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L’Italia viola il diritto del condannato all’ergastolo e deve rivedere la legge. Lo dice la Corte europea dei diritti umani in una sentenza che riguarda il caso di Marcello Viola, un condannato per associazione mafiosa, omicidi e rapimenti, recluso dagli anni Novanta. In Italia chi viene condannato all’ergastolo ostativo non ha diritto a premi, permessi e riduzioni della pena a meno che il carcerato non collabori con la giustizia. Secondo la Corte suprema però la scelta di collaborare non è sempre libera. C’è chi non parla per paura di ritorsioni.
Inoltre sempre stando alla sentenza «non si può presumere che ogni collaborazione con la giustizia implichi un vero pentimento e sia accompagnata dalla decisione di tagliare ogni legame con le associazioni per delinquere». Tornando a Viola la corte non critica la condanna, bensì il fatto che si sia visto rifiutare permessi soltanto per essersi rifiutato di collaborare, nonostante tutti i rapporti indicassero la sua buona condotta ed un cambiamento positivo della sua personalità.
Nella sentenza si afferma che privare un condannato di qualsiasi possibilità di riabilitazione e quindi della speranza di poter un giorno uscire dal carcere viola il principio base su cui si fonda la convenzione europea dei diritti umani, il rispetto della dignità umana» [Cds].
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