In tanti minacciano la crisi di governo, ma nessuno la vuole davvero. Non la vuole il presidente del consiglio Conte il cui tempo finirebbe, non la vuole la stragrande maggioranza dei parlamentari in carica che non sarebbero rieletti, non la vuole il movimento 5Stelle che è sull’orlo di una crisi dirompente, non la vuole il segretario del PD Zingaretti nonostante dica il contrario perché darebbe l’addio al governo, non la vuole la Lega uscita acciaccata dopo il rinvio a giudizio di Salvini, meno che mai la vorrebbe Berlusconi considerato che Forza Italia è sul punto di sparire, forse non dispiacerebbe a Fratelli d’Italia con la Meloni che cavalca un’onda positiva. E che dire di Italia Viva? Probabilmente Renzi è quello che meno la teme, perché ha più carte da giocare come battitore libero e perché spera in cuor suo che in ogni caso non si andrà ad elezioni anticipate.
Ecco il punto: elezioni a breve o proseguimento della legislatura, se non fino alla scadenza naturale almeno per un altro anno abbondante per cercare di rimettere in piedi una situazione che fa acqua da tutte le parti.
Se non ci sarà crisi, il futuro del governo in carica è destinato comunque ad una vita travagliata; il pasticciaccio della giustizia è la manifestazione lampante della propria incapacità di affrontare i problemi e risolverli nel concreto.
L’impuntatura sulla prescrizione del ministro Bonafede, con l’avallo del presidente Conte e l’assenso del Pd a rinviare il problema in attesa di una riforma del processo penale che nessuno può immaginare quando avverrà e come sarà, rappresenta una mina innescata che può esplodere da un momento all’altro. La rimozione di quell’ostacolo costituisce un segnale ampiamente atteso non solo dal mondo dell’avvocatura, ma anche dai settori della magistratura più rispettosi della Costituzione. Se quel segnale non arriva, a Palazzo Chigi e dintorni dovranno, a breve, fare i pacchi.
Nell’ipotesi di crisi, la decisione passa al presidente della Repubblica. Nonostante le voci che da settimane si rincorrono in tal senso, il presidente Mattarella, posto davanti alla questione dirimente: se procedere allo scioglimento delle Camere, con il conseguente ritorno alle urne elettorali, o ricercare una soluzione diversa, avrà molto da considerare.
L’Italia sta attraversando una fase tra le più delicate della sua vita democratica, sia in campo economico-sociale sia in quello più propriamente politico.
L’economia è stagnante, la tendenza internazionale, fattore determinante per il sistema produttivo e commerciale del Paese, è foriera di attese negative. Sul piano interno i problemi irrisolti, dall’Italia all’Ilva e alle altre decine e decine di crisi aziendali, non consentono un vuoto di potere e il rinvio fino all’esito finale della bancarotta.
In campo politico è in atto un sotterraneo movimento di forze per una una ricomposizione del quadro generale che richiede tempi di realizzazione non immediati. Tanto nelle parti di governo quanto in quelle di opposizione è in atto una fase che presumibilmente porterà a più di una scomposizione (da 5Stelle a Forza Italia, da frange del PD ad altre della Lega) che potranno dar vita ad altre e diverse aggregazioni.
Ugualmente i problemi aumenterebbero in campo economico, proprio adesso che accennano a calare le tensioni internazionali sui tassi di interesse (lo spread è sceso e il collocamento di titoli di Stato è meno gravoso, con riflessi positivi per il debito pubblico). L’apertura di una nuova incognita politica sarebbe deleteria, ancor di più nel momento in cui c’è da riprendere un discorso costruttivo con l’Unione Europea anch’essa all’apertura di un nuovo ciclo di governo
In presenza di questo quadro complessivo, l’avvio di una campagna elettorale esasperata e senza sbocchi decisivi rappresenterebbe un salto nel buio.
Si può confidare che un uomo di raffinata formazione e di lunga esperienza politica saprà indicare la soluzione opportuna ad una situazione tanto complicata e difficile come quella che l’Italia sta attraversando, mettendo tutte le parti politiche dinanzi alle loro responsabilità nei confronti degli italiani, magari auspicando che, per un tratto, esse possano deporre le armi e congegnarsi tutte a dare un contributo per uscire dalla crisi.
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