La Cina invia in Italia i suoi medici virologi e dona mascherine e respiratori per aiutarla contro la diffusione del coronavirus. La notizia della scorsa settimana fa venire in mente la storia di un importante cliente di uno studio di Hollywood che ringrazia per la bottiglia di champagne ricevuta per il suo compleanno con una nota che dice: “apprezzo il gesto e resto in attesa delle rimanenti cinque bottiglie della cassa”. Nel caso dell’Italia, la nota di ringraziamento dovrebbe dire: “apprezziamo il gesto e rimaniamo in attesa dei 1.000 miliardi di euro per ripagare parte dei danni che avete causato”. Nessuno può negare che la negligenza dei cinesi sia fuori di qualsiasi giustificazione. E non è la prima volta che causano una situazione simile. Molti ricorderanno l’epidemia del SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave) del 2003, originata da Foshan nella provincia di Guangdong, a 1.000 chilometri da Wuhan, la città nella provincia di Hubei, dove si è sviluppato il coronavirus.
Naturalmente c’è anche negligenza di molti industriali italiani (e non solo) che, in nome del profitto hanno portato la produzione in Cina sacrificando la qualità e la sicurezza locali. Ancor più che con la SARS, con il coronavirus si è scoperto che, ad esempio, il “Made in Italy” della moda non era in pratica che un “Made da un’idea italiana”. Ciò non toglie nessuna responsabilità ad una società non trasparente come quella cinese, che punisce chi allerta le autorità di imminenti pericoli, come è accaduto nel caso dei dottori di Wuhan minacciati di arresto per aver aver cercato di far evitare l’attuale pandemia. E non si tratta di ignoranza, visto che il nuovo virus proviene da una città moderna. Abitudini alimentari che includono, per superstizione, animali come pipistrelli, gatti-civetta e topi, tipici portatori di virus, vengono incoraggiate dal governo cinese e sono ristrette alle classi benestanti.
Seppur alimentarsi con animali selvatici si sia diffuso con la carestia del 1978, nel 1988 il governo cinese ha istituzionalizzato la “wildlife farming industry” (l’industria degli animali selvatici) al punto che nel 2018 era diventato un settore valutato a 140 miliardi di Yuan (20 miliardi di dollari) l’anno.Il coronavirus si è sviluppato nel Wuhan Hunan Haixian Pifa Shichang, il “wet market” o mercato alimentare di Wuhan (nella foto), dove viene venduta appunto la carne di animali selvatici.Ma c’è un’altra considerazione proposta da due coraggiosi scienziati dell’Università della Cina del Sud, nella provincia di Hunan: che il coronavirus sia fuoruscito dal Wuhan Center for Disease Control and Prevention, un laboratorio che si trova a 280 metri dal “wet market” di Wuhan; questo anche perché il pipistrello (a cui si attribuisce l’origine del coronavirus) non sarebbe un cibo venduto in quella città.
Gli stessi scienziati hanno poi espresso il timore che il coronavirus possa essere trapelato da un secondo laboratorio nato per studiare virus letali (microrganismi patogeni) posto a 12 chilometri dal “wet market” di Wuhan. Ecco quindi un’ulteriore responsabilità della Cina, oltre a quelle di negligenza, mancanza di trasparenza, disinformazione, ed incompetenza. Forse 1.000 miliardi di euro come compenso all’Italia sono pochi.
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