Mi piacerebbe capire cosa mi e ci spinge a confidarci con i social, cosa ci porta ad usare i post come messaggio nella bottiglia, come un mezzo di comunicazione anche con l’Aldilà. Non per peccare di modestia ma non mi sento così stupida da credere che le persone che non ho più mi possano leggere sui miei profili social, eppure li uso tantissimo per raccontare a chi mi sorride da lassù cosa mi accade.
Sono una grafomane, lo ammetto, una chiacchierona, logorroica, un fiume in piena quando si parla di emozioni, opinioni, politica, sentimenti, ma oggi mi sono resa conto che io affido ad i miei post qualcosa che dovrebbe essere più intimo. Certo, riflettendo io non ho particolari segreti, ma perché scrivo a mio padre, a mio zio, ad amici speciali che tanto mi mancano attraverso uno sfondo colorato, con o senza foto? E perché come si usava in altre epoche non entro in una chiesa e non provo nel silenzio a parlare con loro?
Non credo di essere l’unica a farlo, è vero cerco il contatto e sento la vicinanza di chi mi manca in luoghi particolari, sulla spiaggia e nel mare pensando a mio padre che mi ha insegnato ad amare, sole, mare e spiaggia, nelle manifestazioni politiche, alle conferenze mi commuovo pensando ad uno zio speciale. Quando vado a Napoli, troppo poco, piango di commozione per la mia città, per non parlare di quando vado in Iran e si aprono le cascate dei ricordi, dei sapori e degli odori e piango prima di atterrare, per non parlare di quando parto.
Cosa è cambiato nel nostro modo di comunicare non solo verso l’esterno ma verso il nostro intimo, cosa ci spinge a voler cercare nuove strade per arrivare a rivivere ricordi, a portare in vita delle persone che ci hanno lasciato. I ricordi di Facebook, di Instagram, di Twitter ci fanno da diario di bordo, ci fanno ricordare momenti particolari e casuali, memorie di eventi che magari abbiamo rimosso o che abbiamo dimenticato. I social sono entrati nelle nostre vite ed hanno sostituito i nostri bigliettini, le lettere, la risposta è per lo più immediata e non viviamo ansie, stress da attese, ma la sorpresa c’è sempre.
Io che sento enorme la mancanza di mio padre e di mio zio, fratelli in tutto non solo di sangue, scrivo a loro attraverso post spesso colorati, condivido immagini e ricordi che non voglio svaniscano perché ho sempre avuto paura di dimenticare non i visi, ma le espressioni, la mimica. Mi manca la voce, le risate, gli abbracci e i baci, ma la tecnologia a questo non ha ancora provveduto e ci rimane la possibilità di non perdere la memoria. La memoria che rischiamo di perdere, per paradosso al contrario, perché affidiamo tutto ad apparati elettronici, più password, più numeri ma tutti memorizzati non nelle nostre teste ma su mille foglietti cartacei e su tante “note” sui nostri cellulari, computer etc.
E così oggi che avrei fatto una telefonata fiume a mio padre per raccontargli una bella cosa che è accaduta a mio figlio, suo nipote, che lui ha cresciuto sino a che ha potuto con un amore incredibile, che faccio? Scrivo su Facebook, conscia di essere matta.
E allora sposo un bellissimo verso di Goethe :”Il mio desiderio sarebbe che, per tutta la giornata, tu ti aggirassi invisibile accanto a me, e poi, la sera, quando sono solo, tu ti staccassi dalla parete… “
Apollo e Dafne (Ovidio, Metamorfosi, libro I). “Fer pater… opem… qua nimium placui mutando figuram!”.…
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