Archeologi, paleontologi, geologi, storici, teologi e tanti altri hanno tutti avvalorato la leggenda dell’arca di Noè, ossia della grande glaciazione, dell’alluvione interminabile, del mega terremoto che ha creato i continenti, del gigantesco tsunami che con immense onde ha coperto di acqua le terre allora esistenti. Secondo la Bibbia fu allora che l’indegno popolo degli eredi di Adamo e tutti gli animali immondi perirono.
I geologi propendono però per la versione della glaciazione alla quale soccombettero tante specie animali e vegetali tra le quali i Mammuth. Ma quello che è successo negli ultimi 20 o 30 secoli può avvalorare tesi diverse. Ad esempio se ci riferiamo alla estinzione della razza anziché della specie, possiamo citare la scomparsa del popolo etrusco cancellato dopo circa 10 secoli gloriosi dalla zanzara anofele con l’arma del Plasmodium malariae, ma questo dopo altri 20 secoli fu annientato dall’uomo! E l’uomo, in particolare l’uomo bianco, di razze ne ha cancellate parecchie, dai nativi delle Americhe a quelli della Tasmania con le armi da fuoco ed anche all’arma bianca. Ciò è come dire che per cambiare la faccia del mondo non serve necessariamente un diluvio universale!
Quello che sta succedendo all’epoca del coronavirus riapre la questione dell’arca di Noè e dei Mammuth scomparsi, perché anche allora il Killer potrebbe essere stato un virus più che un batterio o un insetto, anziché un cataclisma naturale. Ed in questa prospettiva l’attuale pandemia fa ancora più paura all’homo sapiens. Nell’era cristiana ed anche prima, di epidemie, più che di pandemie, ce ne sono state tante soprattutto le pestilenze dovute al batterio Yrsinia pestis che complessivamente nei secoli si stima che fece 20 milioni di morti. Poi però arrivarono gli antibiotici e l’uomo consumò sul batterio una grande vendetta, sterminandolo. Poi fu la volta del Vibrione del colera sconfitto anch’esso. Allora le possibilità di contagio erano limitate perché i viaggiatori, nella fattispecie di untori, erano pochi e spesso, come i soldati romani, morivano per la malattia in viaggio ossia nei lunghi e lenti spostamenti.
Con il XX secolo è comparso un nuovo nemico: 100 anni fa fu il virus dell’influenza alla sua prima sortita a creare il panico in tutto il mondo con tra i 50 e 100 milioni di morti. Il terrore per la spagnola, così fu chiamata quella pandemia, 30 anni dopo fu soppiantato da quello per la guerra atomica dopo le stragi di Hiroshima e Nagasaki, ma la guerra atomica con la caduta del muro di Berlino e la diffusione dell’arma in più paesi, è diventata irreale.
La realtà attuale vive nell’incubo del coronavirus, altra famiglia di virus diversa da quello tradizionale influenzale! Alla fine del primo trimestre della invasione di questo nuovo invisibile nemico, la specie Uomo è arroccata sulla difensiva con deboli armi per difendersi più che per contrattaccare, e secondo l’OMS conta 1 milione di feriti, ossia di contagiati, e 50.000 morti: poco per temere l’estinzione della specie. Tuttavia nel 1939 quando la Francia corse in soccorso della Polonia contro i tedeschi invasori, si pensò ad una piccola guerra locale, ma il giorno dopo, si fa per dire, ci si ritrovò con l’odiato secolare nemico già a Parigi.
Questa volta non è una guerra di posizione, nè la progressiva invasione della Russia, soccombente al Generale Inverno, nella prima e nella seconda occasione. Ora il fronte è migrante nei grandi spazi che la moderna infrenabile mobilità percorre con i mezzi di trasporto veloce. Prima è stata la volta di Wuham, mai sentita nominare prima, ad essere aggredita: i suoi 3 milioni di abitanti cinesi asserragliati nella provincia chiusa, sembra che abbiano vinto la battaglia, poi Seul dove i combattimenti sono ancora in corso, poi Teheran, infine la Lombardia dove a Milano il popolo festante per una partita di calcio non si è accorto di preparare esultando ed abbracciandosi la propria tragedia a Bergamo, Brescia, Milano, Valencia, Madrid. Ma questa è storia nota. Da lì il virus ha spiccato il salto oltremare, oltre la Manica, oltre l’Oceano Atlantico. Oggi per ritardi di difesa, Londra e New York vivono giorni di terrore e così le loro Nazioni. Anche Parigi brucia! In Italia a fine marzo si contano oltre 110.000 infettati dei quali 16.000 guariti, 13.000 morti, 80.000 ancora in ricovero o in osservazione.
E Roma? Qui la difesa è stata tempestiva e ben organizzata. Per oltre 5 milioni di abitanti a fine marzo si contano poco più di 3000 infetti nell’intera Regione Lazio con poco più di 1000 pazienti in isolamento domestico obbligatorio e circa altri 1000 in regime di ricovero dei quali 173 in terapia intensiva. Proprio questi ultimi rappresentano il fronte della battaglia che a gennaio in Italia contava circa 5600 posti di rianimazione e che oggi ne conta 9000 parte dei quali non ancora utilizzati, ma che nell’attuale circostanza potrebbero non essere mai troppi. Il Governo ed il Servizio Sanitario Nazionale hanno fatto il loro dovere attrezzando ricoveri e rianimazioni ed in attesa dei vaccini, hanno chiuso la popolazione civile in casa limitando significativamente il diffondersi della malattia.
Purtroppo c’è ad ogni livello chi si lamenta e chi critica. Gli insoddisfatti sono inevitabili come in ogni circostanza perché c’è chi non vede il trave nel proprio occhio ma la pagliuzza nell’occhio del proprio nemico. I critici, specie se di parte politica, sono critici per principio alla ricerca di personali consensi elettorali cambiando parere ad ogni soffio di vento, e, debbo confessare, che in una così drammatica circostanza, fanno orrore.
Ma tra il fronte dei ricoveri ospedalieri e quello della carcerazione domestica, meglio definita distanziamento sociale, c’è la “terra di nessuno” nella quale il pallino è ancora in mano al coronavirus. In questo spazio l’infezione viaggia liberamente, malgrado le mascherine, e miete nuove vittime non adeguatamente protette: i farmacisti, i benzinai, i panettieri, gli alimentaristi, i commessi dei supermercati, le forze dell’ordine, quelli che vanno a lavorare in ufficio, quelli che vanno a fare servizio in Ospedale sui mezzi pubblici, quelli che portano a spasso i cani, quelli in fila ai mercati, ai supermercati o alle farmacie, insomma tanti, troppi, giovani e anziani, uomini e donne. E tra questi, anche i medici, non quelli al fronte nelle rianimazioni e nei reparti di ricovero dei contagiati che osservano tutte le precauzioni del caso e ne hanno i mezzi, ma quelli che vivono e lavorano nella “terra di nessuno”, medici di base, quelli dei servizi diagnostici, dei reparti di altre specialità in ospedali Covid e non Covid apparentemente lontani dal fronte del fuoco, quelli delle visite domiciliari ineludibili nelle case private, nelle residenze assistenziali, nelle comunità di anziani, negli uffici delle Asl dove qualunque visitatore o fascicolo sanitario può contenere l’agguato.
Non si potrà passare alla auspicata fase due di questa guerra se prima non si porrà rimedio alle insidie della “terra di nessuno”, perché ,senza questa bonifica, qualunque condizione che ne aumenti l’agibilità e la frequentazione, diventerebbe una occasione di moltiplicazione del feroce nemico, forse uscito all’improvviso dal nulla, per sterminare la nostra specie.
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