Il prossimo 14 settembre nuova manifestazione a Roma delle organizzazioni agricole per la difesa dell’olivicoltura. Già si sente il buon vento dell’allegro e spensierato carnevale, quel tempo in cui ogni scherzo vale. Ma visto il momento che viviamo – e la storia che sta alle nostre spalle – ho deciso che non indosserò il gilet del “protestante” made in france in salsa pugliese. Non si può – da una parte scrivere che al Senato e al Quirinale si è calpestata la dignità di coloro che coltivano la terra e nei frantoi producono l’olio mentre il ministro Centinaio da “buca” il 31 gennaio agli olivicultori di Puglia – e dall’altra organizzare un’altra inutile trasferta a via xx settembre per il giorno degli innamorati. Si finisce per ripetere il copione di una commedia all’italiana che abbiamo già visto tante volte: un tavolo, un elenco di promesse, un piano olivicolo e uno stanziamento di x milioni di euro che come per tutti i piani precedenti finiscono nelle casse di enti e associazioni, in qualche bilancio pubblico da sistemare con una unica certezza: quando tutti i soldi saranno stati spesi ci si accorgerà che non è stato piantato nemmeno un olivo (come è accaduto con l’attuale piano olivicolo). Non è accaduto per caso che nella seconda metà del secolo scorso sia nata nel nostro paese la più importante industria di confezionamento di oli d’oliva e di semi, logica conseguenza delle intese tra la confindustria di Costa e la Coldiretti e degli accordi fatti a Bruxelles a favore della Spagna, negli anni ’60.
E’ stata una scelta politica di tutti i governi sotto tutte le bandiere. Per condurre una battaglia con una strategia che corrisponda alla posta in gioco (estinzione dell’olio italiano) è necessario innanzitutto avere chiari i termini del problema: sappiamo che non si è mai arrestato il fenomeno dell’abbandono della coltivazione dell’olivo e sappiamo che nessun piano olivicolo fino ad oggi ha determinato nuove piantagioni di olivi. Il mercato dell’olio in Italia è da sempre un mercato
fiorente nel senso che i cittadini consumano più grassi vegetali che in ogni altro paese del mondo. A fronte di questo la produzione dell’olio in Italia è progressivamente andata scomparendo (siamo arrivati a 170.000 tonnellate). La domanda che ci dobbiamo fare è “come è potuto accadere?” Io penso che la responsabilità sia politica nel senso che sono state fatte scelte a Roma e a Bruxelles che hanno favorito l’import di olio e l’industria di confezionamento. Se così stanno le cose è inutile e dannoso continuare su strade già percorse. La battaglia per la difesa e lo sviluppo della produzione nazionale di olio dalle olive deve partire dalla realtà delle cose e non dalle chiacchiere che si fanno intorno ai tavoli di via xx settembre o a palazzo Rospignosi. Più che proteste, riunioni e piani olivicoli, servono idee e progetti innovativi. Se si hanno.
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