Alla fine degli anni ‘80, presso l’Atelier des enfants del Centro Pompidou, Gaëlle Bernard e Max de Larminat, direttrice e animatore del laboratorio, allestirono una simpatica mostra, una curiosità davvero divertente per i numerosi visitatori della grande galleria parigina. Anziché esporre enigmi nella tradizionale forma scritta, l’autore dispose alcuni oggetti scolpiti, intagliati o dipinti, aggiungendovene altri, lettere comprese, per ottenere insoliti risultati: una collezione di rebus-oggetto realizzata con i materiali piú disparati.
L’Atelier des enfants fu creato con lo scopo di sensibilizzare i piú giovani alle piú svariate forme di creazione e di comunicazione. Esso funzionava come un’officina nella quale venivano sperimentati progetti di ogni genere. Nel caso dei “rébus-objets” di Larminat, le lettere aggiunte, anziché apparire, come abitualmente accade in questo tipo di esercizi, quali elementi di completamento, facevano gioco comune con gli oggetti e portavano avanti il discorso con il loro assemblaggio.
Il rebus ordinario espone vocaboli e frasi attraverso oggetti e lettere aggiunte e in esso raramente esiste un rapporto tra il complesso raffigurato e le frasi che nasconde: nei giochi dell’Atelier, invece, parole ed oggetti si ritrovavano complici per raccontare la stessa storia. Si trattava di una serie di composizioni, dalle quali andavano estirpandosi vocaboli o frasi piú o meno “fatte”, pure approfittando delle enormi possibilità offerte dalla lingua francese con le sue sorprendenti omofonie. Cosí, ad esempio, un oggetto prismatico in legno, per un tratto intagliato a mo’ di metro rigido e per un altro intarsiato a foggia di treccia, nascondeva misteriosamente il suo titolo-soluzione:
mètre – tresse = maîtresse
E ancora: una poltrona in miniatura, con un ‘3’ “seduto” su di essa, permetteva di trasformare la “scultura” nella frase-titolo:
le siège de trois = le siège de Troie
Altri rebus oggetto venivano presentati all’ingresso della sala mediante un montaggio audiovisivo realizzato dagli “Ateliers d’arts plastiques de la Maison de la Culture de Loire Atlantique” e, poiché la mostra occupava gli spazi abituali dell’Atelier des enfants, era stata còlta pure l’occasione per sollecitare ancor piú l’interesse dei piccoli visitatori: questi erano invitati a giocare con una penna elettronica per rispondere a facili quesiti, tutti in attinenza con i rebus oggetto dell’esposizione.
La novità che incuriosí molto i visitatori della mostra era costituita principalmente dalla maniera con la quale venivano proposte quelle divertenti stranezze, quei giochi di parole illustrati: una maniera tanto concreta da realizzare dei veri e propri “rebus-oggetto”. Certamente non era nuova la struttura dei giochi esposti, addirittura abituale per chi ha dimestichezza con le meravigliose omofonie della lingua francese.
Intere composizioni di versi, infatti, possono essere costruite, infatti, in tale lingua, in modo da significare due cose distinte, pur conservando la medesima pronuncia. Louise de Vilmorin fu poetessa validissima anche in simili acrobazie linguistiche, molte delle quali vennero riunite in una graziosissima raccolta intitolata L’alphabet des aveux. Queste sue due strofe presentano, ad esempio, verso per verso, la stessa lettura fonetica; il senso è invece completamente diverso.
S’EN VA L’HEURE
Au long des mois
par la Savoie
six reines, alors riant.
Paraissaient.
L’une, saoule et nue
et tard, osa ces mots: «S’en va l’heure
Oh, l’onde et moi»,
parla sa voix
«Sirénes à l’Orient
paraissaient!
Lune sous les nuées,
ta rose a ses maux
sans valeur!».
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