Gli eventi della Storia degli uomini possono essere ricordati come momenti lieti o tragici; ma vi sono popoli che tendono a memorizzare soprattutto quelli positivi e altri che si crogiolano, in modo masochistico, a commemorare soprattutto quelli negativi. Gli abitanti dello Stivale, per decisione reiterativa dei propri governanti, sembrano appartenere al secondo gruppo.
Non v’è ricorrenza di fatti infausti che resti inosservata e non sia costellata di discorsi celebrativi. Il tempus lugendi per gli Italiani sembra non finire mai!
Il che, in periodi di così dette “vacche magre” (come si possono, indubbiamente, definire quelli attuali) contribuisce a diffondere nel Paese un’aura di tristezza e di melanconia, pur nell’imminenza di tempi di “vacanze”.
Uno di tali eventi di triste memoria, il cinquantesimo anniversario della strage di piazza Fontana, è stato ricordato a Milano, nella Sala consiliare di Palazzo Marino, con un discorso del Presidente della Repubblica. Prima che il Capo dello Stato parlasse, un giovane, rimasto sconosciuto e anonimo, ha distribuito un volantino che riportava le parole del giudice Imposimato, Presidente Onorario della Suprema Corte di Cassazione; parole che, in sintesi, associavano le trame neofasciste a esplosivi provenienti da basi della Nato.
Era il preannuncio, in buona sostanza, di ciò che avrebbe detto nel suo intervento l’alto magistrato non solo per la strage di piazza Fontana ma anche per quelle dell’Italicus, di piazza della Loggia, della stazione ferroviaria di Bologna, di Capaci (assassinio di Falcone), di via d’Amelio (uccisione di Borsellino). L’alto magistrato confermava, infatti, che quelle bombe erano state precedute da riunioni, in alcune basi Nato, alla vigilia dei vari attentati; e ciò diceva, sempre sulla base di prove acquisite agli atti dei giudizi.
Dall’intervento si deduceva che tra ufficiali della Nato, capi mafiosi, massoni illustri e importanti uomini politici italiani, s’era stabilita una sorta d’intesa segreta, volta a utilizzare i terroristi neri per far sorgere nel Paese la paura di un risorgente e proteiforme regime tirannico. In effetti lo scopo era di fare apparire il fascismo sempre in agguato sullo Stivale, (quasi nascente, secondo una leggenda metropolitana, come una novella Fenice dalle sue ceneri) e annidato in tutti i partiti e movimenti non dichiaratamente e inequivocabilmente antifascisti, meglio se gauchisti.
Per dare un quadro d’insieme più completo ed esauriente, della situazione di quegli anni lontani non è un fuor d’opera ricordare che vi fu chi, sfidando l’accusa, anche abbastanza comprensibile, di bieco cinismo, inneggiò a un effetto salutare di tali eventi. L’autore di un libro, sotto lo pseudomino di Censor, in un “rapporto”definito “veridico sulle ultime possibilità di salvare il capitalismo in Italia”(edito daMursia, Milano, nel1975)sosteneva che quei fatti luttuosi e delinquenziali avevano consentito al partito comunista italiano di riunire gli operai dietro di sé nella vigilanza democratica contro il pericolo fascista.
Naturalmente, la Sinistra di oggi, piuttosto frastagliata e malconcia, leggendo il resoconto dell’evento attuale sui giornali e, forse, non conoscendo lo scritto del militante comunista Censor non è rimasta, per niente sconvolta dalle rivelazioni di Imposimato, così come non lo era stata, all’epoca dei fatti, da talune insinuazioni nella stessa direzione, comparse su una parte, sia pure minima, dell’informazione mass-mediatica nazionale. Stravolti sono rimasti, invece, molti Italiani nell’apprendere che, già in quegli anni, la “salvezza del Capitalismo” era affidata al Partito Comunista Italiano, che pur si dichiarava nelle piazze suo accanito oppositore.
In altre parole, non v’era stato bisogno né del crollo del bolscevismo (e del suo imponente impero) né della socialdemocratizzazione del partito comunista italiano (opera di cui non hanno mai mancato di menare vanto i cosiddetti “miglioristi”) per avviare il “servizio permanente effettivo” della Sinistra italiana di vigilare non soltanto sulla democrazia nel Bel Paese ma, nientepopodimeno, sulle buone condizioni di salute del suo “capitalismo”.
Ora, se veramente il “capitalismo degli opifici manifatturieri ” di quegli anni lontani fu strenuamente difeso dai comunisti “duri e puri” di Togliatti e di Berlinguer, che cosa induce, oggi, l’attuale Partito Democratico a propendere per la difesa del “Capitalismo monetario”, rappresentato dall’Unione Europea e costituente una chiara antitesi di quello industriale? Ancora una suggestione della Nato, che qualificando “fascisti” i difensori del secondo, spinge i post-comunisti nelle braccia degli gnomi della Finanza? Non credo. Il processo di disgregazione di quell’ordinamento difensivo ce lo mostra oggi nettamente diviso tra Stati Uniti d’America e Regno Unito di Gran Bretagna, da un lato, e Paesi dell’Unione Europea, dall’altro.
Anche gli Italiani sembrano divisi: alcuni vorrebbero seguire i consigli di Donald Trump e di Boris Johnson che mettono in guardia dalle “bombe finanziarie” dell’Unione Europea (costituite da uno speciale napalm“anti-investimenti”, protettivo del pareggio di bilancio e dell’austerity) e praticare lo stesso “liberalismo rivisitato” dei Paesi Anglosassoni (con la reintroduzione dei dazi doganali verso i Paesi a basso costo di mano d’opera coatta e chiusura delle frontiere contro immigrazioni selvagge, ritenute “pilotate”); altri sarebbero propensi, invece, a seguire le direttive degli occupanti degli eleganti uffici di Wall Streete della City che spronano il Bel Paese, in vario modo e avvalendosi soprattutto del sistema mass-mediatico in loro possesso, ad allinearsi a tutte le direttive dell’Unione Europea.
Se la Nato non sarà più in grado di decidere dove si annidi il fascismo in Italia per spronare i post-comunisti e gli ex democristiani del Partito Democratico a salvare democrazia e capitalismo, chi deciderà in luogo di quel logoro meccanismo di difesa militare, da chr parte siano i “fascisti” del momento da condannare a fine repentina?
Saranno tra i fedeli, ossequienti esecutori dei diktat finanziari di Bruxelles o tra coloro che rivendicano la necessità di rivedere i trattati europei con necessari e indilazionabili recuperi di sovranità per far ripartire gli investimenti? Chi si arroga di poterlo fare in luogo della decrepita Nato è il movimento delle “Sardine”.
Le “sardine” si radunano negli stessi luoghi (piazza San Giovanni in Laterano a Roma è solo una di esse) dove prima sventolavano le bandiere rosse, ma in luogo di simboli di parito levano verso l’alto sagome variopinte di raffinata bellezza ittica. L’asino casca, però, quando i loro reboanti e stentorei proclami di ostracismo alla violenza verbale, si concludono proprio con un invito di stampo fascistico: Siate feroci e aggressivi negli attacchi al populismo e al sovranismo (che è sostenuto da circa il trenta e più per cento degli Italiani, a tacere dei non votanti).
No! A indicare dove s’annida il fascismo non possono essere loro! Chi può, ci salvi dal salvataggio delle sardine.
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