Salute a tavola

La Cassoeula solidale

La gastronomia è sempre all’attenzione degli italiani. Le reti televisive inondano le nostre case di programmi di cultura gastronomica ossessivi, fantastici e fantasiosi spesso, secondo le mie preferenze, di una noia mortale. raramente gradevoli e divertenti. Esiste piuttosto un ottimo giornalismo enogastronomico della carta stampata che ha il suo spazio e viene seguito da lettori affezionati. È un giornalismo meno interessato alle ricette e più attento alla storia dell’alimentazione, all’antropologia alimentare e alle tradizioni popolari. Non seguo, se non occasionalmente, i programmi televisivi mentre, leggo volentieri i pezzi di Davide Paolini, Camilla Baresani, Fiammetta Fadda e di altri ancora anche se fanno sempre un po’ troppa pubblicità a osterie, bettole, ristoranti, più o meno di lusso, locali per foodisti, enoteche, aziende vinicole.

E’ vero che, a volte, può essere anche utile qualche informazione per gli acquisti. Giorni fa sono rimasto sorpreso da un articoletto (articolo piccolo ma ricco) a firma di Donata Marrazzo per la rubrica “Calalù” (non so cosa voglia dire) dell’inserto Domenicale del Il Sole24ore dal titolo “Cassoeula solidale”. L’articolo parla di Maria una cuoca che incarna molte doti delle donne che con le loro ricette producono vita e solidarietà sociale portando “con se una schiscetta (parola incomprensibile assente nel famoso vocabolario Devoto-Oli) piena di Cassoeula mentre il vento della sera scannella” (un verbo dalle mille suggestioni) il Baltico. (SIC).

La Cassoeula solidale

La Cassoeula solidale

Questa Cassoeula l’avevo sentita nominare in passato senza mai approfondire per capire cosa fosse una realtà. Ora lo so perché la Marrazzo propone la ricetta che io trovo interessante, almeno dal mio punto di vista, di medico incallito. La preparazione di questa Cassoeula richiede una cottura di tre ore delle parti povere del maiale. Non si può rimanere indifferenti alla necessità di una cottura così prolungata perché i cibi stracotti non sono proprio l’ideale della cucina sana.
Dopo aver rosolato nell’olio e nel burro cipolla, sedano e carota si uniscono le costine, le cotenne, e i piedini (non si può sottovalutare la delicatezza). Poi si bagna il tutto col vino bianco, si aggiunge il sale, la salsa di pomodoro, 1a salvia, l’alloro e 300 ml di acqua calda. A metà cottura si aggiungono salamini verzini (le foglie di verza?) a cuocere con il coperchio. Infine condire con il limone.

Debbo immaginare che dopo tre ore il tutto avrà acquistato un sapore stravolgente che potrà essere gustato solo da persone sane di mente con stomaci di ferro, assolutamente indenni da influssi psicologici che possano in qualche modo rallentare la digestione. Ma quando dovessero andare dal dottore cosa direbbero delle proprie abitudini alimentari? Parlerebbero della Cassoeula?

Forse una volta nella vita anche io la mangerei ma certo, data la mia fragilità emotiva non potrei poi lamentarmi di qualche disturbo digestivo. Andrea Vitali è un medico che lavora sul lago di Como ed alterna all’esercizio della professione quello della scrittura di romanzi e racconti, vincendo tanti premi. Per la Mondadori ha pubblicato “Tre minestre” il racconto dei rapporti con le zie e con cibi e ricette che hanno scandito la sua educazione adolescenziale. Ricorda la cassoeula e ne riporta la ricetta che comprende costine, cotenne, codino, piedini cipolle burro, salvia, vino bianco, 3 kg di verza, brodo di carne, salamini anche qui verzini (!?) sale.

Rispetto alla precedente manca il pomodoro, l’alloro e l’aggiunta del limone. Ma la cottura viene limitata alle due ore. Andrea Vitali non nasconde una certa decisa riluttanza a tollerarne la vista e sopportarne l’odore. “Ma per convincermi a consumarla dovrei riuscire a dimenticare la scricchiolante fragilità di ciò che diventiamo, con le vuote orbite del cranio, il desolante anonimato dei femori, tibie e vertebre senza più nome”. Forse lui come me non ci riuscirà mai. Non si può mangiare superando la paura della morte. Preferisco l’associazione di due verbi Essere & mangiare perché il tedesco Essen vuol dire mangiare ed è assonante con esistere, vivere promuovendo il confronto con la vita che si realizza a tavola!

E’ naturale il ricordo del famoso libro di Hermann Hesse “Essere e avere” il concetto di avere non è molto lontano da quello di mangiare di introiettare il cibo come per possederlo. Mangiare per vivere o vivere per mangiare un abbinamento che non a caso abbiamo tenuto insieme dalla & commerciale.

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Mario Mazzetti di Pietralata

Gastroenterologo, già Primario Medico Ospedale Sant’Eugenio Roma.

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