Fa amaramente sorridere la sterminata produzione di articoli, retroscena e dichiarazioni che si inseguono in questi giorni attorno al tema della elezione del Presidente della Repubblica.
Nei casi migliori si tratta di “messaggi” trasmessi da qualche effettivo giocatore agli altri e resi, si ignora a qual fine, pubblici.
Nella stragrande maggioranza sono tuttavia dei patetici “c’ero – ci sono anche io” a segnalare una propria presenza attorno al rituale elettivo che, di fatto, inizia soltanto con la riunione congiunta dei Grandi Elettori.
È ben vero che la convocazione in seduta comune di Camera e Senato (più i rappresentanti delle Regioni) non avviene cum clave attraverso un processo di concentrazione spasmodica, ma è altrettanto certo che le vere dinamiche iniziano, veloci o meno che siano, da quel momento topico.
Colpisce, di conseguenza, il patetico evocar caratteristiche che sarebbero fondative delle candidature individuate e proposte.
Il Presidente “deve” rappresentare il popolo italiano. Peccato che il Presidente rappresenti di fatto il popolo italiano, chiunque egli sia e comunque sia stato scelto ed eletto.
Oppure: il Presidente deve essere espresso da una larga e coesa maggioranza. Peccato che la Costituzione precisi esattamente termini e modi della maggioranza necessaria e non vincoli minimamente ad essa i poteri, i ruoli e le responsabilità del Presidente eletto.
E così via, a dare indicazioni e suggerimenti senza averne la responsabilità o, tantomeno, il ruolo necessario che il Testo Costituzionale affida implacabilmente alle due Camere riunite congiuntamente all’uopo.
La verità è che questa politica tremebonda e infingarda che ci circonda tende ad impadronirsi e sottomettere quell’atto unico ed assoluto che è la elezione del Presidente.
Nel momento del silenzio, della curialità e dell’orgoglio alto del ruolo gli uomini della II Repubblica scelgono il battibecco per apparire e per conquistare un like.
Cercano, speriamo non riescano, di trasformare questo momento in una puntatona del Grande Fratello Vip.
Sarebbe tragicamente divertente se qualcuno provasse a sostenere che il Presidente non deve rappresentare tutti gli italiani, non deve essere patriottico ma mondiali sta, deve uscire da una ristrettissima minoranza di un voto… e così via.
Occorre tuttavia soffermarsi un attimo a riflettere sulle cause profonde di questo strumentale e diffusissimo atteggiamento.
La riunione in seduta comune di Camera e Senato implica, a ben ragionare, una modificazione profonda della dimensione personale e della natura stessa di ogni Grande Elettore.
Egli vive, o dovrebbe vivere, una completa inversione del suo status. Da individuo che cerca il consenso chiedendo il voto ai cittadini per esprimerne bisogni e richieste, egli ora è chiamato a esprimere un decisivo consenso. Non per una legge, necessariamente parziale, ma per una funzione di ordine generale ed assoluto.
Non trasferisce dunque in questo atto il sostegno, necessariamente limitato, che ha elettoralmente raccolto ma gli viene chiesto di assumere in proprio una responsabilità che porterà a una decisione non sindacabile.
Il singolo Grande Elettore dovrebbe essere felice ed orgoglioso di partecipare (se capita nella sua carriera) a un atto così diverso da tutti gli altri, dove, forse per la prima volta, non cerca popolarità ma assume responsabilità.
Dovrebbe, di conseguenza, circondarlo di elevatezza e rigore, serietà e silenzio.
Dovrebbe, appunto.
Dietro l’abbandono delle “pratiche di rigore” che caratterizza la infausta II Repubblica vi è l’abbandono e la conseguente scomparsa di un prezioso concetto, elaborato oltre il Tevere, che si definisce come “la grazia dello stato”.
Suona come apparente inversione di “stato di Grazia” ma ha un suo peso e un suo significato autonomo ben preciso.
Sta a significare, per dirla brevemente, che la assunzione di determinate responsabilità provoca nell’individuo che vi accede una modificazione profondissima, spesso non prevista e talora persino contraddittoria con gli obiettivi preesistenti dello stesso.
In altri termini si ritiene che il ruolo (con gli strumenti che lo rappresentano alla percezione esterna) abbia una sua forza autonoma capace persino di sostituirsi alle volontà e alle aspirazioni di chi vi perviene.
Non sembri (in tempi di 1 vale 1) una medievale rimembranza.
Basta riflettere al fatto che ogni nuovo ruolo ricoperto determina una visione delle cose e del mondo totalmente diversa, più vasta e articolata, di quella possibile in precedenza.
Chi viene chiamato non opera in base a un contratto stipulato con i suoi elettori ma dovrà operare in base alla visione dei fattori che la grazia dello stato gli conferisce.
Basti pensare al Generale De Gaulle, capace come fu di rompere con le gerarchie militari e i pieds noir dopo avere assunto la guida della Francia.
Valutò la questione algerina dal punto di vista complessivo della Nazione e degli equilibri mondiali. Sfidò accuse di tradimento e ben organizzati attentati. Il ruolo gli aveva conferito una nuova e gravosa prospettiva e ad essa si attenne.
Abbiamo, insomma, due differenti livelli di grazia dello stato che inizieranno ad operare nei prossimi giorni.
Il primo riguarda i Grandi Elettori che, dal momento in cui si saranno costituiti in quanto tali, dovranno operare in un contesto di responsabilità e di ruolo ben diverso dalla patetica caciara di queste settimane.
Il secondo riguarderà, chiunque egli sia, chi sarà stato chiamato a vivere al Quirinale.
Assumerà su di sé il carico delle varie responsabilità e la sua percezione delle cose cambierà.
Tutto starà ad indicare il cambiamento. La Guardia d’Onore dei Corazzieri, la collezione di orologi del Quirinale, lo stendardo presidenziale e così via.
I rituali e i simboli parlano anche a chi in apparenza non li conosce e, in ogni caso, segnalano con forza il salto di qualità cui, subito dopo la Proclamazione, il Presidente viene chiamato.
Rimane una ultima questione. Potrebbe il designato respingere la grazia dello stato e restare più o meno uguale a come era prima, pur assumendo l’incarico?
Io credo di no, ma comunque ci rimane la speranza che la voce autorevole che lo precede nei corridoi del Quirinale “Signori, il Presidente!” non serva solo a far balzare in piedi gli eventuali ospiti ma parli costantemente anche al lui, il Presidente.
Lo aiuti a dimenticare quel dolore alla gamba o quella disillusione personale per essere dovunque, sempre e costantemente il Presidente.
Tanto, non può mica scappare.
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