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Nell’agenda dell’Europa mettiamo la crisi dell’olio italiano

Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un progressivo mutamento dei mercati come effetto della recessione economica, della globalizzazione, dell’entrata di nuovi paesi emergenti, dello spostamento della ricchezza da ovest verso est. Come effetto dello strapotere del mercato dei soldi sul mercato delle merci. Come effetto della vittoria del potere degli uomini della finanza sul potere dei politici.

Correva l’anno 2014. Nulla era come prima: sei anni di recessione ci avevano messo in ginocchio, ci eravamo mangiati tutti i nostri risparmi, le famiglie erano più povere e le imprese facevano fatica a rimanere aperte. La ripresa era lenta e i consumi non ripartivano. Era necessario cambiare strada, e la speranza fu Matteo Renzi. Ma il nostro popolo, stremato dalla crisi, si sentì incompreso. Ben presto la protesta diventò rabbia e le piazze si riempirono di folle urlanti alla ricerca di un nuovo Capo. Così è maturata la soluzione più idiota, conservare ciò che rimaneva dei privilegi corporativi e una buona dose di antipolitica.

E fu il successo dei 5 stelle di un anno fa. Purtroppo un movimento che aveva avuto il merito di canalizzare i malumori dei ceti popolari e le velleità rivoltose di un ceto medio impoverito e umiliato si era trovato improvvisamente sulla soglia del governo non avendo una classe dirigente capace di governare. Sono bastati 12 mesi e il giudizio dei suoi elettori non si è fatto attendere: metà di loro si sono trasferiti armi e bagagli sul carroccio del nuovo leader leghista.

Nell’agenda dell’Europa mettiamo la crisi dell’olio italiano

Crisi dell’olio italiano, un disastro che sembra non interessare nessuno… (pixabay.com)

Come produttore di olio voglio richiamare l’attenzione dei lettori su un fatto che non trova spazio nei giornali e nelle reti televisive, di cui non si parla nei social e nemmeno nei bar. Eppure riguarda centinaia di migliaia di imprese e tutti i cittadini del nostro Paese. La scomparsa nel mercato dell’olio italiano.
Abbiamo toccato il fondo, siamo a 175mila tonnellate di olio prodotto, un quarto di quello che si consuma. È emersa, senza tema di smentita, la crisi più drammatica dell’olio d’oliva italiano. Un disastro che sembra non interessare nessuno. Salvo gli importatori/imbottigliatori di olio spagnolo di casa nostra e gli importatori di olio di semi dall’Ucraina che fanno festa insieme ai commercianti dei discount.

Che fare?

O meglio, cosa bisognerebbe fare (se avessimo un personale politico e di governo degno di questo nome)? La crisi non ci ha lasciato solo macerie: si sono affermate nuove realtà imprenditoriali, piccole imprese innovative e aggressive, capaci di intercettare nuovi bisogni e di “produrre all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”, come ha scritto Carlo M. Cipolla. Se questo è vero allora si può ripartire dalle piccole e medie aziende manifatturiere cui dovrebbe fare riscontro, anche ai fini occupazionali, lo sviluppo di una agricoltura di qualità che faccia leva sulla cultura tradizionale dei campi e su una trasformazione dei prodotti agricoli che punti sulla unicità e sulla qualità, a fare da contrappunto alla produzione massificata e priva di specificità dei prodotti dell’industria agroalimentare.

In questo contesto alcuni produttori di olio hanno puntato all’obbiettivo dare valore all’olio italiano e quindi ai frantoi artigiani. Hanno ottenuto l’albo professionale dei mastri oleari e una legge che qualifica il frantoio artigiano come produttore di olio dalle olive. Una conquista che sarà utile se si costruirà un mercato del cibo sano, buono e nutriente, garantito dalla trasparenza e tracciabilità della filiera produttiva, nel quadro del riconoscimento dei diritti dei consumatori. Ma sappiamo che la politica agricola si fa a Bruxelles e non a Roma.

Per questo ci vorrebbe che nel nuovo Parlamento Europeo e nella Commissione i rappresentanti dell’Italia si mostrassero capaci di assumere una iniziativa politica e legislativa che blocchi il monopolio dell’olio spagnolo e sostenga il recupero di produttività delle aziende olivicole e delle imprese olearie artigiane. Una rappresentanza che assuma su di se la responsabilità di difendere e rilanciare i prodotti dell’agroalimentare made in Italy. Purtroppo sembra che si occupino d’altro mentre dei problemi che interessano le imprese italiane non si sente parlare e ancora una volta prevale un mix di cinismo e opportunismo da campagna elettorale permanente che a nulla serve e che nulla risolve.

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Giampaolo Sodano

Artigiano, mastro oleario, giornalista e dirigente d’azienda, Giampaolo Sodano è nato a Roma. Prima di vincere nel 1966 un concorso ed entrare in Rai come funzionario programmi svolge una intensa attività pubblicistica come critico letterario e cinematografico. Nel 1971 è giornalista professionista. Nel 1979 è dirigente d’azienda della RAI. Nel 1983 è eletto deputato al Parlamento. Nel 1987 torna all’attività professionale in RAI ed è nominato vice-presidente e amministratore delegato di Sipra e successivamente direttore di Raidue. Nel 1994 è direttore generale di Sacis e l’anno successivo direttore di APC, direzione acquisti, produzioni e coproduzioni della Rai. Nel 1997 si dimette dalla RAI e diventa direttore di Canale5. Una breve esperienza dopo della quale da vita ad una società di consulenza “Comconsulting” con la quale nel 1999 collabora con il fondo B&S Electra per l’acquisizione della società Eagle Pictures spa di cui diventa presidente. Nel 2001 è eletto vicepresidente di ANICA e Presidente dell’Unidim (Unione Distributori). Dal 2008 al 2014 è vicepresidente di “Sitcom Televisione spa”. E’ stato Presidente di IAA. Sezione italiana (International Advertising Association), Presidente di Cartoons on the bay (Festival internazionale dei cartoni animati) e Presidente degli Incontri Internazionali di Cinema di Sorrento. Ha scritto e pubblicato “Le cose possibili” (Sugarco 1982), “Le coccarde verdemare” (Marsilio 1987), “Nascita di Venere” (Liguori editore 1995). Cambia vita e professione, diventa artigiano dell’olio e nel 1999 acquista un vecchio frantoio a Vetralla. Come mastro oleario si impegna nell’attività associativa assumendo l’incarico prima di vicepresidente e poi direttore dell’Associazione Italiana Frantoiani Oleari (AIFO). Con sua moglie Fabrizia ha pubblicato “Pane e olio. guida ai frantoi artigiani” e “Fuga dalla città”.

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