5 novembre 1987: la Fiat dirama un comunicato ufficiale in cui dà notizia di aver inviato una lettera alla STET (società finanziaria dell’IRI che detiene le partecipazioni azionarie pubbliche nel settore telefonico, che progetta la fusione di Telettra, società del gruppo Fiat, con la Italtel del gruppo STET) in cui annuncia che la fusione Telettra – Italtel non potrà avere luogo, per la richiesta dell’IRI di nominare amministratore delegato della nuova società (la Telit) l’amministratore delegato di Italtel Marisa Bellisario.
Il comunicato della Fiat metteva fine ad una lunga vicenda, iniziata nell’agosto1985, quando tra Fiat e STET era stato raggiunto un accordo per la fusione delle due società che operavano entrambe nel settore delle telecomunicazioni.
La Telettra, più piccola ma tecnologicamente più avanzata, acquistata solo pochi anni prima (1976) dalla Fiat, era titolare di numerosi brevetti nel settore delle telecomunicazioni.
L’Italtel era nata nel 1921 come rappresentanza commerciale del gruppo Siemens; entrata nel 1950 nel sistema delle partecipazioni statali (gruppo STET), nel 1960 aveva assunto la denominazione di Sit-Siemens e nel 1980, al momento della sua ristrutturazione, il nome di Italtel, azienda con circa 17.000 dipendenti.
Al momento in cui cambiò denominazione gli impianti erano obsoleti, la manodopera esuberante, i prodotti trovavano difficilmente spazio sul mercato. Negli anni ’70 la Sit-Siemens era stata una dei punti di forza delle Brigate Rosse: alla Sit-Siemens a Milano lavoravano, Mario Moretti, Corrado Alunni, Giorgio Semeria e Paola Desuschio, alla Sit-Siemens erano nati i N.O.R.A. (Nuclei operai di resistenza armata) come diramazione combattente delle B.R., la cui nascita e presenza proprio alla Sit-Siemens, fu segnalata per la prima volta in Italia da un giornale della sinistra proletaria, il 20 ottobre 1970.
Già nell’agosto dell’anno precedente nello stabilimento di Milano della società erano stati distribuiti volantini a firma Brigate Rosse con feroci insulti per dirigenti e capo reparto. Il 17 settembre due bidoni di benzina vennero fatti esplodere contro il box dell’auto di Giuseppe Leoni, direttore centrale del personale della società.
Ai primi di marzo 1972, venne bloccato di fronte allo stabilimento e “processato” Ildago Macchiarini, altro dirigente della società; ancora nel 1985 verrà trovato nello stabilimento milanese della società un volantino a firma “Brigate Rosse”. Era una realtà che non poteva essere ignorata e che esigeva una radicale trasformazione dell’azienda contando sull’innovazione tecnologica e su un taglio del personale; nè che rischiava peraltro di aumentare la conflittualità all’interno dell’azienda.
Dal 1981 l’amministratore delegato era diventato Marisa Bellisario, una manager che per la sua qualificazione professionale e per le sue qualità umane dava garanzie in questo senso.
Nata a Ceva, in provincia di Cuneo, il 9 luglio 1935 (la famiglia era di origini pugliesi), frequentò l’Istituto tecnico commerciale e successivamente si laureò in Scienze Economiche all’Università di Torino.
Un amico del padre le fornì una presentazione per l’Olivetti: nell’autunno del 1959 ebbe un colloquio con Franco Talò, a quel tempo responsabile per il settore laureati della società di Ivrea.
L’esito fu positivo e fu inviata a frequentare per dieci settimane un corso. Nel febbraio 1960 fu assunta e destinata alla direzione commercio elettronico della società a Milano che si occupava della messa a punto dell’Elea 9003, primo esemplare di computer della Olivetti giunto alla fase della produzione industriale.
Nel 1964 la divisione fu ceduta a una società, la O.G.E. (Olivetti General Electric) di cui la General Electric deteneva il 75% del capitale e la Olivetti il 25%. Secondo De Benedetti (Ansa, 24 ottobre 2001) ciò avvenne per volontà degli americani, in cambio di aiuti alla Fiat di Valletta, con la complicità di Enrico Cuccia, Presidente di Mediobanca.
La Bellisario si trasferì negli Stati Uniti nel 1965 e vi restò fino a quando (1968) la società divenne interamente della General Electric. Lavorò al progetto Shangri-La per un elaboratore e nel 1969 passò alla Honeywall, consociata della General Electric.
Negli Stati Uniti viaggiò molto, fece mote conoscenze e acquisì una grande esperienza, ma era suo desiderio tornare in Italia, dove nel 1969 si era sposata con Lionello Cantoni, manager nel settore informatico prima all’Olivetti e poi alla Fiat e professore all’Università di Torino.
Tra le persone che incontrò nella ricerca di una nuova collaborazione in Italia ci fu anche Cesare Romiti, a quei tempi amministratore delegato dell’Alitalia: l’incontro ebbe esito positivo , cioè che può contribuire a cogliere il senso degli avvenimenti successivi.
Nel 1972 tornò a lavorare in Italia alla Olivetti con l’incarico di dirigente della pianificazione operativa e dell’informatica distribuita della società, di cui era diventato amministratore delegato Ottorino Beltrami che aveva apprezzato le sue qualità dimostrate negli Stati Uniti: il sistema GE 115, derivato dell’Elea 4001, era frutto di una sua impostazione nel campo del product planning.
Nel 1978 Carlo de Benedetti divenne Presidente della Olivetti (Adriano Olivetti morì l’anno prima) e decise di porre fine all’avventura americana della Olivetti Corporation fondata nel 1951 da Adriano Olivetti per penetrare nel mercato statunitense, Marisa Bellisario venne nominata Presidente della Società con l’incarico di risanarla ma l’incarico si dimostrerà più complesso del previsto.
La Bellisario riuscì a togliere i rami secchi della società e a risanarne per quanto possibile il bilancio ma fallì l’operazione di diffusione del prodotto Olivetti nel mercato statunitense: il divario tecnologico era troppo forte e il prodotto italiano si rivelava non competitivo.
Il rapporto con De Benedetti risulta difficile. Nel 1980 la Bellisario torna in Italia dove dopo alcuni mesi le è affidato il compito di curare i rapporti tra il gruppo Olivetti e la società francese Saint Gobain consociata della G.E., incarico che la costrinse a fare la spola tra Italia e Parigi.
Era una situazione che non durò a lungo: si dimette dalla Olivetti (il colloquio finale con De Benedetti, a quanto la stessa Bellisario raccontò fu piuttosto freddo) e nel luglio 1980 divenne condirettore generale della Italtel. L’anno successivo (25 agosto 1981) il consiglio di amministrazione la nominò amministratore della società.
E’ da rilevare che secondo quanto racconta la Bellisario nella sua autobiografia, quella carica le era stata offerta da De Benedetti, quando era stato sul punto di acquisire l’Italtel ottenendo un netto rifiuto.
La situazione della Italtel in quel momento era disastrosa: perdeva 2327 miliardi di lire l’anno con un fatturato di 503 miliardi. In pratica, ciascuno dei circa 30.000 dipendenti produceva una perdita annua di circa 80 milioni di lire. Sembrava una situazione irrimediabilmente compromessa e la messa in liquidazione della società un evento ineluttabile. II nuovo amministratore delegato la pensava diversamente: dirà nella sua autobiografia “Per una donna avere successo è più difficile ma anche molto più divertente”.
Comprese subito che per uscire dalla strettoia occorreva tagliare il personale che era nettamente esuberante, disporre di tecnologie più moderne e di mezzi imponenti per passare dall’elettromeccanica all’elettronica e cercare di fare scendere di livello le tensioni esistenti all’interno dell’azienda e la conflittualità con le organizzazioni sindacali.
Il nuovo amministratore delegato dimostrò subito di voler affrontare i problemi con tutta la volontà possibile. Già nel 1984 all’assemblea degli azionisti fu comunicato (5 giugno) l’aumento del capitale sociale da 201 a 396 miliardi.
Il bilancio segnò un utile di dieci miliardi, la diminuzione degli oneri finanziari dal 19 al 13 per cento del fatturato e una diminuzione degli addetti negli ultimi tre anni di 7000 unità, accompagnato da contratti di solidarietà, anche nella prospettiva di ulteriori necessari licenziamenti.
Al tempo stesso Italtel strinse accordi a livello nazionale con Telettra e Gte e sul piano internazionale con Cit-Alcatel e Siemens (1985) per operare un salto tecnologico nella produzione. La società aveva ottenuto per il 1984 il premio Oscar per il bilancio, ma la situazione generale era ancora carica di incertezze.
In una conferenza organizzata a Londra dal Financial Times la Bellisario sostenne rigorosamente la tesi della necessità di un sostegno della Comunità Europea alla esportazione di prodotti e tecnologie frutto della collaborazione di aziende europee.
Punto fermo della Bellisario era la necessità di vendere nuovi prodotti elettronici nei mercati dei paesi emergenti, soprattutto in Asia (Cina, India) in assenza di una forte domanda sul mercato interno.
Nel 1985, dopo di giorni di negoziato ininterrotto, fu raggiunto un accordo tra Italtel e la Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici, comprendente anche i contratti di solidarietà (orario di lavoro a 35 ore), miglioramenti salariali e politica dell’occupazione, con forme di incentivo per tutti i lavoratori, compresi i capi squadra.
Ormai la Bellisario era divenuta un manager – e un manager donna – nota in tutto il mondo, anche se le difficoltà erano state molte comprese quelle che aveva trovato, stando alla sua autobiografia, nel sistema delle partecipazioni statali, stupefatto se non contrario a che una donna facesse parte dei vertici del sistema stesso.
La sua intuizione fu quella di sostenere non già le rivendicazioni delle “femministe” con le quali entrò anche in polemica, ma l’effettiva parità di condizioni nel lavoro e nella carriera tra uomini e donne.
Quando, ad esempio, si accorse che nell’Italtel le donne laureate che lavoravano nell’informatica erano nettamente inferiori di numero agli uomini, fece mutare le lauree di riferimento in modo da favorire l’accesso delle donne alle prove di selezione.
I giornali di tutto il mondo, da Businness Week che nel 1984 ne pubblicò un ritratto espressamente eseguito, a Fortune, al Financial Times ne seguivano ormai da vicino il lavoro: era l’eccezione che confermava la regola della prevalenza maschile ai vertici dell’elettronica mondiale.
A Pechino, nel novembre 1985, la Bellisario ottenne una commessa per 30 miliardi di lire e altre commesse furono previste gli accordi con il governo cinese, ma non era ancora sufficiente a garantire un futuro sicuro all’Italtel, in un mondo che cambiava rapidamente e nel quale l’elettronica stava assumendo sempre maggiore rilevanza: occorrevano le tecnologie e gli investimenti necessari per stare al passo con i nuovi bisogni, ma i problemi erano anche altri.
Nel 1986 la relazione che il gruppo d studio per le nuove tecnologie coordinato dalla Bellisario nella Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, istituito nel 1984 e di cui l’amministratore delegato della Italtel faceva parte, mise in rilievo i problemi posti dalle nuove tecnologie a proposito del lavoro femminile e la necessità, come era già avvenuto in alcune aziende, tra cui l’Italtel, di una azione per la formazione delle donne lavoratrici a bassa qualificazione.
Era un punto di importanza fondamentale: nelle nuove professioni create dalle tecnologie avanzate le donne stentavano ad aprirsi spazi e senza interventi per la loro nuova qualificazione rischiavano entro breve tempo di trovarsi ai margini delle aziende nettamente superate dagli uomini.
Nel 1985 il fatturato Italtel non crebbe come negli anni precedenti anche se diminuirono al 4,9 del fatturato gli oneri finanziari per la riduzione dell’indebitamento. Il rischio era quello di non riuscire ad elevare sufficientemente i ricavi dei prodotti ad elevata innovazione tecnologica, mentre divenivano ormai di difficile collocazione sui mercati i prodotti elettromeccanici.
Il licenziamento di altri 1500 dipendenti nel solo 1986, per arrivare nel 1987 a circa 18000 dipendenti, comprese le nuove assunzioni di personale altamente qualificato, non era sufficiente a garantire un futuro sicuro per la società, anche se ormai proiettata largamente su mercati mondiali, compresa l’India, e in cui la tecnologia Italtel era stata prescelta per la costruzione di centrali digitali per l’area rurale.
In questo quadro iniziarono le trattative per una fusione tra Telettra e Italtel nella nuova Telit. Le vicende della trattative presentano ancora oggi a distanza di decenni alcuni punti oscuri.
Unica certezza è che trattative vi furono.
Il 4 novembre 1985, Fiat e Stet, gruppo finanziario pubblico al quale apparteneva l’Italtel, sottoscrissero un protocollo di intesa per la costituzione della nuova società, di cui il 48% del capitale sarebbe stato detenuto da Fiat, una quota uguale da Stet ed il restante 4% da una istituzione finanziaria che fu successivamente identificata come Mediobanca “per la sua collocazione nel sistema delle partecipazioni statali e per l’ampiezza di esperienza e coinvolgimento nel comprato privato della industria italiana”.
Il protocollo di intesa e quello successivo del 13 marzo 1986 vennero approvati dal Ministro delle Partecipazioni statali, il democristiano Clelio Darida, ma PCI e PSI si dichiararono subito contrari all’accordo, mentre favorevole era la DC.
Il 6 giugno 1987 alla Italtel vi fu uno sciopero indetto da C.G.I.L. e UIL contro la fusione. La motivazione era che il settore delle telecomunicazioni doveva restare sotto il controllo pubblico e che la Fiat, cedendo una società più piccola di Italtel, avrebbe di fatto assunto il controllo della società.
L’8 giugno successivo il Consiglio di Amministrazione della Italtel confermò alla carica di Amministratore Delegato Marisa Bellisario. La società nei primi sei mesi dell’anno migliorò ancora i risultati, presentando una situazione finanziaria positiva, argomento questo fatto valere da chi era contrari alla fusione.
La nuova società fu costituita ed il 2 luglio 1987 si riunì a Milano presso Mediobanca il Consiglio di Amministrazione: i rappresentanti della Stet si lamentarono per lo scarso entusiasmo manifestato per la fusione da Italtel che sembrava proseguire per la sua strada.
Il giorno successivo, Stet e Fiat trovarono un accordo sulla nomina del Presidente della società (Raffaele Pallieri amministratore delegato di Telettra, proposto dalla Fiat) e dell’amministratore delegato (Salvatore Randi, direttore generale della Stet dopo essere stato direttore generale dell’Italtel, proposto dalla Stet).
Il 2 settembre il Presidente dell’IRI Romano Prodi comunicò all’amministratore delegato della Fiat Cesare Romiti che amministratore delegato della nuova società, per scelta della Stet, sarebbe stato Marisa Bellisario.
Romiti protestò sottolineando l’atteggiamento negativo risultante dalle cronache giornalistiche della Bellisario a proposito della operazione e dei suoi obiettivi fino ad affermare che nelle “conversazioni con la Stet sul tema della futura dirigenza di Telit il nome della dottoressa Bellisario non era fatto, se non una volta e soltanto per ricordare il suo atteggiamento di eccessiva, estrema indipendenza verso il proprio azionista, un atteggiamento che la signora ha sempre tenuto a dimostrare e sottolineare”.
In altri termini, secondo Romiti, era stata proprio la Stet a escludere la Bellisario da ogni possibile incarico perché si era dimostrata incontrollabile da parte della società capogruppo. In realtà la situazione era, come dimostrarono gli avvenimenti successivi molto più complessa.
La Bellisario di area socialista, membro della Assemblea nazionale del P.S.I., aveva dimostrato di essere uno dei migliori manager nell’industria delle telecomunicazioni, aveva risanato l’Italtel e aveva progetti a livello internazionale che non coincidevano con quelli del gruppo Fiat.
Sosteneva tra l’altro la necessità di un accordo di struttura con l’americana ATST per acquisire capitale e tecnologia mentre la Fiat propendeva per accordi con la svedese Ericsson, con la quale anzi corse voce che aveva già assunto degli impegni sul piano politico.
I socialisti erano intenzionati a rompere in qualche modo la primazia che Giuliano Graziosi, presidente della Stet, democristiano, assicurava alla D.C. nel settore delicatissimo delle telecomunicazioni.
La posizione del P.S.I. era già stata chiaramente espressa da Biagio Marzo, responsabile del partito per le partecipazioni statali già nel maggio 1987 (v. Corriere della sera, 9 maggio1987).
All’inizio del mese di settembre dello stesso anno (v. Repubblica 2 settembre 1987) sia la CGIL e la CISL si dichiararono contrarie alla fusione e all’accoglimento delle proposte di collaborazione della Ericsson, mancando garanzie per i livelli occupazionali.
Il settimanale “Il Mondo” parlò di tre guerre in atto, una tra IRI e Fiat , la seconda tra IRI e Stet e la terza tra Fiat e PSI.
Prodi, Presidente dell’IRI, continuò a sostenere la candidatura di Marisa Bellisario per le sue capacità manageriali e per quanto aveva fatto all’Italtel anche quando l’accordo con la Fiat si era dimostrato impossibile (v. Repubblica, 2 dicembre 1987).
Alcuni anni dopo rivelerà che contro la Bellisario si era schierato anche Cirino Pomicino, Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei deputati, competente a proposito delle partecipazioni statali.
Il 15 settembre 1987 il Presidente della Stet Graziani, comunicò a Romiti che la Stet indicava ufficialmente la Bellisario quale amministratore delegato di Telit.
Romiti replicò con una lettera in cui affermava che la scelta contraddiceva gli impegni assunti (v. Romiti; pag. 282). Seguì un comunicato dell’IRI in cui si individuava pur senza nominarla, la Bellisario quale amministratore delegato della nuova società, sostenendo che la scelta era determinata dalle sue qualità professionali diversamente da quando sostenuto da Romiti, secondo il quale la scelta era dovuta solo a ragioni politiche ed in contrasto con le regole del mercato, che vede prevalere la capacità manageriale e non l’appartenenza politica (v. da ultimo l’intervista a Il Sole del 15 aprile 2007).
Antonio Maccanico, Presidente di Mediobanca, che deteneva il quattro per cento del capitale di Telìt, fece un estremo tentativo di mediazione proponendo una soluzione collegiale nella gestione delle società ma la Fiat fu irremovibile ed il 5 novembre inviò la lettera alla Stet con la quale comunicava la sua rinuncia “all’operazione Telit”.
Romiti affermo poi che “proprio perché è brava Marisa Bellisario non doveva farsi sponsorizzare da un partito. Doveva rifiutare. Doveva dire no al padrinaggio politico”. A contrastare la tesi di Romiti sta l’intervista (dicembre 1987) di Giuliano Amato, Ministro del Tesoro, al Corriere della sera in cui si afferma che “la Bellisario non andava bene non perché era del garofano ma perché la Bellisario era del management Italtel. Solo che queste cose sono difficili da dirsi e allora Romiti ha tirato fuori il problema politico che in quella occasione, secondo me, non c’entra proprio niente”.
Corse voce, sull’onda di una notizia pubblicata dal Financial Times, che Gianni Agnelli, Presidente della Fiat, chiese a De Mita, allora Presidente del consiglio, un aiuto a favore della Fiat nella questione Telit, ma si ritirò quando De Mita gli chiese in cambio la sostituzione del direttore de il Corriere della Sera, Piero Ostellino, ritenuto troppo legato ai socialisti: Romiti smentì decisamente la notizia (op.cit. pag.288).
La fusione di Telettra-Italtel non fu realizzata, la Fiat vendette Telettra alla francese Alcatel, il 6 novembre 1987 Marisa Bellisario, restata schiacciata fra le due parti, ma in fondo vincitrice in quanto aveva prevalso la sua tesi circa la difficoltà della fusione, fu premiata a Saint Vincent come “donna ideale leader 1987”.
Il Presidente della Repubblica Cossiga, appassionato di elettronica, l’aveva più volte ricevuta al Quirinale, il suo predecessore Sandro Pertini le aveva ripetutamente espresso il suo apprezzamento. Era ormai presente a tutte le cerimonie ufficiali in cui l’Itatel industriale era rappresentato. La sconfitta per la presidenza di Telit sembrava effettivamente nulla di fronte a tutto questo.
Il 4 agosto 1988 morì a 53 anni per un cancro alle ossa nella sua villa di Strada Mongreno sulla collina torinese: fino agli ultimi giorni continuò a lavorare con telefonate a tutto il mondo dal suo letto.
Fu sepolta nel cimitero di Ceva, nel paese dove era nata. Poco meno di un anno più tardi (giugno 1989) Prodi, presidente dell’IRI, diede notizia dell’accordo di collaborazione formato dall’Italtel con la statunitense Atest (Repubblica, 2 giugno 1989), accordo che, come aveva dichiarato il marito della Bellisario Lionello Cantoni, alcuni giorni dopo la morte della moglie (Repubblica, 23 agosto 1988) era frutto di un’intesa già raggiunta con la società statunitense di cui solo l’aggravarsi della malattia aveva impedito la firma a Londra nel mese di luglio.
Nuovo amministratore delegato di Italtel divenne Salvatore Randi già candidato ad amministratore delegato di Telettra, che nel 1994 riacquisterà dalla Atest il 20% delle azioni di Italtel per stipulare invece un accordo di collaborazione con la Siemens per la costituzione di una società con eguale partecipazione al capitale sociale che ebbe breve vita: nel 1999 infatti Italtel fu ceduta a Telecom Italia che nel 2001 ne cedette circa la metà ad un fondo statunitense. Dodici anni dopo i fatti dimostrarono che le scelte della Bellisario erano ampiamente qualificate.
Il suo testamento spirituale è nella prefazione al libro di Nando Dalla Chiesa, una ricerca sul caso Italtel pubblicata con il titolo “Dopo la fabbrica: il caso Italtel” poco dopo la morte della Bellisario.
Tema centrale della prefazione sono le difficoltà incontrate nella ristrutturazione e nel rilancio della società, in particolare a proposito della riduzione dei dipendenti: la Bellisario, afferma che “quasi tremila persone sono confluite in altre aziende del gruppo STET, non oltre 8500 addetti sono usciti dall’azienda in seguito a trattative condotte con pazienza e con comprensione dei problemi che stanno dietro ogni scelta: ricordo a questo proposito l’interrogativo di Adriano Olivetti (“può l’industria avere dei fini che non sono solo quelli del profitto?” ) per affermare che “tutti noi, imprenditori e manager, saremo chiamati un giorno a dare risposte meno evasive”.
Nel messaggio inviato dal Presidente della Repubblica Napolitano in occasione dei venti anni della Fondazione intitolata a Marisa Bellisario e sorta nel 1989 per i problemi del mondo del lavoro, dell’imprenditoria femminile e del management si sottolinea che la sua eredità nell’affermazione del principio costituzionale di uguaglianza nel mondo del lavoro è ancora attuale.
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