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La ridda delle elezioni autunnali

Mentre il governo Draghi ha innestato una marcia progressiva che dovrebbe portarlo a conseguire i risultati sperati, dal successo alla lotta contro la pandemia, al rilancio dell’economia anche in virtù dei fondi europei, avviando una proficua stagione di riforme, dopo quella della pubblica amministrazione impostata dal ministro Renato Brunetta, ora è la volta di quella della giustizia a cui sta lavorando il ministro Marta Cartabia, l’attenzione della politica si sposta sul piano degli enti locali con le elezioni amministrative del prossimo autunno.  Ed è proprio da questo versante che vengono le novità e comincia il braccio di ferro tra le forze in campo.

La partita delle comunali definirà  il quadro del prossimo futuro dove il primo e più importante appuntamento è rappresentato dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica.  Il confronto elettorale per le grandi città, da Roma a Milano, da Torino a Napoli, a Bologna si presenta  agguerrito al  punto tale che gli screzi, se non ancora le rotture tra alleati sono già iniziati.  Al suo esito sono legati anche gli assetti di partiti e movimenti che si apprestano al cimento.

La vicenda di Roma rischia di far saltare il banco.  Pd e Movimento 5Stelle sono già ai ferri corti per la scelta dei candidati. Il Pd, prima con Zingaretti poi con Letta, che l’ha sostituito alla segreteria del partito, aveva manifestato assoluta contrarietà alla riproposizione del sindaco Virginia Raggi, e non senza ragionate motivazioni.  L’elettorato del Pd, almeno quello ritenuto  tale, vede la  Raggi come il fumo negli occhi. La sindaca, come oggi si chiama,  è considerata ed è stata fin qui forse il peggior amministratore che la Città eterna ha avuto negli ultimi cinquant’anni.  Il disastro della città è sotto gli occhi di tutti, verrebbe da dire anche dei poveri non vedenti, strade dissestate, invase da montagne di rifiuti, paradiso di topi e cinghiali, servizi comunali rimasti all’età della pietra (per ottenere il più semplice dei certificati si aspettano mesi e mesi), l’efficienza del servizio trasporti  urbani rappresenta una chimera,  le aziende comunali sommerse di debiti, i servizi cimiteriali al collasso, e via di questo passo.

La candida Virginia ha assunto sembianze innocenti da vispa Teresa, dimenticando  guai e misfatti della sua giunta, piena di assessori e consulenti, chi dimissionario e chi finito in galera.  Il buon Nicola Zingaretti l’aveva vista giusta, quando tempo fa aveva detto chiaro e tondo che non poteva più essere votata.  Poi si è incartato egli stesso, quando per salvare la giunta regionale, che presiede, ha fatto  ricorso a due esponenti grilline che oro tengono lui e il suo partito per la pelle dei santissimi: continuare con il veto alla Raggi comporta la crisi alla regione.  Di qui non si scappa.

Enrico Letta, chiamato a gran voce dall’esilio parigino a sostituire Nicola e risollevare le sorti del partito, si trova nel mezzo di un balletto politico che fa invidia alle folies bergères.  Il buon Enrico faceva conto su Conte (non è un gioco di parole) per stabilire un’alleanza  vincente alle amministrative e, più in là, alle politiche, passando per il Quirinale.  Gli è rimasto in mano il cerino acceso, poiché l’avvocato del popolo, prima di costruire l’alleanza giallorossa, ha badato a coprirsi le spalle, e già che è in vista di assumere la leadership dei 5Stelle ha ritenuto opportuno non scontentare nessuno di quella famiglia, così  si è schierato a sostegno della Raggi presentandola come una dea al capezzale dell’Urbe.

Il Pd ha per ora ripiegato su l’on. Gualtieri, buon funzionario europeo quanto modesto ministro. Che si facciano o meno le primarie, non sembra che Gualtieri posso fare quel pieno di voti che consentirebbe al Pd di andare almeno al ballottaggio, considerato che una fascia di elettorato si orienterà su altri nomi, come Calenda , che negli ambienti radical chic possono raccogliere consensi.

Sulla carta, nello schieramento giallorosso, la Raggi parte con indubbio vantaggio, considerato che i 5Stelle per non autodistruggersi e perdere la faccia saranno costretti a sostenerla.

Dall’altra parte, dal centro destra, non è ancora chiaro quale potrà essere il candidato sindaco, ma, almeno di un suicidio, il suo potenziale  elettorale sarà comunque tale, se non da vincere al primo turno, sicuramente da battersi alla grande nel ballottaggio. E, allora, che faranno gli eredi di Petroselli (l’ultimo serio sindaco,  di matrice comunista), si caleranno i  calzoni e  tureranno il naso o diserteranno in massa le urne per non appoggiare  l’alleata nemica?

A Milano  è un’altra repubblica. Il  sindaco uscente, Sala, ha già salutato la compagnia e si presenterà con una propria lista, convinto che la sua buona amministrazione sarà premiata.

A Torino, la grande  intesa giallorossa è  saltata, comunque vada, Appendino o no, il  movimento pentastellato  non è disponibile ad accordi preventivi.  Ed anche lì l’ombra del centrodestra è  incombente.

Bologna è appesa ad un filo. La candidatura della giovane Conti avanzata da Italia Viva ha sconvolto i piani, forse perderà  alle primarie del partito, ma rappresenta più di una spina nel fianco per il Pd. Il presidente della regione, Bonacini, comunque vadano le cose, ha la carta della rivincita per la segreteria del partito che gli è sfuggita. Se il sindaco sarà del Pd, il merito sarà di Bonacini che controlla i voti, se malauguratamente si ripetesse un caso Guazzaloca (il sindaco di centro destra che fu eletto dopo cinquant’anni di dominio comunista) la responsabilità ricadrà sul Nazareno e la segreteria nazionale.  Quando sullo sfondo,  in un modo o nell’altro, si manifesta la figura di Matteo Renzi, Enrico Letta non starà mai sereno.

A Napoli, la candidatura dell’on. Fico,   presidente grillino della Camera dei deputati, avrebbe forte possibilità di successo, senonché c’è di mezzo il governatore regionale, De Luca, che mal digerisce l’ipotesi. Insomma,  anche qui la situazione non è del tutto promettente.

Le osservazioni che precedono rischiano, tuttavia, di rivelarsi un buco nell’acqua, poiché nei  mesi che mancano alle consultazioni elettorali  la situazione generale può modificarsi.  Che ne sarà del movimento 5Stelle in quanto tale, reggerà  o no nella sua unità, e che effetti avrà la guida affidata all’ex premier Giuseppe Conte?  In ogni caso, con queste premesse, e considerato che il governo centrale di Mario Draghi va dritto  per la sua strada, che farà Enrico Letta, continuerà a scagliare i propri strali contro Salvini, senza rendersi conto che ad ogni sua uscita quello si rafforza?

Se ne vedranno delle belle. Intanto c’è chi aspetta alla posta, sono quelli di Fratelli d’Italia e della loro leader Giorgia Meloni, che attendo tranquilli le prede che finiranno nel carniere.

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Gianfranco Salomone

Giornalista - Già Direttore Generale Ministero del Lavoro

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