Michael Bublé ha annunciato al Daily Mail’s Weekend Magazine che intende ritirarsi dalla musica. Il suo album Love, che uscirà il prossimo mese, sarà l’ultimo della sua carriera. «Questa è la mia ultima intervista. Ho fatto il disco perfetto e ora posso lasciare quando sono ancora al top», ha detto il cantante canadese. Bublé vuole dedicarsi alla moglie, l’attrice argentina Luisana Lopilato, e ai suoi figli: Noah, 5, Elias, 2, e la piccola Vida, pochi mesi. In particolare a Noah due anni fa fu diagnosticato un cancro, oggi in remissione dopo le cure.
Allo stadio Brianzeo in tribuna ad assistere alla partita di Lega Pro tra Monza e Triestina (1-1) ieri c’erano anche Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, neoproprietari del club lombardo. «Voglio che da qui cominci il calcio nuovo, solo giocatori italiani invece di troppi nomi impronunciabili», ha commentato Berlusconi, che prima della partita era sceso negli spogliatoi a incitare i calciatori.
«Nel vecchio stadio c’è odore di vernice fresca e di pulito, via i cartelloni pubblicitari se non hanno i led, aggiunte altre luci, sostituite le panchine, tribuna vip riservata per una volta agli amici del nuovo patròn, per Monza-Triestina è un salotto di seggiole imbottite. “Sarà romantico”, hanno scritto sul muro con la vernice rossa. Però l’incanto non trasferisce il tempo, non lo riporta indietro, ci sono appena tremila spettatori in curva, più o meno come sempre» [Crosetti, Rep].
Ernesto Galli della Loggia ha contato i seguenti errori nel romanzo M di Scurati: aver attribuito a Carducci invece che a Pascoli l’espressione, coniata per l’Italia, «la grande proletaria»; aver chiamato «professore» Benedetto Croce, «che per tutta la vita gratificò di tutto il disprezzo immaginabile l’Università e i suoi professori, che fu l’antiaccademismo vivente»; aver sbagliato la data di Caporetto, aver scritto che Antonio Salandra «porta sulla coscienza sei milioni di morti» per aver deciso l’entrata in guerra, aver definito Gramsci un «politologo», aver scritto che alla Scala nel 1846 lavoravano degli elettricisti e che nel 1922 al Viminale «ticchettavano le telescriventi», aver qualificato monsignor Borgongini Duca come «ambasciatore inglese presso la Santa Sede», aver citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17 novembre 1922, quando De Sanctis avrebbe avuto 105 anni. Vi sarebbero altri svarioni «ma non mi sembra il caso di pignoleggiare». Ne segue, bocciatura per lo scrittore, anatema sugli editor, che hanno passato il testo senza minimamente controllarlo, e sui critici che, esaltando il libro, non si sono accorti di niente [CdS].
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