A casa ho circa 150 libri. Metà letti, metà non ancora letti e metà parzialmente letti. In questo momento, nella lista “da leggere parzialmente” ci sono quattro libri: “Up All Night” di Lisa Napoli, “Warhol” di Blake Gopnik, “Antifragile” di Nassim Nicholas Taleb, ed il libro che ho scritto, “Ero Gracile: la rivincita della B12“.
Il primo libro parla del pioniere della televisione, Ted Turner. Ho incontrato Turner due volte formalmente e quattro volte in modo casuale, ma da ció che ho letto finora in “Up All Night“, penso di conoscerlo meglio dell’autrice del libro.
Ho iniziato il libro su Andy Warhol solamente perché la sede della nostra rivista “VideoAge” si trovava in una delle sue precedenti residenze.
“Antifragile” non è stata una mia scelta. L’ho trovato sul tavolino accanto al divano ed è un buon compagno durante le sedute in bagno. È scritto da un economista che ha guadagnato miliardi in borsa. Finora, una delle parti più interessanti del libro riguarda i vantaggi degli appartamenti con affitti bloccati a New York City, definiti come privilegi a costo zero e con opzioni senza obblighi.
Circa il libro che ho scritto, sto cercando di leggerlo per capire perché ho scritto quello che ho scritto! Se costretto, finirò i libri su Turner e Warhol per farne delle recensioni da pubblicare su “VideoAge“. Dubito che leggerò gli altri due interamente. Ho dalla mia parte anche lo stesso Taleb che ha affermato come i libri non letti siano più preziosi di quelli letti, poiché i libri non letti possono insegnare cose che ancora non si sanno.
Ho smesso di leggere i libri per intero anni fa, quando hanno cominciato a farmi sentire inadeguato: più leggevo, più mi rendevo conto di quanto fossi ignorante. Mi identificavo con la tipica capra di Vittorio Sgarbi, ed era troppo per il mio fragile ego. Così sono passato a leggere giornali, visto che il contenuto è familiare (spesso sentendone parlare in anticipo in televisione), e a leggere l’inserto “Book Review” che accompagna le edizioni domenicali del “New York Times“. Vedere come alcuni revisori dei libri siano ignoranti quasi quanto me, mi risolleva l’animo.
Inoltre, durante le riunioni, le conversazioni o le interviste via Skype o Zoom, utilizzo la cucina di casa come sfondo, per differenziarmi dagli altri, che si fanno vedere davanti a scaffali stipati di libri. Taleb ha anche detto che una biblioteca personale dovrebbe rappresentare sia ciò che il proprietario sa, sia ciò che non sa. Nel mio caso, farmi vedere davanti ad uno scaffale di libri creerebbe delle false aspettative.
Kevin Mims ha scritto sul “Book Review” che una voluminosa libreria personale mostra una personalità curiosa, aperta a nuove idee. Purtroppo per un giornalista i fatti sono più importanti delle idee.
Inoltre, non vorrei proiettare l’immagine di tuttologo (questa funzione spetta a mia figlia) e rischiare che le persone si rivolgano a me per dei consigli, cosa che in realtà è successa solo una volta, da un uomo vestito in modo trasandato a cui ho consigliato di indossare una cravatta, ma che in realtà voleva una dritta su quale cavallo scommettere.
Lo sfondo della cucina inoltre mi ricorda alcune foto in bianco e nero degli anni ’60 e ’70 quando i personaggi, le celebrità ed i politici si facevano ritrarre nelle loro cucine di casa. Usare la cucina come sfondo è utile anche per non sembrare un presuntuoso radical chic, dal momento che un giornalista dovrebbe creare uno shock con i suoi articoli.
Infine, scrutinando i libri di chi si siede davanti alla libreria di casa, si nota spesso un buon numero di libri che sostengono idee liberali, ma quanti libri deprimenti si possono leggere sul declino della democrazia?
Foto. Quando farsi vedere in cucina era “cool”: Ronald Reagan, Frank Sinatra, John Kennedy, Gerald Ford, Margaret Thatcher, e Walter Mondale.
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