La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, la massima evangelica può essere assunta a motto del premier Giuseppe Conte. Il presidente del consiglio infatti non si stanca di ripetere che il suo governo lavora per la ripresa dell’Italia. Lo annuncia ogni giorno dalla guida del suo secondo dicastero, come già fece in occasione del primo. Quello fu un fallimento su tutta la linea, interna e internazionale, che aumentò le preoccupazioni sulla tenuta del Paese sia economica che politica. In questa seconda esperienza, fondata sul cambio di un cavallo, il PD al posto della Lega, la carrozza governativa procede con estrema difficoltà per mancanza di indirizzi di fondo e dissensi nella maggioranza.
Due notizie di ieri hanno messo in evidenza la frattura che permane tra propositi e realtà. La Svimez, istituto che studia l’evoluzione della situazione meridionale, ha reso noto l’andamento economico del Mezzogiorno, marcando un calo dello 0,2 per cento del reddito nel corso dei primi nove mesi dell’anno corrente. Caduta, già grave di per se stessa, che aumenta il divario con il resto dell’Italia (il Centro-Nord cresciuto dello 0,3 per cento e una media nazionale di più 0,2). Sul piano sociale la realtà è descritta dalla fuga di 2 milioni di meridionali, in massima parte giovani sotto i 35 anni, verso il Centro-Nord e l’estero. Piove sul bagnato, alla decrescita si aggiunge la perdita di un alto valore economico rappresentato da quella forza lavoro costretta all’emigrazione.
La seconda notizia si riferisce al più grande stabilimento siderurgico d’Europa, l’Ilva di Taranto, con la decisione dell’Arcelor Mittal di ritirarsi dall’impegno di acquisto perché non è garantita la copertura giudiziaria e penale sul progetto di riconversione ambientale a suo tempo assicurata. L’ipotesi era nell’aria da tempo, ma il governo di prima e quello di adesso si sono trascinati e si trascinano in chiacchiere senza battere un colpo decisivo. Questo episodio è di enorme valore politico e istituzionale, poiché manda un segnale profondamente negativo agli investitori, senza dei quali le speranze del presidente Conte e le attese dell’intero Mezzogiorno per una messianica ripresa valgono zero.
Sul piano della politica interna è forse occasione di chiedersi se l’azzardo agostano del legista Salvini di staccare la spina al governo Conte 1 non avesse un fine più recondito di quello delle elezioni anticipate. Certo quel suo “datemi tutti i poteri” la dice lunga, ma probabilmente non tutto. Quella scelta conteneva di fatto altri obiettivi: sganciarsi da una manovra economico fiscale durissima, la finanziaria per il 2020, e al limite determinare una rottura definitiva con l’Unione Europea. Il primo obiettivo è stato raggiunto, per il secondo la scadenza è rimandata a quello che sarà l’esito delle prossime elezioni (scadenza naturale primavera del 2023). Intanto è arrivato l’endorsement del presidente americano Trump con l’invito all’Italia di seguire la strada della Brexit.
Sul complesso di questi fattori interni e delle loro proiezioni internazionali grava una manovra economico finanziaria farraginosa, contorta e dispersiva, quasi al limite dell’incredibile. Un balzello di qua e uno di là, con esito improbabile circa la reale tenuta dei conti. Anche su questo piano i buoni propositi non portano a raggiungere obiettivi concreti sul piano economico, mentre appaiono distruttivi sul piano politico.
Perché distruttivi? Semplice, sono tali e tanti i settori colpiti da una baraonda di imposte e tasse, che alla fine il consenso politico a sostegno di questo governo esploderà in negativo. Di questo passo, Salvini può spettare tranquillamente sulla riva del fiume per assistere al passaggio del cadavere del governo giallo-rosso.
In fatto di politica fiscale nel caso italiano sarebbe magari utile seguire il vecchio insegnamento di Mao Tse Tung: colpirne uno per educarne molti, l’esatto contrario di quello che è architettato a Palazzo Chigi e dintorni.
La politica fiscale condotta con uno stillicidio di nuove tasse e aggiustamenti che non aggiustano, conduce solo all’esasperazione sociale e a risultati economici finali senza costrutto, aggravando un clima di incertezza e di sfiducia: le cose peggiori che possono accadere ad un governo che aspira a concludere regolarmente la legislatura. Meglio battere un colpo o due e su quelli presentarsi a reclamare la fiducia del Paese con un piano concreto che consenta la ripresa dei consumi e degli investimenti.
Al contrario, il connubio Di Maio-Zingaretti, con Conte al centro più incosciente che artefice, va allegramente verso la “decrescita felice”, cara al Movimento 5Stelle, accompagnata da una politica fiscale-finanziaria che slabra il tessuto connettivo dell’economia italiana, tipica di una sinistra che non concilia con il riformismo.
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