Continente dei Democratici americani, nemici dell’attuale Presidente (da Nancy Pelosi, vestale dell’impeachment fino a Obama, Clinton e via risalendo), finti amanti della cultura europea (!) e veri seguaci della politica cara ai finanzieri.
Nel Vecchio Continente dove i cosiddetti moderati avvertono il fascino di marciare verso sinistra, i sedicenti liberali intrecciano fin dai primi vagiti colloqui con i gauchisti e parlano di redistribuire, con cunei di vario tipo, un reddito che va diminuendo di anno in anno e di cui non si preoccupano di arrestarne la caduta. Su chi potrebbe fare mai leva il liberale Trump che ha avuto il coraggio di distruggere il feticcio del libero scambio, così caro ai globalizzatori e tanto nocivo alle liberal-democrazie quanto vantaggioso per i Paesi fortemente autoritatri se non tirannici?
Nell’empiristica, pragmatica e solida Inghilterra, Donald Trump ha potuto invitare il liberale Johnson a unirsi persino all’ostracizzato Farage pur di fare uscire, il prima possibile, il suo Paese dall’asfittica Unione.
In Italia può mai invitare i sedicenti liberali a dare dignità culturale e democratica all’istanza politica “sacrosanta” di liberare il Bel Paese sia dal cappio dei tecnocrati di Bruxelles, ispirati dai finanzieri di New York e di Londra sia dall’egemonia di un ultradestra, che nelle sue componenti, per giunta, mostra volti sempre più divergenti e contraddittori? La risposta allo stato sembra essere decisamente negativa… ma un detto dice: “mai dire mai”!
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