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La scomparsa di Emanuela Orlandi: tutte le ipotesi

Emanuela Orlandi, gli appelli del Papa, quelli del Presidente della Repubblica Pertini, i servizi segreti, la pista bulgara, la tratta delle bianche, lo IOR e la banda della Magliana, intrighi e sospetti ancora animano il dibattito su uno dei misteri più intrigati della storia del Vaticano.

Chi era Emanuela Orlandi?

Emanuela Orlandi scompare a Roma la sera del 22 giugno 1983, figlia di un commesso (una figura a metà tra il fattorino ed il postino), Ercole Orlandi, che lavora presso la Segreteria di Stato della Città del Vaticano.

Emanuela al momento della scomparsa ha 15 anni e mezzo, frequenta con non brillanti risultati la II classe del liceo scientifico del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele di Roma ed ha una grande passione per la musica: tre volte la settimana frequenta il pomeriggio le lezioni di pianoforte, solfeggio, canto corale e flauto traverso presso la Scuola musicale Tommaso Ludovico da Vittoria, a Palazzo Sant’Apollinare, sito nella omonima piazza alla fine di corso Rinascimento, a due passi da Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica.

Emanuela abita con la famiglia (il padre, la madre, un fratello e due sorelle) in Vaticano: il padre è infatti cittadino vaticano e lo è anche Emanuela sua figlia (fatto questo sul quale saranno sollevati in seguito, come vedremo, alcuni dubbi). L’abitazione — particolare importante secondo alcuni — è nella piazzetta di Sant’Egidio, alle spalle delle mura che corrono lungo Via di Porta Angelica, accanto alla caserma della gendarmeria vaticana, in prossimità dell’ingresso di Sant’Anna, il più usato da coloro che entrano o escono dal piccolo Stato.

22 giugno 1983: la scomparsa di Emanuela Orlandi

Il 22 giugno Emanuela arriva alla scuola di musica con circa mezz’ora di ritardo: i motivi non saranno mai chiariti. Un vigile urbano, Alfredo Sambuco, di servizio dinanzi a palazzo Madama, testimonierà di averla vista in corso Rinascimento alle ore 17 provenire da Piazza Sant’Apollinare (nella direzione quindi che avrebbe preso uscendo da scuola).

Nei pressi era fermo un uomo accanto ad una autovettura BMW di colore verde: il vigile lo fece allontanare in quanto nella zona era vietata la sosta, non senza prima aver visto l’uomo a colloquio con la ragazza a cui mostrava una borsa contenente prodotti dell'”Avon” (circostanza quest’ultima poi negata dal vigile in una successiva testimonianza).

La ragazza, sempre secondo la testimonianza del vigile, gli chiese dove si trovasse la sala Borromini, lui fornì le indicazioni richieste. Bruno Bosco, agente della polizia di Stato in servizio insieme al vigile urbano, rese una testimonianza analoga.

Le due testimonianze sono state ritenute credibili, anche se non esiste la certezza assoluta che la ragazza cui si riferiscono fosse proprio la Orlandi. A loro sostegno sta il fatto che verso le ore 19 la ragazza telefonò a casa e alla sorella Federica comunicò di avere ricevuto la proposta, che intendeva accettare, di reclamizzare i prodotti della “Avon” durante una sfilata di moda che si sarebbe dovuta svolgere alla sala Borromini per un compenso a quei tempi molto elevato (350.000 lire).

La sorella le sconsigliò di accettare l’offerta ma sembra senza risultati molto convincenti. Da quel momento di Emanuela si perdono le tracce: inizia ufficialmente il “mistero Orlandi“, lungi dall’essere risolto a ben 23 anni di distanza dallo svolgimento dei fatti.

La sera del 22 giugno Emanuela non rientra a casa: i suoi familiari denunciano la scomparsa.

L’inizio delle ricerche e delle telefonate

Già il giorno successivo inizia la serie delle (strane) coincidenze: ad occuparsi della scomparsa a titolo privato è un amico di famiglia (Giulio Gangi) che è stato da poco assunto in servizio in qualità di coordinatore del S.I.S.D.E., il servizio segreto civile. La “Avon” nega subito di aver avuto alcun rapporto con la Orlandi, ma Gangi accerta che esiste un tale Montanarini (?) che recluta venditori e venditrici per la società.

Il 25 giugno inizia la lunga serie delle telefonate misteriose a casa Orlandi: la prima, alle ore 18, è di un tale Pierluigi, che parla senza particolari inflessioni e rassicura la famiglia: Emanuela sta bene e vende collanine e prodotti “Avon” (di nuovo!) in piazzale Campo de Fiori a Roma.

Analoga telefonata viene fatta dallo stesso Pierluigi alle ore 20 del giorno successivo ed analoghe sono le assicurazioni sulla buona sorte di Emanuela, a proposito della quale l’ignoto interlocutore fornisce alcuni particolari esatti (l’astigmatismo ad un occhio della ragazza, il flauto che essa aveva con sé, il prossimo matrimonio di una delle sorelle di Emanuela).

Il 28 giugno alle ore 19 telefona un tale Mario, che parla con forte accento romano (il particolare è importante) che aggiunge altri particolari: è un suo amico che fornisce a Emanuela, che si fa chiamare Barbara, e ad un’amica che è con lei, i prodotti “Avon” al solo scopo di aiutarle a guadagnare qualcosa.

A questo punto scatta un meccanismo ancora non ben conosciuto nei dettagli.

Con grande sorpresa di tutti i componenti della famiglia Orlandi il 24 giugno alle 23,45 si presentano alla loro abitazione due agenti del S.I.S.D.E., Giulio Gangi e Marino Vulpiani, incaricati dal servizio segreto civile, di indagare sulla scomparsa di Emanuela. È da sottolineare che Vulpiani è nato a Torano, un paese in provincia di Rieti, e Gangi frequenta il paese e conosce Mario Meneguzzi, zio di Emanuela: tutta la famiglia Orlandi si reca spesso per turismo, specie estivo, a Torano.

Da quel momento il telefono degli Orlandi viene messo sotto controllo: fino al 14 novembre 1983 saranno ben 34 i messaggi telefonici intercettati riguardanti la scomparsa della ragazza.

Il manifesto affisso in occasione della scomparsa di Emanuela Orlandi.

Il primo appello del Papa e la richiesta di liberare Alì Agca

Il 3 luglio 1983 il Papa prega per la prima volta nell’udienza domenicale in Piazza San Pietro per il ritorno di Emanuela incolume a casa: è il primo di una serie di appelli (otto per l’esattezza) di Giovanni Paolo II a favore della Orlandi, un fatto che, come vedremo, avrebbe una precisa spiegazione, anzi conterrebbe l’indicazione della ragione stessa della scomparsa della ragazza.

Alle 12,50 del 5 luglio 1983 con una telefonata alla sala stampa del Vaticano una voce con un forte accento slavo chiede la liberazione entro il 20 luglio di Alì Agca, colui che ha attentato il 13 maggio 1981 alla vita del Papa, ed è stato il 22 luglio successivo condannato all’ergastolo, in cambio del !itorno a casa di Emanuela. Per i contatti successivi viene indicato un codice segreto: il numero 158. Il Vaticano tiene riservata la notizia della telefonata. Alle 14 dello stesso giorno una telefonata con lo stesso contenuto arriva a casa Orlandi.

Il 6 luglio con una telefonata all’agenzia Ansa (la voce questa volta è senza inflessioni) viene ripetuta la proposta di scambio: a riprova del fatto che chi telefona tiene in ostaggio la ragazza vengono fatti trovare in Piazza del Parlamento una fotocopia della tessera di iscrizione alla scuola di musica ed una della ricevuta di versamento delle tasse scolastiche, il numero telefonico di alcune amiche di Emanuela ed un breve messaggio (“con tanto affetto la vostra Emanuela”) sulla cui autenticità la polizia scientifica avanza subito molti dubbi.

Il 7 luglio nuova telefonata a casa Orlandi: l’ignoto interlocutore fornisce altri particolari veritieri su Emanuela (infatuazione per un ragazzo, cantante preferito, sorella che un tempo metteva gli occhiali ed il cui matrimonio sarà celebrato da un sacerdote amico di famiglia).

L’8 luglio perviene all’Ansa un messaggio con una precisa richiesta di uno scambio tra Alì Agca e Emanuela entro il 20 luglio.

Lo stesso giorno però una voce, questa volta con accento straniero, smentisce, in una telefonata a Laura Casagrande, compagna di scuola di Emanuela, il precedente interlocutore rivendica alla sua organizzazione solo le telefonate del 5 luglio alla Segreteria di Stato, alla famiglia Orlandi e all’Ansa e chiede di avere come unico interlocutore il Card. Casaroli, segretario di Stato vaticano, nella cui abitazione sarebbe stata collocata una microspia (a distanza di anni quest’ultimo particolare si rivelerà esatto: la microspia era stata collocata da un agente segreto cecoslovacco: v. sentenza giudice R. Priore 21/3/1998, n. 2675/85°).

Il 10 luglio il Papa, in Piazza San Pietro, interviene nuovamente auspicando il ritorno a casa di Emanuela Orandi: lo stesso giorno con tre telefonate al quotidiano “Paese sera” l’ignoto interlocutore con accento anglosassone torna a sollecitare lo scambio, chiarisce che quello di Emanuela non è un sequestro a scopo di estorsione e fa ritrovare presso la cappella dell’aeroporto di Fiumicino la fotocopia della tessera di iscrizione di Emanuela alla scuola di musica ed un messaggio autografo della ragazza ai genitori, anche questo ritenuto non attendibile dalla polizia scientifica.

I dubbi dei servizi segreti italiani e la pista della “tratta delle bianche”

A questo punto i servizi segreti italiani che seguono attentamente tutta la vicenda si convincono che qualche cosa non quadra: a chiedere lo scambio della ragazza con Alì Agca sono gruppi diversi, apparentemente distinti ed in conflitto fra loro, mentre le prove della permanenza in vita della Orlandi sono molto tenui ed il Vaticano non sembra intenzionato, al di là degli appelli del Pontefice, ad una collaborazione piena con le autorità italiane (la prima telefonata in cui si parlava dello scambio viene tenuta per un certo tempo segreta dalla Segreteria di Stato).

L’11 luglio Vincenzo Parisi incontra Mons. Dino Monduzzi, della casa pontificia, per chiarire alcuni aspetti della vicenda, alla quale, secondo la sentenza del giudice istruttore Adele Rando, il Vaticano non è estraneo. Il colloquio non ha alcun risultato pratico: Mons. Monduzzi negherà in seguito che esso si sia effettivamente svolto.

Il 14 luglio una telefonata di persona che parla senza accento a Carla De Blasio, altra amica di Emanuela, informa la ragazza che in Piazza San Pietro è stato lasciato un messaggio registrato della Orlandi. Il messaggio però non viene trovato: sarà accertato successivamente che la registrazione è stata sequestrata in tempo record da uomini del Vaticano.

Il 17 luglio altro intervento di Giovanni Paolo II: la sera stessa una telefonata all'”Ansa” di persona con accento anglosassone fa trovare in via della Dataria una registrazione di invocazioni e lamenti (la voce sembra quella di Emanuela ma non c’è alcuna sicurezza in proposito) e l’ennesima richiesta di scambio, anche se “Agca non è d’accordo”.

Agca dalla prigione dichiara al giudice istruttore Imposimato che indaga sulle complicità dei servizi segreti bulgari nel contesto di una inchiesta sulle brigate rosse, che i “servizi” bulgari e il K.G.B. hanno organizzato l’attentato a Giovanni Paolo e rapito Emanuela Orlandi.

Quasi a fare da controcanto alle affermazioni del turco, “Il Messaggero” del 6 luglio pubblica la notizia che i carabinieri del reparto operativo di Roma seguono la strada della tratta delle bianche: Emanuela potrebbe essere stata seguita nei due giorni precedenti la sua scomparsa da due giovani uomini, di cui è stato ricostruito l’identikit, che hanno ripetutamente tentato di agganciare la ragazza.

La tesi della tratta delle bianche è anche quella seguita dal S.I.S.D.E. Vincenzo Parisi, che ne è il vice capo, ha avuto notizie in questo senso da ambienti vaticani legati alla massoneria: Emanuela ha cercato di sottrarsi allo sfruttamento ma è stata raggirata.

È da tener presente che a seguire per il Vaticano la vicenda di Emanuela Orlandi è Edoardo Martinez Somalo, appartenente all'”Opus Dei” ed il cui nome compare nella lista dei massoni in Vaticano (Imposimato, pag. 112).

Il 18 luglio i giornali pubblicano un lungo comunicato dei rapitori, così come dai essi richiesto, contenuto nella registrazione sequestrata in Piazza San Pietro dagli emissari vaticani: il comunicato insiste per lo scambio, anche contro la volontà di Alì Agca, e ribadisce la richiesta di una linea diretta con il Segretario di Stato Card. Casaroli.

Il Vaticano fornisce il numero telefonico richiesto per il contatto. Dopo tre tentativi finalmente il contatto avviene con un uomo (accento anglosassone) chiede la pubblicazione della registrazione rinvenuta in Via della Dataria.

Viene accertato che la telefonata proviene da Roma, e più esattamente dal quartiere Nomentano: nulla di più preciso. La sera dello stesso giorno, con una telefonata all’Ansa viene nuovamente chiesta la pubblicazione della registrazione. Stessa telefonata a casa Orlandi: questa volta l’ignoto telefonista parla da un telefono pubblico nella zona della Stazione Termini.

Il 20 luglio, data di scadenza del termine per lo scambio, due telefonate, una alle ore 12 all’Ansa” ed una mezz’ora più tardi alla Chiesa di Santa Francesca Romana, confermano la scadenza del termine alle ore 24 dello stesso giorno.

I continui appelli del Papa: perchè?

Il 20 luglio il Papa rivolge ai rapitori il quarto appello per la liberazione di Emanuela Orlandi, ma ancora una volta senza esito. Il 21 luglio quinto appello del Pontefice, pubblicato, come richiesto dai rapitori, da tutti i giornali. II 22 luglio la famiglia Orlandi nomina l’avv. Gennaro Egidio quale persona incaricata di trattare con i rapitori: due anni dopo Ercole Orlandi, padre di Emanuela, dirà che la scelta di Egidio è avvenuta su suggerimento del S.I.S.D.E., che però smentirà decisamente la notizia.

Il 24 luglio sesto appello del Papa per la Orlandi: il fatto non ha precedenti e ci si comincia ad interrogare sui motivi di tanto dichiarato interessamento. Il 25 luglio Mario Meneguzzi, zio di Emanuela, rivolge attraverso il TG3 un appello ai rapitori, preparato d’intesa con l’avv. Egidio, chiedendo la prova che Emanuela sia ancora viva.

La notte precedente, quella tra il 24 e i125 luglio, è avvenuto un fatto che ha convinto la famiglia Orlandi di trovarsi in una situazione ormai fuori controllo: i soliti ignoti hanno chiesto ad Ercole Orlandi di organizzare un contatto telefonico per la mezzanotte con il Card. Casaroli.

Orlandi informa della vicenda il procuratore della Repubblica di Roma che invia in Vaticano il p.m. Domenico Sica (che sta seguendo i sequestri di persona a Roma) per presenziare alla telefonata. Sica si reca in Vaticano ma la telefonata non arriva e Sica si allontana: solo allora l’ignoto interlocutore si fa vivo minacciando di uccidere la ragazza se Sica sarà avvertito del prossimo contatto.

Il 27 luglio settimo appello del Papa che alla fine dell’udienza del mercoledì invita a pregare per Emanuella: la stessa sera i rapitori fanno recapitare agli Orlandi in un pacco la borsa di Emanuela.

Esiste un collegamento con la scomparsa di Mirella Gregori?

Il 4 agosto si fa vivo, per la prima volta, il Fronte di liberazione turco anticristiano Turkesh che, in un messaggio all'”Ansa” di Milano, ribadisce la richiesta di scambio di Ali Agca con Emanuela Orlandi ed accenna per la prima volta a Mirella Gregori, una ragazza romana coetanea di Emanuela Orlandi scomparsa da casa la sera del 7 maggio 1983: la sera è uscita di casa, ha detto alla proprietaria di un bar vicino che si recava a suonare la chitarra con amici a Villa Torlonia, che si trova nelle adiacenze, e si è poi come dissolta nel nulla. Sua unica attività extrascolastica era la propaganda dei prodotti “Avon”: è a tutt’oggi l’unico elemento oggettivo che collega i due casi.

Il messaggio all'”Ansa” contiene numerosi elementi di verità su Emanuela (sei nei sulla schiena, crisi di repulsione per il latte nel 1974, crisi nervosa a 13 anni, bionda da bambina) che danno al messaggio stesso un significato del tutto particolare: chi poteva essere al corrente di quei particolari? È stata la ragazza o altri a darne notizia ai suoi rapitori?

Anche i particolari contenuti in una lettera inviata alla madre di Mirella Gregori l’8 settembre 1983 sono esatti, compresi quelli relativi agli indumenti della ragazza. Pure effettuate da persona con accento straniero sono le telefonate del 12 e 27 settembre successivi alla signora Gregori: il Procuratore Generale Luigi Malerba che avoca a sé le indagini a partire dal 1990 affermerà al termine dell’inchiesta che esiste una connessione tra alcuni dei messaggi riguardanti Emanuela Orlandi e quello inviato alla madre di Mirella Gregori, per la grafia in cui sono redatti e che gli elementi in essi forniti dimostrano che coloro che li hanno inviati hanno avuto un contatto con le ragazze o quantomeno con i loro rapitori, ma nulla prova che esse fossero in vita quando i messaggi furono inviati.

Un ulteriore elemento di collegamento, anche se indiretto, fra i due casi, è la identificazione — poi da lei smentita — da parte della madre di Mirella Gregori dell’uomo notato più volte presso il bar De Vito — l’ultimo luogo in cui Mirella è stata vista prima della scomparsa – a colloquio con la ragazza e con la sua amica Sonia De Vito come Raoul Bonarelli, vice capo della polizia vaticana, visto successivamente dalla signora Gregori durante una visita del Pontefice alla parrocchia di San Giuseppe nel dicembre 1985.

Bonarelli, interrogato dal giudice istruttore, escluse di conoscere le due ragazze: in una intercettazione telefonica chiede però al suo Capo — non identificato — istruzioni sulle risposte da fornire e riceve il consiglio di negare tutto: cosa esattamente non è dato conoscere. La – vera o pretesa — connessione tra le due scomparse non consente nell’epoca di compiere passi avanti nelle indagini.

Domenica 28 agosto 1983 da Castelgandolfo ottavo ed ultimo appello dei Papa questa volta per le due “giovani studentesse” e non più solo per la Orlandi: che cosa ha convinto il Papa della autenticità dei messaggi del Fronte Turkesh che accomunano i due avvenimenti nella logica della richiesta libertà di Ali Agca? Anche a questo proposito sono state, come vedremo, formulate ipotesi diverse.

Il 4 settembre il solito sconosciuto con accento anglosassone fa ritrovare in una busta in una via di Porta Angelica una cassetta Agfa 90 e un pezzo di spartito in fotocopia di esercizi per flauto con alcune note autografe di Emanuela e quattro piccoli sassi.

ln un furgone della R.A.I. a Castelgandolfo viene invece rinvenuto un messaggio in cui si accenna alla possibilità che i comunicati all’Ansa di Milano fossero un depistaggio: l’ipotesi è che il messaggio provenga da coloro che hanno condotto la vicenda fino al 20 luglio e che al gruppo originario di interlocutori ne sia subentrato uno diverso, che si identifica come il Fronte Turkesh.

L’intervento del Presidente Pertini

È probabilmente il nuovo gruppo a chiedere alle due famiglie (agli Orlandi con una lettera l’8 settembre, ai Gregori con una telefonata il 12 settembre alla sorella di Mirella) di rivolgersi al Presidente della Repubblica Pertini affinchè intervenga per la liberazione di Alì Agca.

Il 24 settembre con due telefonate al solito bar De Vito uno sconosciuto torna a sollecitare l’intervento della famiglia Gregori su Pertini: le telefonate provengono da una cabina pubblica alla circonvallazione Cornelia.

Il 7 ed il 14 ottobre nuovi solleciti sui Gregori affinché premano su Pertini che riceve infatti la signora Gregori l’8 ottobre ed il 13, 14 e 17 ottobre l’avv. Egidi per concordare un appello ai rapitori.

Il 20 ottobre il Presidente della Repubblica sollecita i rapitori a rilasciare le due ragazze ma senza esito. Proseguono intanto i messaggi alle due famiglie: quelli alla famiglia Orlandi contengono particolari autentici sulla vita di Emanuela. Alla vigilia di Natale Giovanni Paolo II si reca a casa degli Orlandi per portare loro il suo conforto.

Lentamente ma quasi inesorabilmente le indagini si arenano. Con una telefonata del 24 settembre 1983 alla redazione del TG1 viene fatto ritrovare un messaggio con una nuova firma “Phoenix” che si attribuisce la paternità di alcuni messaggi precedenti: chi si celi dietro la firma resta ancora oggi un mistero.

Ormai i messaggi e le telefonate si susseguono, con contenuti anche in contrasto tra loro e senza alcuna logica apparente. Le indagini, proseguite negli anni successivi, non hanno (almeno fino ad oggi) consentito dì giungere ad alcun risultato certo malgrado ogni sforzo compiuto dai magistrati inquirenti (Margherita Gerunda, poi Domenico Sica fino al 1985, Antonio Albano – giudice istruttore bario Martella) fino al 1990, Luigi Malerba (giudice istruttore Adele Rando): l’elenco è importante per collocare nel tempo le loro non univoche decisioni fino al 1997, anno in cui l’indagine fu formalmente conclusa, salvo uno stralcio operato dal giudice istruttore Rando per il procedimento a carico di Raoul Bonarelli per concorso in sequestro di persona.

Le richieste di rogatoria e il diniego del Vaticano

Sia il giudice Martella nel 1986 che il Giudice Malerba nel 1994 e nel 1995 inviarono rogatorie alla Segreteria di Stato vaticana per conoscere gli elementi in suo possesso riguardanti la scomparsa delle due ragazze.

La risposta alla prima rogatoria fu che gli organi vaticani non avevano atti o documenti da inviare oltre quelli già trasmessi (peraltro non risultanti agli atti istruttori).

Alla seconda e alla terza rogatoria, che contenevano anche la richiesta di interrogatorio alla presenza di un magistrato italiano del Card. Sodano, Segretario di Stato, del card. Giovanni Battista Re, ex assistente del Segretario di Stato, di Mons. Martinez Somalo, ex sostituto alla Segreteria di Stato, e di mons. Dino Monduzzi, fu risposto negando la presenza richiesta e con la dichiarazione che le persone indicate ed interrogate, non avevano fornito alcun elemento di conoscenza.

Alla risposta alla seconda rogatoria fu allegata la registrazione della prima telefonata ricevuta dai presunti rapitori il 15 luglio 1983 (voce con accento anglosassone).

Emanuela Orlandi è viva?

Questo lo svolgimento dei fatti, a cui sono da aggiungersi la morte, il 6 marzo 2004, di Ercole Orlandi, il padre di Emanuela, che continuò a credere fino all’ultimo che la figlia fosse ancora in vita, come dichiarò il 6 febbraio 2004 alla trasmissione televisiva “Enigma”.

Della stessa opinione l’ex giudice Ferdinando Imposimato, ora avvocato della famiglia Orlandi: basandosi su numerosi documenti segreti della Repubblica democratica tedesca (Germania Est) e della Bulgaria, Imposimato sostiene che il rapimento della Orlandi e della Gregari fu operato dai Lupi grigi — la stessa organizzazione alla quale apparteneva Alì Agca, l’attentatore del Papa — per incarico del Kgb allo scopo di ricattare il Papa che non si era riusciti ad uccidere affinché cessasse di appoggiare Solidarnosc.

La Orlandi, secondo questa ricostruzione, sarebbe stata portata in una villa vicino Parigi. Yolan Ozbei, legato alla organizzazione dell’attentato al Papa, avrebbe iniziato a fare dichiarazioni sul luogo dove si trovava la ragazza, ma poi in seguito all’intervento dei servizi segreti bulgari, avrebbe cessato di collaborare.

Nel 2000, secondo Imposimato, Emanuela risultava vivere a Malaria, città natale di Alì Agca. Sembrerebbe dar ragione alla tesi di Imposimato una comunicazione di quegli anni del Ministero degli interni della Repubblica bulgara Dimitar Stojanov al Ministero per la sicurezza dello Stato della Germania Est Erich Mielk e ritrovato nell’archivio della S.T.A.S.I. (la polizia segreta) a Berlino in cui si parla di ulteriori misure per smascherare la C.I.A. nell’attentato al Papa. L’uso del nome Turkesh viene indicato come una sigla usata per addossare la responsabilità dell’attentato ai “fascisti di Ankara”.

L’ex col. della S.T.A.S.I. Gunther Bohnsack ha dichiarato di non sapere nulla della vicenda Orlandi: sta di fatto però che nell’archivio della S.T.A.S.I. sono stati ritrovati ben 29 ritagli della stampa di tutta Europa riguardanti il caso Orlandi. Lo stesso Bohnsack ha riconosciuto alcune lettere inviate dai rapitori della Orlandi come provenienti dalla S.T.A.S.I. (Imposimato, pag. 210).

Di opinione diversa hanno mostrato di essere il giudice Rancio che nella sua sentenza di archiviazione ha ritenuto strumentale la connessione tra la scomparsa delle due ragazze e l’attentato al Papa. Opinione analoga è stata espressa dal giudice Severino Santiapichi, Presidente della Corte d’Assise che condannò Alì Agca, e da Antonio Marini, pubblico ministero nel secondo processo contro lo stesso Agca.

Ad avviso di Pino Nicotri, autore del volume “Misteri vaticani”, la scomparsa di Emanuela Orlandi “è una vicenda interna alla curia romana, poi strumentalizzata”.

Un rapporto del S.I.S.D.E. del 14 novembre 1983, fondato su 34 messaggi acquisiti dal “servizio”, afferma che 16 di essi provengono da chi ha gestito o avuto contatto con i rapitori.

L’interlocutore è uno straniero che conosce bene il latino e poi ha appreso anche l’italiano, ha una notevole cultura, conosce il diritto, ha 45-50 anni, appartiene al mondo ecclesiale, è un formalista e conosce bene la città di Roma.

Pierluigi e Mario, i primi telefonisti, hanno visto Emanuela e sono stati contattati da un individuo restato ignoto per depistare le indagini. Analogo sospetto fu avanzato nel maggio 1992 da Ercole Orlandi al periodico “30 giorni” che affermò che attraverso il rapimento di sua figlia si era voluto “colpire qualcuno in Vaticano”, dove probabilmente esisteva un “basista” dei rapitori. Lo stesso Parisi d’altra parte lamentò un “eccesso di riservatezza vaticana sulla vicenda” che poteva essere interpretata in vari modi.

La tesi di Imposimato circa Emanuela Orlandi viva non ha ricevuto conferme: sono circolate notizie rivelatesi radicalmente false (la donna abitante a Roma che sembrava Emanuela ed era la moglie del fratello) o tentativi di estorsione (quello di Don Tonino Intiso di Foggia che ancora nel 1995 affermò che con 40 milioni si poteva giungere ad avere notizie certe sulla ragazza) o piste che non portavano a destinazioni assurde (la ricerca effettuata in un convento in Lussemburgo).

Emanuela Orlandi è stata uccisa?

Secondo Francesco Bruni, criminologo esperto proveniente dal S.I.S.D.E, è possibile che Emanuela sia stata uccisa. Anche il gen. dei carabinieri Demetrio Cogliandro che seguì le indagini Orlandi ha affermato (“Ansa”, 14 giugno 2003) che non c’è alcuna prova che Emanuela Orlandi sia viva: non si trattò, a suo avviso, di ”un normale rapimento”.

Quando ormai il dibattito sembrava isterilito nell’una e nell’altra tesi sopravvenne come un fulmine a ciel sereno il 22 luglio 1993 l’intervista del Cardinale Silvio Oddi al quotidiano “Il Tempo”. Oddi affermò di aver saputo che il 22 giugno 1983 Emanuela era tornata a casa dopo la lezione di musica a bordo di un’auto di lusso, ed era entrata in Vaticano mentre l’automobilista, forse con un’altra persona a bordo, restava sulla soglia del cancello di Sant’Anna.

Dopo poco tempo Emanuela era uscita dal cancello, era salita sull’autovettura ed era andata via. Il Cardinale parlò di un testimone oculare ma non ne seppe precisare il nome né dire se l’autovettura aveva o meno la targa della Città del vaticano. Una nipote del cardinale, Maria Elena Oddi, precisò che lo zio le aveva parlato di due testimoni (Nicotri, pag. 174).

Il Cardinale Oddi, interrogato come testimone il 24 giugno 1993 dai giudice istruttore Rando dichiarò che una settimana dopo la scomparsa della Orlandi aveva occasionalmente ascoltato una conversazione tra due uomini sui 40 anni avente ad oggetto quanto da lui dichiarato nell’intervista a “ll Tempo”: non era in grado di indicare con esattezza il luogo dove si era svolta la conversazione né se uno degli interlocutori aveva affermato di essere stato testimone oculare al fatto, anche se era portato ad escluderlo.

In due successive interviste, una al TG2 del 13 agosto 1993 ed in una a “Mixer”, il cardinale affermò di aver visto una volta una macchina ferma da cui era scesa una donna, entrata e poi uscita dal Vaticano, senza però identificare in lei Emanuela Orlandi: parole vaghe, generiche, che sembravano voler accreditare l’ipotesi di un allontanamento volontario da casa della Orlandi.

Il 22 gennaio 1994, in una nuova intervista a “Il Tempo”, il Cardinale parlò esplicitamente di una fuga volontaria della ragazza: precedentemente in una intervista allo stesso giornale (11 agosto) aveva accennato all’ipotesi della tratta delle bianche.

Il pronipote del cardinale, oggi deceduto, Stefano Caneri, afferma che, ad avviso del suo prozio, la Orlandi aveva una relazione con un alto prelato, che molti erano a conoscenza del fatto e che la scomparsa della ragazza andava messa in relazione a questo fatto (Nicotra, pag. 185).

In una intervista a “Il tempo” del 9 maggio 1995 il Cardinale si era spinto anche più in là, non solo ribadendo che qualcuno aveva visto Emanuela tornare a casa e poi riuscire, ma manifestando dubbi sul fatto che la famiglia Orlandi non avesse mai ricevuto notizie della ragazza.

Emanuela è sepolta una cripta della Chiesa di Sant’Apollinare?

Una scossa ad una vicenda che sembrava destinata a non avere una definizione univoca è la notizia anonima ricevuta nel 2006 della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”: in una cripta della Chiesa di Sant’Apollinare, per uno strano caso a due passi da dove è stata vista l’ultima volta la Orlandi, è stato sepolta trasferendola dal cimitero del Verano, la salma di Enrico De Pedis, uno dei capi della banda della Magliana. Una telefonata anonima aggiunge che in realtà quella è la tomba di Emanuela Orlandi. Le autorità ecclesiastiche rifiutano di fornire motivazioni per quella strana inumazione, per la quale esistono tutti i permessi necessari.

Perché un bandito è stato inumato nella cripta di una chiesa? Quale è il suo rapporto con il caso Orlandi? È l’anello mancante di quella catena che, secondo alcuni, legava la banda della Magliana ad alcuni ambienti vaticani ai tempi di Marcinkus, di Calvi, di Sindona e delle spericolate operazioni finanziarie dello I.O.R., l’Istituto per le opere di religione dello Stato Città del Vaticano?

Difficile dimenticare il tentato omicidio di Roberto Rosone, vice presidente del Banco Ambrosiano, da parte di Danilo Abbruciati, una delle star della banda della Magliana. Fu De Pedis ad intervenire nella vicenda Orlandi rendendo un servizio almeno ad una parte delle gerarchie vaticane? A conclusioni simili sembrerebbero portare le dichiarazioni rese da un pentito della banda, Antonio Marini, a proposito della appartenenza alla banda stessa del secondo telefonista alla famiglia Orlandi, quello con il marcato accento romano. Deve però aggiungersi che le rivelazioni di Marini a proposito dell’omicidio Pecorelli sono state ritenute non attendibili dalla Corte d’assise d’appello di Perugia che ha giudicato per quel reato Giulio Andreotti.

Salvo ulteriori colpi di scena, le rivelazioni di “Chi l’ha visto?” non hanno dato un serio contributo alla soluzione del mistero: forse l’hanno anzi ulteriormente complicato, a meno di non ricorrere a ricostruzioni dei fatti che, allo stato delle cose, sarebbero prive di fondati riscontri oggettivi, come quella del rapimento della Orlandi per ricattare il Papa e spingerlo a risanare le finanze del Banco Ambrosiano per risarcire chi aveva affidato a Calvi ingenti somme di non dichiarabile provenienza (Purgatori, “Il Corriere della Sera”, 8 febbraio 1994).


Bibliografia

  • Ferdinando Imposimato, Vaticano, un affare di Stato, Roma, 2002.
  • Pino Nicotri, Misteri vaticani, Roma, 2002.
  • Antonio Fortichiari, E’ viva, Milano, 2003.
  • Ferruccio Pinotti, Poteri forti, Milano, 2005.
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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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