Bando alle ipocrisie. Gli Stati Uniti dichiarando la propria volontà di difendere anche l’ultimo centimetro del territorio dei propri alleati e invocando misure sanzionatorie nei confronti della Russia ha acceso il semaforo verde alla ribattezzata (dal governo di Mosca) “Armata Rossa” per invadere l’Ucraina che non è formalmente alleata degli USA. Bando alle ipocrisie. Da quando le sanzioni economiche hanno funzionato contro stati autoritari/ dittatoriali? Informarsi chiedendo pareri all’Iran, alla Corea del nord, a Cuba. Bando alle ipocrisie. L’Armata Rossa è a Kiev, la centrale di Cernobyl è occupata, i missili “rossi” hanno distrutto gli apparati di difesa, i morti ed i feriti si contano a centinaia, un “pupazzo” è pronto a sostituire il legittimo presidente ucraino , Zaleski, al quale è rimasta la momentanea possibilità di urlare la sua protesta:: “Siamo rimasti soli a difendere la nostra nazione” invitando disperatamente i suoi cittadini e i cittadini russi a continuare a protestare: “Lottate per noi, lottate contro la guerra”.(Il video sul sito asknews.it). In migliaia lo hanno ascoltato in Russia e già oltre seicento protestatari sono in prigione
La molla psicologica che ha rafforzato la convinzione che il governo e parte ultra-maggioritaria del popolo russo hanno giustamente agito nell’invadere l’Ucraina, l’ha chiamata, sul Sole 24 ore, Gennaro Sangiuliano, con sintetica ed efficace definizione “Sindrome dell’assedio e volontà di ferro”. Per chi ne ha la possibilità consiglio la lettura del bel libro dello stesso autore, politologo internazionalista di valore e direttore del TG2: “Putin. Vita di uno Zar”. A conferma della “molla psicologica”, che non è una esimente della politica, perché chi governa ha il dovere di tenere in conto tutte le variabili, anche quelle non “razionali”, è bene sottolineare che nella stessa Russia si fa comunque strada l’idea di un grave squilibrio psicologico che affetta soprattutto da due a tre anni a questa parte Vladimir Putin e che è sintetizzato dall’ottantenne ed indomito Lev Ponomariov. Il fondatore, assieme al premio Nobel Andrej Sakharov, della ong russa Memorial, oggi a capo del movimento panrusso “Per i Diritti Umani” e del “Fondo in difesa dei diritti”, ha rilasciato, mentre lo arrestavano nella sera di giovedì 24 febbraio, questa dichiarazione: “Mi stanno portando in commissariato. A dire il vero non avevo voglia di andare con loro ma non mi son potuto rifiutare. Non è il buon senso a governare Putin e i suoi colleghi- spiega- I nostri dirigenti hanno una mentalità paranoica in cui si incardinano due idee: che l’Ucraina non deve esistere e che la Russia deve dominare, se non tutto il mondo, almeno una parte. Possono trascinarci in una terza guerra mondiale. O, peggio, in un conflitto nucleare”. Ora quindi occorre “un vasto movimento anti-guerra” e “spero che qualche membro del governo si dimetta per affermare il suo dissenso, perché non credo che la pensino tutti allo stesso modo nucleare”. Lancia un appello perché il mondo studi il caso Putin: “Non ascolta il parere altrui. Non a caso prima ho usato la parola ‘paranoico’. Non sono medico né psicologo, ma a giudicare da quello che dice e da quello che fa, la sua è paranoia”. Interroga l’intervistatore: crede che Putin sia pazzo? «Sì, Putin è un malato di mente impazzito”, “Putin ha epurato tutto il campo politico. Il suo principale oppositore, Aleksej Navalnyj, è in carcere e ci resterà ancora a lungo. Quando un anno fa la gente è scesa in piazza contro la sua condanna, Putin ha risposto con arresti a tappeto. Inoltre, è in opera una macchina colossale della propaganda, soprattutto sulla tv di Stato. E molta gente ci casca, soprattutto chi è alle dipendenze dello Stato. E, per finire, in Russia le istituzioni democratiche non sono per niente sviluppate. Tutto questo rende il nostro popolo muto, senza voce. Era così anche nei tardi tempi sovietici.”
Ci sarà tempo, però, per approfonditamente discutere e analizzare la tragica corsa alla guerra persa dalla democrazia occidentale che il mondo vive con trepidazione.
Occorre superare propaganda, fake news, facilonerie, spiccioli interessi. Occorre approfondire, come ha fatto Sangiuliano, la personalità forse paranoica di Putin ed anche come ovviare alla storica convinzione russa che l’Ucraina è parte integrante della Russia e che senza Kiev la Russia non è europea ma asiatica. Non si può ignorare che il timore dell’isolamento, ereditato dallo zarismo sin dal 1500, è stato acuito dal fallimento decretato dai democratici USA dell’apertura a sistemi cooperanti con la formazione del G8, fortemente voluta dal Governo italiano presieduto da Berlusconi e da quello statunitense guidato da Bush, che dette a Mosca la convinzione di poter essere parte integrante della locomotiva mondiale. Non potrà essere messo da un canto lo studio della perdita di credibilità del “sogno” o “missione“ americana della democrazia nel mondo- esemplificata dallo scempio di Capitol Hill e dalle dichiarazioni simpatizzanti con le autocrazie, purché in funzione anticinese, di Trump-. La paura delle autocrazie d’essere battute più che dai disastri economico-sociali, dall’incontenibile desiderio di importare democrazia, ed, assieme a questa, stabilità economica e comunque benessere (si guardi alla Turchia del non affidabile Erdogan), hanno certamente contribuito ad una scelta bellica, che, con l’evidenza dei costi- benefici economici e diplomatici ha fatto deragliare il treno della razionalità. Un altro tema incidente nelle analisi prossime venture è lo studio del ruolo, neanche tanto mascherato, che la Cina esercita per isolare interessi e bisogni euro atlantici con equilibrismi diplomatici pro-russi, ma non troppo, per ergersi, come in Africa e sta iniziando a fare in Sud America, ad unica potenza planetaria “affidabile” e saggiare il terreno per l’annessione di Taiwan.
La guerra, quella vera, non si smorza facilmente quanto lo è attizzarla. Perché in assenza di un credibile Ordine mondiale tutti i problemi dei quali, e soltanto in parte, abbiamo accennato, chiedono di essere preliminarmente risolti. Il che più che difficile, è quasi impossibile. Bando alle ipocrisie! Le lentezze europee e gli interessi americani predominanti nella lenta reazione alla brutale aggressione russa hanno precipitato la situazione e decretato la vittoria di Putin, perché è assente una Autorità che decreti il “cessate il fuoco”, il ritorno delle truppe russe fuori dai legittimi confini ucraini e l’apertura di negoziati internazionalmente garantiti, giacché la Russia ha disconosciuto i poteri del segretariato generale e dell’Assemblea dell’ONU e tutte le altre parti sono, a titolo diverso, in causa.
L’efficacia delle sanzioni sarà verificabile nel medio-lungo periodo, ma nel frattempo alla faccia dei diritti e della difesa della democrazia si aprirà un contenzioso diplomatico che coinvolgerà anche stati dell’Europa del nord oggi membri della NATO e della UE.
Come prendere sul serio, sotto i bombardamenti e con l’incarceramento degli oppositori interni la dichiarazione del ministro degli Esteri, Serghei Lavrov secondo la quale anche con l’azione militare in corso in Ucraina, Mosca è pronta al “dialogo” con l’Occidente? Nelle telefonate con le cancellerie il governo moscovita continua a giustificare l’intervento in Ucraina come una misura per “assicurare la sicurezza della Russia e del popolo russo” e non rinuncia ai toni forti, minacciando di rispondere “duramente” alle sanzioni. A Mosca, volutamente, si fanno trapelare le notizie sulle manifestazioni represse dalla polizia, perché occorre dimostrare all’Occidente che la grande maggioranza della popolazione appoggia Putin, non l’appello di protesta contro l’intervento armato diffuso da una cinquantina di membri dell’Accademia delle Scienze russa e da 130 scienziati, ricercatori e giornalisti scientifici. Il Cremlino non ha sgradito la blanda raccomandazione del Patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa, che ha rivolto un “invito tutte le parti in conflitto a fare tutto il possibile per evitare vittime civili”: fare il possibile non significa riuscirci.
Nelle cancellerie europee, a Washington, in Australia, nel Canada si vivono, dopo l’offensiva, ore frenetiche. Si lavora ancora ad un pacchetto di sanzioni “molto dure” contro Mosca, come hanno confermato Mario Draghi ed Ursula Von der Leyen, la quale è convinta che “sopprimeranno la crescita economica” russa. Peccato che l’unica azione immediata, l’esclusione dal sistema bancario mondiale delle transazioni – che sarebbe costato trenta miliardi di dollari alle banche occidentali ma avrebbe davvero inciso immediatamente sull’economia russa- non è stato preso in considerazione. Perché non solo non si deve morire per Kiev ma neanche far perdere denari ai banchieri. La vittoria russa si fonda sul principio della debole reattività delle democrazie, mentre la guerra guerreggiata non attende le conseguenze economiche e nel frattempo cancella vite e indurisce le posizioni.
La questione della neutralità ucraina posta dall’Ambasciatore Sergio Romano (anche per lui vale per quel poco che conta la mia raccomandazione di leggere e studiare il suo libro “Putin e la ricostruzione della grande Russia” -Hoepli Editore-) potrebbe essere per il cessate il fuoco un buon incentivo, accompagnato a sanzioni che vengano poste fuori dal canestro degli argomenti in discussione. É che vero che le sanzioni effettivamente messe in atto costringeranno anche l’Occidente a stringere la cinghia, ma affermeranno che le democrazie non sono deboli. Romano, che fu ambasciatore a Mosca durante e poco dopo il governo Craxi, è stato un diplomatico di grande rilievo, è commentatore e pubblicista di gran classe, fu un indimenticato docente presso la facoltà di Science Politique alla Sorbona. La sua, per me condivisibile, tesi è che la soluzione al conflitto è la neutralità di Kiev; che è stato commesso un errore l’aver reso “ipoteticamente possibile l’ingresso dell’Ucraina nella Nato” in quanto “è inevitabile” aver generato “sospetti e preoccupazioni della Russia”.
Poiché è oramai evidente che il governo ucraino sarà governato da fantocci è probabile che l’opzione della neutralità sarà facilitata.
Si potrebbe aggiungere che occorre ponderare il corollario della teoria del professor Romano secondo il quale, come egli stesso ha scritto sul Corriere della Sera, poiché la Nato è un’organizzazione creata per contrastare la Russia, essendo stata conclusa la guerra fredda occorre o scioglierla o incaricarla di obiettivi diversi. Il che in sé e per sé è logicamente coerente ad una politica che non voglia essere sospettata di aggressività, soprattutto pensando all’ingresso, estraneo ai patti Gorbaciov-Casa Bianca che una manina tedesca ben a conoscenza degli interessi russi (Gerard Schröder, leader socialdemocratico tuttofare a Mosca?) ha fatto pervenire al settimanale tedesco Der Spiegel. Il fatto è che l’Unione non ha una politica unica estera e di Difesa e senza Forze Armate comuni l’invito a sciogliere la NATO rischia di favorire la prospettiva russa, dichiarata da Vladimir Putin, di ricostituire quel potere che aveva nel passato e che tanto ci spaventò all’epoca non lontanissima della minaccia nucleare di Breznev, che indusse l’occidente alla vincente e risolutiva installazione degli euro missili- causa non ultima della implosione comunista.
Le chiese cristiane, segnatamente quella cattolica e quella ortodossa che più direttamente riconosce l’autorità spirituale del Patriarca di Costantinopoli e le Chiese cristiani riformate sono unite nello sforzo di scongiurare l’aggravamento del conflitto. Ricordo come il successo della Conferenza di Helsinki sia stata fondamentale per superare l’angosciante guerra fredda. Furono utilizzati gli strumenti non soltanto della diplomazia degli stati ma anche l’impegno attivo degli organismi politici e sindacali riconosciuti dalle Nazioni Unite. Una sorta di diplomazia di “base” che coinvolse tanti, me compreso per il tramite della Internazionale Giovanile Socialista; assieme alle organizzazioni non governative fu basilare il lavoro della delegazione dello Stato del Vaticano, guidata dal poi Cardinale Silvestrini, coadiuvato da giovani diplomatici, tra i quali l’attuale Segretario di Stato.
Non c’è oggi la solidità culturale e organizzativa della democrazia rappresentativa svolta dai partiti e dai sindacati. Le pur meritevoli organizzazioni no-profit che agiscono nel mondo non hanno il riconoscimento sociale necessario per rendere possibile per la pace, la sicurezza, la cooperazione in Europa una nuova Helsinki. Amen. Questo non significa che la millenaria diplomazia vaticana e lo straordinario spirito che anima le Chiese cristiane non siano in grado di svolgere un compito che appare, come abbiamo letto, assai complesso.
Il cardinale Pietro Parolin ha lanciato un appello per il dialogo e la pace a seguito dell’invasione russa in Ucraina. “I tragici scenari che tutti temevano stanno diventando purtroppo realtà. Ma c’è ancora tempo per la buona volontà, c’è ancora spazio per il negoziato, c’è ancora posto per l’esercizio di una saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte, tuteli le legittime aspirazioni di ognuno e risparmi il mondo dalla follia e dagli orrori della guerra”, ha affermato il segretario di Stato Vaticano riprendendo le parole che il Santo Padre Francesco ha pronunciato al termine dell’ultima Udienza generale. “Di fronte agli sviluppi odierni della crisi in Ucraina”, esse “risaltano ancora più nette e più accorate – ha proseguito Parolin – Il Papa ha evocato ‘grande dolore’, ‘angoscia e preoccupazione’. Ed ha invitato tutte le Parti coinvolte ad ‘astenersi da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni’, ‘destabilizzi la convivenza pacifica’ e ‘screditi il diritto internazionale’. Questo appello acquista una drammatica urgenza dopo l’inizio delle operazioni militari russe in territorio ucraino”. Ora, esorta Parolin, “noi credenti non perdiamo la speranza su un barlume di coscienza di coloro che hanno in mano i destini del mondo. E continuiamo a pregare e digiuniamo – lo faremo il prossimo Mercoledì delle Ceneri – per la pace in Ucraina e nel mondo intero”, ha concluso.
Il messaggio può apparire, mentre cadono i missili, una testimonianza di dolorosa attenzione e di speranza nell’azione dello Spirito. Personalmente credo che non sia poco. Mi auguro che il cristianesimo, alla ricerca di un ecumenismo che è irrealizzabile senza la Chiesa ortodossa russa, possa porre i suoi buoni uffici per il cessate il fuoco anche senza il sussidio del Patriarcato di Mosca. Le Chiese possono e sanno mobilitare le coscienze e le dittature non possono resistere alla pubblica esecrazione del mondo che blocca i poteri spesso nascosti delle lobby. Il senatore Renzi è l’unico leader ex capo di governo che si è dimesso da un incarico retribuito in Russia. Gli sia dato merito. Non mi risulta che altrettanto abbiano fatto, tra gli altri, Gerard Schröder e l’ex primo ministro francese François Fillon. Un caso? Difficilmente si può ignorare che le lobby filorusse, sia a contratto che pro bono, non critichino, per lo meno, le ragioni propagandistiche dell’intervento militare.
Le ragioni di Mosca sono quelle che, con scarsa originalità e provata capacità di esecuzione, sono diffuse da decenni dal Cremlino. L’Istituto Polacco di Roma pubblicò nel 2020, in occasione del 75° anniversario dell’inizio del seconda guerra mondiale , il testo del telegramma inviato dall’ambasciatore polacco a Mosca, Wacław Grzybowski, il 17 settembre 1939 al suo governo oramai agonizzante dopo che il primo settembre le armate tedesche comandate dai generali Fedor von Bock per l’Armata Nord e Gerd von Rundstedt al comando dell’armata Sud avevano invaso la Polonia traversando i territori prussiani e l’Armata Rossa, comandata da Mikhail Kovalov, era entrata attraverso i confini bielorussi.
Ricordo per pura pignoleria, perché son sicuro che gli avvenimenti sono ben noti, che la Seconda guerra mondiale iniziò con le dichiarazioni di guerra della Gran Bretagna e della Francia alla Germania, che aveva respinto l’ultimatum di un immediato ritiro delle proprie truppe dai territori polacchi occupati. Mi soffermo sul fatto che Londra e Parigi non intimarono all’Unione Sovietica di abbandonare il vastissimo territorio della Polonia orientale sottomesso da Mosca, perché- sostennero meschinamente- che l’Unione sovietica aveva giustificato la sua azione con la necessità di salvaguardare l’incolumità degli ucraini e dei bielorussi, privati di rappresentanza governativa dopo il crollo della loro patria.
Nella notte del 17 settembre 1939, il vicecapo del ministero degli Affari esteri sovietico, Władimir Potomkin, lesse all’ambasciatore polacco Wacław Grzybowski, che si rifiutò di accettarla, una lettera nella quale il governo moscovita sosteneva che: “Il governo sovietico non può rimanere indifferente al fatto che le popolazioni fraterne ucraine e bielorusse che vivono in Polonia, siano abbandonate al proprio destino, rimangano indifese. Alla luce delle circostanze di cui sopra, il governo sovietico ha ordinato al Comando Supremo dell’Armata Rossa di ordinare alle truppe di attraversare il confine e prendersi cura delle vite e delle proprietà del popolo dell’Ucraina occidentale e della Bielorussia occidentale“.
È difficile non concordare con i rappresentanti di paesi che oggi fanno parte dell’Unione quanto ci sia di simile tra il testo pubblicato dall’Istituto polacco e la dichiarazione di Vladimir Putin, con la quale fu annunciata una “operazione militare speciale” nell’Ucraina orientale, per “proteggere la popolazione di lingua russa” di quel Paese. “Il suo obiettivo è proteggere le persone che da otto anni sono state vittime di abusi e genocidi da parte del regime di Kiev e, a tal fine, ci adopereremo per smilitarizzare e de-nazificare l’Ucraina, nonché per assicurare alla giustizia coloro che hanno commesso numerosi crimini sanguinosi contro la popolazione civile, tra i quali ci sono cittadini della Federazione Russa” – dichiarò il presidente russo.
La storia, che non cancella mai fatti e misfatti, ci ha raccontato che decine di migliaia di polacchi furono deportati dai “benefattori” in Siberia, di contro i patrioti polacchi subirono angherie inaudite e che migliaia di uomini e donne furono massacrati, come è stato tragicamente sottolineato dalle fosse di Katyn. I paesi dell’Est europeo si lamentano, giustamente, della disinformazione russa come metodo sistemico. D’altronde il recente caso dell’invasione ucraina rafforza le loro paure. È ampiamente dimostrato che l’Ucraina non ha commesso un “genocidio” nel Donbas, non ha attaccato Luhansk e Donetsk e non ha compiuto attacchi terroristici.
Se i governi europei e gli Stati Uniti non ascoltano e interpretano la richiesta di rispetto e di giustizia da parte dei paesi dell’est europeo, alla luce non soltanto dell’attualità ma anche del sentimento profondo che accompagna l’esperienza vissuta dai popoli, la guerra vinta dalla Russia si trasformerà in un trionfo ai danni del modello democratico europeo. C’è spazio per il negoziato, ma dopo la brutta figura sinora rimediata sarà bene, nell’interesse dei popoli dell’est europeo e dell’occidente, chiarire da subito il percorso da seguire e la diplomazia vaticana ha mezzi e possibilità per farne comprendere le buone ragioni.
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