Non so se i liberali dell’Euro-continente abbiano notato che nel Regno Unito di Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America i conservatori-liberali e i repubblicani stanno da una parte mentre i laburisti e di i democratici stanno esattamente sul fronte opposto. A dividerli e a porli in posizione contraria sono singoli, specifici, concreti problemi; sui quali i due schieramenti prospettano agli elettori soluzioni pragmatiche diverse.
E non so neppure se i medesimi liberali abbiano posto la dovuta attenzione sul fatto che nell’Unione Europea (idest, in tutti gli Stati membri che la compongono) la loro contrapposizione alle forze di Sinistra non è mai così netta da impedire loro di accodarsi (in varia guisa e in larghe coalizioni) a partiti di maggiore consistenza numerica (per consentire la formazione di maggioranze di governo), in connubi che, se si interpretasse il liberalismo in senso rigoroso, dovrebbero apparire innaturali in modo addirittura sconcertante.
L’origine di una tale divaricazione è storica e sembra difficilmente superabile. Nella parte continentale d’Europa, infatti, l’individuo, pur liberato dopo una sanguinosa rivoluzione, dalla sua condizione di “servo della gleba” e dall’oppressione dell’ancien regime, ha continuato a essere succube di Papi, di Re, di Imperatori, di Oligarchi, di Tiranni e schiavo di ideologie pervasive, sedicenti salvifiche, astratte e improntate a dualismi vari (gli esseri viventi e Dio; gli Io particolari e quello Universale e via favoleggiando), senza possibilità di riscatto da tanta obnubilazione.
Il pensiero libero è apparso una prerogativa preziosa soltanto della Gran Bretagna, dove, per consentire libertà e potere decisionale all’individuo, l’Illuminismo inglese contribuiva a instaurare un diverso rapporto tra Monarchia e Parlamento nel solco della vecchia tradizione individualistica anglosassone. È vero che non si realizzava, neppure in quelle lande, la liberazione degli Inglesi dalla sudditanza a un Monarca (essa si aveva soltanto Oltreoceano, negli Stati Uniti, con la instaurazione della Repubblica Nord-americana) ma non s’imperversava neppure, con alcun Terrore, nella repressione di un pensiero libero non conforme a quello dei “nuovi” oppressori.
Da un tale quadro complessivo del pensiero occidentale si desume che la nascita dei movimenti politici che si autodefiniscono “liberali” è stata profondamente diversa: a) nell’Europa del Continente, dove dominava una cornice idealistica (religiosa e postplatonica); e b) nelle isole britanniche, dove prevaleva un composito quadro di empirismo laico e di una religione che in Italia si definirebbe “all’acqua di rose” per la sua notevole tolleranza e mancanza di assertività (Somerset Maugham nel suo “Il velo dipinto”fa dire a un suo protagonista: “E’ anglicano? Allora vuol dire che non crede quasi a Niente!”); e da quelle isole nel Nuovo Continente Nord-Americano.
In conseguenza della diversa origine culturale, il liberalismo anglosassone e quello continentale non possono considerarsi neppure parenti “alla lontana”: appartengono a due ceppi culturali non solo “diversi” ma diametralmente contrapposti (l’uno monista ed empirista; l’altro dualista e idealista).
In verità, la differenza tra il vecchio Continente e la parte anglosassone del mondo occidentale non è apparsa così eclatante sino a quando i Governi britannici e statunitensi, di orientamento sia di sinistra sia di destra sono stati gli uni e gli altri, in tempi ovviamente diversi, succubi del potere finanziario di Wall Streete della City. Interessatamente (idest, in cambio di sostegni di varia natura, soprattutto mass-mediatici) hanno accettato, più o meno supinamente, l’idea, portata avanti dal sistema finanziario, della trasformazione del capitalismo industriale in capitalismo prevalentemente monetario.
E’ accaduto, però, che le rispettive popolazioni, non aduse da duemila anni di sottomissione al potere assoluto nelle sue varie configurazioni (teocratica, monarchica, oligarchica, dittatoriale o democratica a metà, con partiti sostanzialmente inamovibili per il duplice e diverso spauracchio del fascismo e del comunismo) e da sempre immuni dal virus dell’idealismo tedesco post-hegeliano hanno cominciato ad avvertire e a manifestare disagio per i passi all’indietro delle loro economie strozzate dal potere bancario. Per la necessità, infatti, di colmare buchi creditizi in conseguenza dello scoppio di “bolle”, di default improvvisi e via dicendo i soldi dei contribuenti non erano più destinati totalmente ad investimenti produttivi e infrastrutturali (e quindi al miglioramento complessivo dell’intero Paese) ma, parzialmente, “al soccorso” dei ricchissimi finanzieri in difficoltà.
Comunque, anche il crescente voto detto “di pancia” della gente scontenta dello status quo determinatosi in quelle realtà politiche, non sarebbe stato sufficiente a eleggere leader politici come quelli che hanno favorito la Brexit e il riscatto statunitense, senza l’innovazione del sistema di comunicazione delle idee avutasi con Internet.
La Rete (il Web) ha avuto il duplice benefico effetto di contenere gli influssi nocivi sulle forze politiche dell’informazione egemonicamente gestita dal sistema mass-mediatico tradizionale (stampa e radio televisione) tutto in mano (in un modo o nell’altro) delle Banche e di rendere più palesi agli uomini politici le aspettative popolari. Quando ciò è accaduto la forbice tra la vecchia Europa continentale, da un lato, e l’Inghilterra insulare e il nuovo mondo statunitense, dall’altro, si è divaricata fino al punto da apparire un baratro incolmabile.
In Gran Bretagna e negli States i leader politici fautori del riscatto dalle banche possono agire per evitare il ritorno a un feudalesimo non più latifondistico ma monetario; possono impedire cioè che s’ignori, come nel Medio Evo, l’apporto e il valore dell’uomo-individuo nel processo produttivo della ricchezza e si restituisca all’imprenditoria industriale quel ruolo che ha sempre avuto in Occidente.
L’Eurocontinente, invece, è costretto a battere il passo e ad accettare l’involuzione feudale a causa della mancanza di un forza politica autenticamente liberale (di tipo anglosassone, per intenderci).
La “parentela” dei liberali italiani è più con i cristiano-sociali, con i democristiani, con i socialisti, con i laburisti inglesi, con i democratici statunitensi che non con i conservatori britannici o con i repubblicani nord-americani. E ciò non si limita al piano teorico ma si estende a quello pratico: nella parte europea continentale le forze liberali rappresentano solo una “coda” moderata dell’idealismo tedesco di sinistra (la “coda”di destra, rappresentata in Italia da Giovanni Gentile è finita con la caduta del fascismo). Non è certamente un caso, quindi, che il liberalismo continentale si muova nella stessa direzione politica dei cristiano-sociali e dei socialdemocratici, in un ruolo per giunta subalterno e sempre a sostegno dei banchieri di Wall Street e della City e dei tecnocrati di Bruxelles.
Conclusione amara: Gli uomini politici euro-continentali dal pensiero libero (ammesso che ve ne siano) e, comunque, con volontà di riscatto degli Stati-membri dall’oppressione asfittica dell’Unione Europea: a) rifiutando l’estremismo di destra (con le pose ducesche, il virilismo militaresco e il fregolismo “felpaiolo” dei suoi leader, con le confusioni concettuali tra recupero di sovranità, subdolamente sottratte e richiami nostalgici di un nazionalismo d’antan che non può accendere il cuore di nessuna persona veramente ragionevole); e b) trovando sparute pattuglie di liberali senza prospettive nè di profondo rinnovamento culturale né di ritrovata specificità politica non subalterna ai cosiddetti e falsi Valori Europei, sono in un vicolo cieco, in un tunnel senza sbocco.
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