Si è svolta nell’isola di Procida dal 28 settembre al 2 ottobre 2020 la consolidata summer school, diretta dal prof. Luigi Mascilli Migliorini, ordinario di storia moderna all’Università Orientale di Napoli, dedicata alla storia del Mediterraneo. Questa XV edizione è stata dedicata al tema “Il Mediterraneo dei Romantici”.
L’ultima tavola rotonda ha riguardato Il “Mediterraneo circolare” (con Giulia D’Argenio, Massimiliano Ferrara, Tobias Piller, Stefano Rolando, moderati da Rossend Domènech).
Pubblichiamo le parti essenziali dell’intervento di Stefano Rolando (professore di Public Branding all’Università IULM di Milano e nostro collaboratore).
Nel tema dell’economia circolare il fattore più circolare – e anche una delle grandi molle dell’economia – è l’immagine dell’altro, cioè l’immaginario circolare.
Immaginario, ben inteso, non vuol dire “inesistente”. La grande maggioranza degli esseri umani non conosce. Immagina. E in questo c’è una montagna di “realtà” trasferita. Quindi interpretata, ritratta, raccontata, deformata, frammentata, stereotipata, magnificata, criticata. Ma questo “immaginario”, intendiamoci, muove letteralmente il mondo. Attira e respinge. Converge e confligge. Fa commerci e guerre. Per questo, nella sua immaterialità, è una parte solidissima della “realtà circolare”.
Questo vale per monumenti, piazze, città, territori, regioni, nazioni. Lo chiamiamo “patrimonio simbolico collettivo”, appunto sia materiale che immateriale. Anzi lo chiamiamo in modo più abbreviato. Oggi diffusamente, quasi senza più polemiche, lo chiamiamo brand. E per questo invochiamo anche “politiche di brand”, cioè idonee ad affrontare in modo connesso tutti i fattori di brand: storia, identità, evoluzione narrativa, percorsi di formazione dell’immagine, attrattività. Attrattività e quindi mobilità che modificano la storia, l’identità, eccetera.
Ecco quindi un’altra vera e propria “circolarità”, quella della reputazione.
Brand è cornice e base di racconto per luoghi ben definiti geo-amministrativamente. Ma vale anche per territori in qualche modo indefiniti. Dice l’antropologo Matteo Vegetti (Politecnico di Milano e Accademia di Mendrisio): “Il Mediterraneo non è né una “realtà” storica, né uno Stato, né una civiltà”. E in più che esso: “decostruisce l’identità europea, contesta la ripartizione geopolitica degli Stati nazionali, smaschera l’arretratezza del dibattito circa le “vere radici” storiche e geografiche dell’Europa. In fondo potremmo dire – conclude – che proprio il Mediterraneo è la pietra di inciampo di ogni tentativo di assegnare all’Europa un confine identitario, sia esso politico, spirituale o religioso”.
E’ molto interessante questo nostro stesso Paese – rispetto all’insorgente opinione dei sovranisti che alzano muri, rivogliono confini respingenti, soprattutto rimettono indietro le lancette dell’orologio ai nazionalismi delle guerre mondiali del ‘900 – che in verità è disegnato, con i suoi caratteri definiti nazionalmente, in spazi che sono patrimonio dell’umanità e quini indefiniti nazionalmente. Dal Mediterraneo al sud alla catena alpina tra cui quella dolomitica al nord, con due brand di forza probabilmente superiori a quelli di una nazione. La questione dei confini appassiona l’approccio di tutti gli studiosi: filosofi, politologi, geografi, letterati, e naturalmente storici. Per ciascuna di queste categorie propongo ora una breve citazione. Sono passaggi che hanno più valore delle mie parole.
Georg Wilhelm Hegel, in un passaggio delle sue lezioni sulla filosofia della storia, scrive: “Per i tre continenti il Mar Mediterraneo è fattore di unificazione e il centro della storia mondiale. Qui c’è la Grecia, il punto luminoso nella storia. In Siria, Gerusalemme è poi il centro del giudaismo e del cristianesimo, a sud ovest sorgono La Mecca e Medina, sede originaria della fede musulmana. Verso occidente si trovano Delfi, Atene, ancora più a ovest Roma; inoltre giacciono sul Mediterraneo Alessandria e Cartagine. Il Mar Mediterraneo è, perciò, il cuore del Vecchio Mondo, è la sua condizione necessaria e la sua vita. Senza di esso sarebbe impossibile rappresentarsi la storia, sarebbe come immaginare l’antica Roma o Atene senza il foro, dove tutti si radunavano».
Carl Schimtt, giurista e politologo tedesco, a sua volta dice: “Il contrasto tra la terra e il mare appare ora per la prima volta nella storia mondiale non più sotto l’aspetto della lotta per un mare interno come il Mediterraneo, bensì sotto il vasto orizzonte della visione universale della terra e dell’oceano mondiale. Esso raggiunge questa profondità soprattutto dopo il completamento della concezione della terra come corpo planetario, dunque soltanto a partire dal secolo XVI. Esso consiste, a differenza di tutti i casi precedenti che si possono osservare, come Atene-Sparta o Cartagine-Roma, nell’orizzonte del tutto diverso di una rivoluzione spaziale mondiale”.
Jean Gottmann (grande geografo ucraino, autore di Megalopolis) ci ricorda che: “L’idea di un Mediterraneo mare nostrum potrebbe e dovrebbe essere il fine concreto principale, se non unico, della politica estera dei latini unificati. Non si venga a dire che questo motto è già stato scritto sugli stendardi fascisti, certo non molto gloriosi. Il grottesco non era insito nell’idea, ma soltanto nella ridicola pretesa di poterla realizzare con i soli mezzi di un’unica e isolata nazione”.
Predrag Matvejevic (letterato più volte candidato al Nobel, di padre russo e madre croata, docente a Parigi e a Roma, da poco scomparso, autore di quel Breviario mediterraneo che Claudio Magris (che l’ha tradotto) mette in cima al capitolo “Mediterraneo”, in cui scrive: “Il Mediterraneo non è solo geografia. I suoi confini non sono definiti né nello spazio né nel tempo. Non sappiamo come fare a determinarli e in che modo: sono irriducibili alla sovranità o alla storia, non sono né statali né nazionali. […] Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa.”
E infine naturalmente Fernand Braudel: “Il Mediterraneo come un insieme di innumerevoli paesaggi abitati da civiltà vicine tra loro che hanno instaurato un sistema di influenze reciproche (egiziani, fenici, greci, romani, arabi, normanni).”
Ecco il filo rosso che ci fa dire che, al di là delle evidenze geografiche e politico-economiche che hanno inciso sullo sviluppo di questa macroregione, esiste un Mediterraneo dell’immaginario. In quanto patrimonio simbolico complesso.
A 10 anni feci il mio “viaggio in Sicilia” (da cui proveniva mio nonno materno, mentre mia nonna era di Alessandria d’Egitto, città che visitai solo nel 2000). Conobbi le palme, i fichi d’india, il mare circondante, la magna Grecia, le iscrizioni della convergenza etnica latina, greca, ebraica, araba e normanna. Cioè Il Mediterraneo e la pace.
E connesso a questo a 12 anni mio padre – i nostri padri non parlavano mai delle guerre che avevano fatto – mi ritenne sufficientemente grande per prestarmi il magnifico libro del 1956 di Will Durant sulla Grecia per le ricerche che ci venivano assegnate nella scuola media. L’ineludibile rapporto tra Mediterraneo e civiltà.
A 15 anni, poco dopo, fu per lui l’occasione di parlarmi della sua anabasi con 120 uomini dell’esercito italiano dopo un anno di resistenza insieme ai greci a Samo, per mettere in salvo a fine 1944 la sua compagnia nel periplo – per lo più a piedi – dalla Turchia alla Siria al Libano a Suez e finire alla fine in un campo di internamento inglese a Ismailia perché gli inglesi non concedevano la co-belligeranza. Il Mediterraneo, qui, come sofferenza e fuga, come storia di guerre e di libertà.
A 20 anni iniziò per un giorno a Bruxelles ma poi fu di base ad Algeri (e in altre capitali del Mediterraneo) il mio lavoro che faceva capo al commissario italiano in Europa Altiero Spinelli un una ricerca economica sulle prospettive industriali del bacino. Qui il Mediterraneo è inteso come futuro e come programmabilità, soprattutto inteso come grande responsabilità dell’Europa.
Dai 30 anni (in Rai) ai 35 anni (alla Presidenza del Consiglio, come direttore generale dell’informazione) seguii – fino al risultato infrastrutturale – il progetto dei ripetitori della Rai italiana a Sfax in Tunisia. Il primo paese europeo a trasmettere televisione in tempo reale nel Maghreb. Con trasformazioni culturali e civili, soprattutto intervenute in Tunisia enormi. Dunque il Mediterraneo come nuova regolazione delle leve dell’immaginario.
A 40 anni, raccontai a Gabriele Salvatores la storia di mio padre e quattro suoi soldati di stanza a Samo, che occuparono da soli e pressoché disarmati, la vicina isola di Furni fraternizzando poi con la popolazione. Insieme ad altre storie raccolte e ambientate a Castellorizo, Gabriele vinse l’Oscar con Mediterraneo. Diciamo il Mediterraneo come potente narrativa.
A 50 anni – da segretario generale del Consiglio regionale della Lombardia nel quadro di attuazione degli Accordi di Oslo – feci una missione a Hebron tra i maggiori comuni della Palestina, vedendo le polizie nordiche europee impegnate senza armi e con macchina fotografica in quella attuazione. Con esiti operativi modesti. E vidi poi i carabinieri italiani, parimenti disarmati ma con viva intelligenza antropologica, quella di essere profondamente mediterranei, con la cultura delle radici dei territori. Organizzavano foot-ball tra arabi e israeliani, facevano le corse nei sacchi con i bambini arabi ed ebrei, portavano le due comunità ad ascoltare Gianni Morandi, scovavano cose illegittime con il fiuto della relazione sociale, come da noi. Il Mediterraneo – direi – come responsabilità dell’Italia.
I nessi nel nostro discorso di questi brevi spunti riguardano le linee guida per una ripresa di progetto, iniziativa e stimolazione creativa (governi, imprese, media, università, sistemi creativi) per il ruolo italiano in uno dei punti più importanti ma anche più sottovalutati del rilancio della politica-europea: l’investimento nell’asse euro-mediterraneo:
La responsabilità dell’Italia non è solo del sud Italia. Perché deve essere un progetto euro-mediterranea. Lo capisco anche da milanese attento alle parole. Medium-terrarurm (Mediterraneo) e Medio-lanum (Milano), sono l’eredità linguistica di grandi crocevia connessi, da riannodare.
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