L’epidemia di Coronavirus ha dimostrato (anche se non ve ne era alcun bisogno) che l’Italia è il Paese più frammentato e diviso del Pianeta e che la realizzazione del sogno risorgimentale dell’unità ha costituito solo una tappa per rendere tutti gli Italiani maggiormente consapevoli ed edotti della loro incapacità di sentirsi parte di un’unica Nazione. Ciò dimostra, altresì, di quanta falsità si ammanti sia il loro Europeismo sia il loro Nazionalismo.
Il primo è solo il riflesso indotto dalle vocazioni ecumeniche ed universalistiche, instillate nelle loro menti dal fideismo cattolico e dal fanatismo comunista; il secondo è il prodotto dell’esaltazione patriottica che ha portato sistematicamente alla rovina tutti i popoli convinti di essere prediletti da Dio.
Da ciò a dire, però, che l’Italia sia un Paese di individualisti, seguaci, cioè, di un indirizzo filosofico incline a negare la possibilità di rapporti di interdipendenza tra i singoli, ci corre.
Il Coronavirus ha dimostrato esattamente il contrario: gli Italiani non riescono a fare a meno dei momenti di incontri collettivi chiamati, per giunta, con i nomi più assurdi e ridicoli: apericena (chi ha inventato tale neologismo?) movida e via dicendo.
E già prima dell’epidemia i circoli dei tifosi Ultras erano particolarmente affollati e i frequentatori assidui di bar, bigliardi e fast-food esprimevano un bisogno di interrelazioni non indifferente.
Che sia stata questa, però, la ragione per cui un ceppo virale nato e sviluppatosi in Cina abbia trovato il modo di trasformare un Paese Europeo, come l’Italia, nel focolaio più attivo, dopo quello originario, è poco credibile.
I motivi vanno ricercati altrove.
E’ da chiamare in causa, forse e senza forse, la nostra totale incapacità di usare il raziocinio e la logica in luogo della fantasia; che, per contro, con i suoi voli, talora anche eccelsi, dimostra una versatilità (artistica? non solo) incontenibile anche nei momenti più drammatici della vita collettiva.
Solo in un Paese, come il nostro, sui social poteva comparire la foto di un crocefisso del ‘600 con l’invito alle Autorità competenti (religiose, ma anche civili, date le leggi emanate sul divieto di assembramenti) di portarlo in processione e in giro per l’intera Penisola, perché aveva salvato i nostri antenati dalla peste!
E ciò, mentre giungono notizie agli Italiani di chiusura delle acque “miracolose” di Lourdes, di divieti di utilizzare le “acquasantiere” per bagnarsi le dita della mano e fare poi il segno della croce, di prudenziali “quarantene” del Papa che si avvale di un “diabolico” streaming per fare giungere ai fedeli la voce di Dio.
Solo in un Paese, come il nostro, si poteva chiedere ai “patrioti” dell’Ottocento di versare sangue in quantità copiose, per l’Unità d’Italia (che rendeva un favore soprattutto agli inglesi e ai francesi che vedevano l’Austria, egemone in Europa, come il fumo negli occhi) e poi, con leggi dello Stato, finalmente divenuto “unito”, spartire nuovamente la torta e, durante la divisione in fette “regionali” o “provinciali”(vi sono anche quelle) cantare a squarciagola, inni per esaltare l’Unità Europea.
Solo in un Paese, come il nostro, si poteva gioire perché una corporazione di pubblici dipendenti, assunti per concorso e pagati con i soldi dei contribuenti, avesse trovato il modo di allontanare dalla vita politica le persone “per bene”, colte e competenti e avesse fatto spazio, con il vuoto creatosi, a studenti fuori corso, a giovani in cerca di lavoro o disoccupati dopo alcuni tentativi di esercitare un mestiere, a individui “a tutto chiamati e a nulla eletti” per affidare a essi la gestione della res publicae per la cura del bene della polis.
Solo in un Paese, come il nostro, la discussione sulla misura dello “sforamento” da richiedere ai tecnocrati per riparare i danni prodotti da una calamità eccezionale più che straordinaria ha potuto mascherare e mettere in ombra il problema vero, quello da affrontare e discutere subito a epidemia finita, di uno Stato che ha perso la sua “sovranità” sino al punto di non poter soccorrere, senza il consenso dell’Unione Europea, i propri cittadini.
E ciò al fine, tutt’altro che encomiabile, di tenere i soldi dei contribuenti a disposizione delle Banche che falliscono per le loro “bolle” e delle Organizzazioni non governative per il loro, già di per sé lucroso, traffico di esseri umani.
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