Oggi il nostro tricolore compie 225 anni.
Parlando della bandiera italiana, la prima cosa che mi viene in mente è la forza che esprime quale simbolo della nostra Patria e delle libertà conquistate. È il simbolo dei sentimenti più nobili del popolo italiano, di cui rappresenta l’unità nella Nazione e per la Nazione. È il simbolo che ha accompagnato il cammino del nostro Paese nei momenti luminosi e in quelli più bui.
Anche se non ce ne accorgiamo, anche senza vederlo, il nostro tricolore lo abbiamo cucito sulla pelle fin dalla nascita. Emerge e si manifesta in circostanze particolari per darci forza, passione e coraggio, specie quando la comunità si trova a vivere momenti d’incontenibile euforia (un grande successo sportivo) o un’emergenza dai risvolti drammatici, in cui i legami sociali si riscoprono più solidi.
La nostra bandiera ha attraversato più di due secoli di storia d’Italia e la sua comparsa porta un nome e un cognome, Napoleone Bonaparte, che portò con sé nelle due campagne d’Italia del 1796 e del 1800 il tricolore francese nato dalla Rivoluzione. E al di là delle improbabili interpretazioni che farebbero risalire la combinazione bianca, rossa e verde addirittura a Dante e alle Signorie, il tricolore italiano fu solo una semplice variante di quello transalpino attraverso la sostituzione dell’azzurro con il colore che garantiva migliore visibilità ed effetto cromatico.
Nato come vessillo militare concesso da Bonaparte l’11 ottobre 1796 a Milano alla Legione Lombarda, il tricolore italiano fu adottato per la prima volta quale bandiera di Stato italiano dalla Repubblica Cispadana, nella celebre seduta del suo parlamento riunito a Reggio Emilia il 7 gennaio del 1797. A proporne l’adozione era stato il deputato di Lugo di Romagna Giuseppe Compagnoni, a tutti gli effetti il “papà” della nostra bandiera.
In diverse forme e combinazioni, il tricolore italiano, accompagnò il cammino dei territori sotto il dominio francese, che assunsero il nome di Repubblica Cisalpina, Repubblica Italiana e Regno Italico, il grande Stato crollato nel 1814 insieme con la sconfitta di Napoleone. E sebbene la stagione napoleonica ridusse la penisola a una colonia francese, grazie a essa germogliò, per la prima volta dopo secoli, l’idea, la speranza e la visione di una nazione italiana unita e indipendente.
La Restaurazione relegò il tricolore nelle catacombe dei fermenti indipendentistici e negli sfortunati tentativi insurrezionali del successivo ventennio, da cui riemerse prepotentemente nel 1848 prima in Sicilia, poi fra le barricate milanesi delle Cinque Giornate e infine a Torino.
Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto attribuì il tricolore italiano, caricato al centro dallo scudo sabaudo rosso alla croce d’argento, ai reparti dell’Armata Sarda che si accingevano a varcare il confine per portare la guerra all’Austria sui campi della Lombardia. In giugno, quel tricolore fu innalzato alla dignità di bandiera di Stato, le cui caratteristiche furono definite da Cavour nel 1851.
Da allora, la bandiera seguì la stagione dell’indipendenza della penisola, culminata il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia e, un decennio più tardi, con il plebiscito di Roma Capitale. Tuttavia, la mancanza di una specifica legge regolatrice portò per molti anni all’uso di tricolori non conformi al modello ufficiale e soltanto nel 1925 si ebbe una precisa indicazione delle due versioni: la bandiera nazionale, priva della corona reale, e la bandiera di Stato, dotata di corona, da esporsi nelle residenze dei sovrani, nelle sedi parlamentari, negli uffici e nelle rappresentanze diplomatiche.
Dopo il referendum costituzionale, il decreto legislativo presidenziale del 19 giugno 1946 stabilì la foggia provvisoria della nuova bandiera, confermata dall’Assemblea Costituente che, nella seduta del 24 marzo 1947, inserì il tricolore fra i principi fondamentali della Carta costituzionale, riservandole l’intero articolo 12: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.» E non è un caso che i costituenti abbiano scelto il termine “tricolore italiano”, già usato da Carlo Alberto un secolo prima nel famoso proclama del 23 marzo 1848 che diede avvio alla stagione dell’indipendenza.
La sua collocazione tra i principi fondamentali assimila il tricolore agli altri pilastri costituzionali (la continuità territoriale dello Stato unitario, l’indipendenza, il dovere dei cittadini e delle Forze armate di difenderlo) e vale anche come vincolo all’agire delle istituzioni e degli altri soggetti dell’ordinamento incaricati di funzioni pubbliche. Compresi, naturalmente, i singoli cittadini, il cui agire non poggia solo sui diritti ineludibili, ma prevede altrettanti doveri fondamentali.
E fra i doveri – oltre a quelli di solidarietà politica, economica e sociale (difesa della Patria, concorso alle spese pubbliche, fedeltà alla Repubblica, osservanza delle leggi) e all’obbligo di esecuzione degli ordini legittimi delle pubbliche autorità – vi è una serie di prestazioni e comportamenti di notevole rilevanza sociale, compreso quello di rispettare la dignità e il decoro del nostro tricolore.
La dignità della bandiera infatti è garantita dalla legge penale (art. 292), che prevede il delitto di vilipendio o danneggiamento per chiunque manifesta disprezzo o dileggio con espressioni ingiuriose (reato punito con multa), e chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato (reato punito con la reclusione).
La pena è più severa se il vilipendio (art. 83 del codice penale militare di pace) è commesso da un militare, il quale risponde del reato anche nel caso in cui vilipenda i colori nazionali riprodotti su altri supporti. La pena è ulteriormente aggravata in tempo di guerra (art. 47 del codice penale militare di guerra).
Per quanto concerne il rispetto dovuto al tricolore, il «Regolamento recante la disciplina dell’uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici» (D.P.R. 7 aprile 2000, n. 121) definisce nel dettaglio le modalità dell’imbandieramento degli edifici pubblici, prescrivendo che i vessilli devono essere esposti decorosamente, in buono stato di conservazione e correttamente dispiegati. Due cose da ricordare: sul drappo non ci possono essere figure, scritte, slogan o sigle e su ciascuna asta si può esporre una sola bandiera.
Al tricolore, inoltre, spetta la centralità e la precedenza rispetto a ogni altra bandiera, a eccezione delle occasioni dettate dalla cortesia internazionale.
Nonostante la presenza di norme rigorose, dobbiamo purtroppo registrare troppe falle, troppa indifferenza, troppa superficialità non soltanto nella corretta disposizione gerarchica delle bandiere, ma anche e soprattutto sullo stato dei drappi, troppo spesso logori, scoloriti, strappati, sporchi o avvolti completamente sulle aste per l’azione del vento.
È anche previsto, all’interno di ogni ente, una sorta di “guardiano” delle bandiere, in inglese flagman, ossia un funzionario responsabile del decoro e della corretta esposizione dei vessilli all’interno e all’esterno degli edifici. In ogni caso, la vigilanza generale sull’adempimento delle disposizioni relative alle bandiere è affidata ai Prefetti, che rappresentano il Governo nelle province.
Da alcuni anni è scesa in campo l’Associazione nazionale insigniti dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (ANCRI), che ha avviato una duplice campagna di comunicazione – «Viaggio tra i valori e i simboli della Repubblica» e «Decoro del Tricolore» – volta a promuovere, attraverso i simboli nazionali, i grandi valori richiamati dalla Costituzione repubblicana. A ciò concorrono le tante delegazioni del sodalizio, in Italia e all’estero, che vanno promuovendo momenti pubblici di riflessione per far conoscere l’uso, l’esposizione, la tutela, la conservazione e il rispetto del nostro tricolore.
Il 7 gennaio 2022 la bandiera italiana festeggia il suo 225° compleanno. Iniziamo fin d’ora, tutti insieme, ad alimentare la conoscenza del suo valore simbolico per celebrarlo degnamente. Il tricolore si attende da noi un solo regalo: poter sventolare sul paesaggio italiano in tutta la sua bellezza. E se non vi basta, provate a immaginare il vostro paesaggio individuale e collettivo privato della nostra bandiera. Vivremo ugualmente, certo, ma senza anima.
di Francesco Tagliente, Prefetto e delegato alle relazioni istituzionali dell’ANCRI
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