L’Unione Europea, mentre si prepara a distribuire le risorse previste dal Recovery Fund per fronteggiare la crisi economica e sociale conseguente alla pandemia del Covid-19, è finita un’altra volta nel tunnel dell’indecisione a seguito del veto di Ungheria e Polonia sul pacchetto di misure, proposto dalla presidenza tedesca, che comprende l’accordo di principio sul bilancio pluriennale dell’Unione (per il periodo 2021-2027).
Secondo il deliberato del Parlamento europeo, l’erogazione dei fondi previsti nel pacchetto è condizionata al rispetto dello “stato di diritto” da parte dei paesi membri. Ungheria e Polonia vivono al loro interno una sorta di “democrazia azzoppata”, conseguenza della limitazione di libertà fondamentali, come il controllo sulla magistratura, le minacce ai giornalisti e alla libertà di stampa, il controllo di minoranze etniche.
Ungheria e Polonia nei prossimi mesi dovranno affrontare elezioni politiche, i rispettivi governi temono di perderle qualora scattasse il blocco dei fondi del Recovery Fund. Per questa ragione si sono opposte al progetto di bilancio pluriennale dell’Unione, con una scelta ricattatoria che non potrà durare a lungo, considerate le difficoltà che travagliano le loro economie, difficili da superare autonomamente.
E’ un impasse che sarà superato, ma mette in grande evidenza lo stato di difficoltà in cui può precipitare l’intera Unione di fronte ad ostacoli anche limitati. Ciò deriva dal principio dell’unanimità di voto che regola la vita dell’Ue. Da qui un problema più grande che riguarda la sussistenza dell’Unione in quanto tale e nelle condizioni attuali.
Si tratta di un problema generale, di impatto tanto vasto da richiedere una riconsiderazione sufficientemente radicale dei patti fondamentali sui quali l’Unione è stata fondata e si autogoverna.
Oggi l’ostacolo viene da due paesi in difficoltà, piuttosto isolati nei loro sistemi “para democratici”, che hanno voce debole nel contesto comunitario, ma lo fermano, anche se sarà messa a tacere allargando i cordoni della borsa.
Altra e più consistente è la fronda che viene dai cosiddetti “paesi frugali” (Olanda, Danimarca, Finlandia, Svezia e Austria) che si muovono per un sistema più rigido, basato su una visione più strettamente “finanziaria-burocratica” rispetto alla necessità di una politica comunitaria che tenga conto anche degli aspetti socio-politici che riguardano i singoli paesi alle prese con una devastante crisi sanitaria ed economica.
Sono ombre che pesano sul futuro della Comunità e, più in generale, del vecchio continente. Come e chi potrà avviare i passi necessari per rimuoverle?
C’è un avvenimento certo, l’uscita del Regno Unito a fine anno, e la proposta avanzata dal presidente francese, Emanuel Macron, in un’intervista alla rivista parigina on line Le Grand Continent (largamente ripresa dal Corriere della Sera lunedì 16 novembre), di un Europa “sovrana” rispetto agli Stati Uniti e al resto del mondo e, non ultimo, contro ogni forma di “sovranismo” all’interno.
L’uscita del Regno Unito ha rotto un tabù, nel senso che la via dell’Unione non è più a senso unico, in sola entrata, ma va anche all’indietro e se ne può uscire.
I motivi di possibile rottura sono diversi. Se si pensa all’Olanda, che guida il gruppo dei “paesi frugali”, la prima osservazione che si può fare riguarda il fatto che essa costituisce un vero e proprio “paradiso fiscale” all’interno dell’Unione che va a scapito di altri paesi membri che hanno visto emigrare là gruppi finanziari e industriali di primaria importanza. La politica dell’immigrazione con la ripartizione secondo gli accordi di Dublino che non regge più. E nemmeno è possibile assistere alle reti e ai fili spinati di Austria e Ungheria. I sovranismi, le pratiche discriminatorie verso popolazioni di altra etnìa, e quelle antidemocratiche di alcuni paesi dell’est non conciliano con i principi dell’Unione.
Il mercato del lavoro dove, come in Ungheria, rasenta condizioni prossime allo schiavismo. L’assetto dei mercati finanziari, con il corollario della presenza su di esso della Banca centrale europea (Bce) e l’emissione di titoli comunitari per finanziare il Recovery Fund, la lotta comune al terrorismo.
Sono tutte questioni arrivate al pettine e nessun paese può scappare dalle proprie responsabilità. Così come altri paesi, e tra essi l’ltalia, non può sfuggire al rispetto delle regole comuni in fatto di bilancio e indebitamento.
Tutti problemi maturi, divenuti più gravi in questi mesi di crisi sanitaria, problemi che nel prossimo futuro dovranno essere affrontati e risolti con la necessaria gradualità. Lo spettro del Regno Unito che si rinserra al di là della Manica rischia di non essere un semplice accidente.
Il presidente Macron, nella sua intervista, ha posto l’accento su punti focali dai quali non si potrà prescindere, che sia egli od altri a prendere la guida e, con essa, l’eredità dei padri fondatori della Comunità.
“Siamo un’area geografica in termini di valori, in termini di interessi, e che è bene difenderla in sé. Siamo un’aggregazione di popoli e culture diverse […]. Eppure qualcosa ci unisce.” “Non siamo – ha proseguito Macron – gli Stati Uniti d’America. Sono i nostri alleati storici, abbiamo a cuore come loro la libertà e i diritti umani, abbiamo legami profondi, ma abbiamo, per esempio, una preferenza per l’uguaglianza che non c’è negli Stati Uniti d’America. I nostri valori non sono esattamente gli stessi. Abbiamo un attaccamento alla socialdemocrazia, a una maggiore uguaglianza, e le nostre reazioni non sono le stesse. Credo che da noi la cultura sia più importante, molto di più.”
E ancora, sempre dal presidente francese, una riflessione sulla finanza. “Il funzionamento dell’economia di mercato centrata sulla finanza – ha sostenuto – ha permesso l’innovazione e una via d’uscita dalla povertà in alcuni Paesi, ma ha aumentato le disuguaglianze nei nostri. Le nostri classi medie in particolare, e una parte delle nostre classi popolari, sono state la variabile di aggiustamento della globalizzazione, e questo non è sostenibile. E’ insostenibile, e l’abbiamo indubbiamente sottovalutato.”
L’intervista di Macron suona come un manifesto per il futuro dell’Europa. Senza esagerare – se alle parole vi sarà da parte dell’Unione Europea un seguito di riflessioni, aggiustamenti e fatti concreti – si può pensare come ad una riscoperta de “Il manifesto di Ventotene” con il quale Altiero Spinelli, Ernesto Rossi (ed Eugenio Colorni, che ne scrisse la presentazione) immaginarono e predissero l’Europa che sarebbe nata dopo la seconda guerra mondiale.
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