Nei telefilm americani avevamo appreso, qualche decennio fa, che in un certo punto della sala dei venditori di panini con le polpette, pardon hamburger, c’era la fotografia di un ragazzo/ragazza. All’inizio molti non ci fecero caso, poi non ci facemmo tante domande, forse erano cose di contorno, forse dei vezzi, insomma un aspetto della scenografia. Inutile domandarsi troppe cose senza senso apparente, mentre segui la trama dello sceneggiato. Invece non è così, e dobbiamo sempre esserne coscienti: nelle società governate dai mass media la costruzione filmica mira sempre a costruire il “contorno di senso” della vita.
In una puntata di non so bene quale serie e per una qualsiasi circostanza banale, apprendemmo tutti che quella foto, in realtà, era la fotografia di uno dei lavoranti del negozio e che era lì solo perché per quella settimana (o mese, a secondo della catena dei negozi) lui/lei era considerato/a – dal coordinatore del lavoro per la catena o dal padrone del negozio (cambia un po’, ma cambia solo soggettivamente per il tipo che fa la scelta, non per chi la subisce) – il “lavoratore della settimana”. Si era “guadagnato” sul campo, con l’esempio dell’obbedienza e dell’efficienza, il prestigioso titolo di lavoratore della settimana, con relativa “mancia a rimborso”. Forse, e dico forse perché realmente non so come andarono le cose, il modello era giunto fino ai lidi della patria del capitalismo dalle lontane rive dell’esperienza sovietica. Il problema di ogni economia (anche quella socialistico-sovietica) era ed è sempre quello di aumentare la produttività del lavoro.
Aleksej Grigor’evič Stachanov incarnò fisicamente il desiderio del “potere economico”. Il minatore russo ideò una forma di estrazione e di trasporto del carbone riuscendo ad aumentare la produttività della squadra di lavoro fino a ben quattordici volte, battendo ripetutamente il record del numero di tonnellate di carbone estratte in un turno di lavoro. Il record fu stabilito il 31 agosto 1935 quando Stachanov raccolse 102 tonnellate di carbone in 5 ore e 45 minuti. Nell’URSS il 31 agosto divenne il “giorno del minatore di carbone”. Il lavoro di Stachanov (e l’assunzione della logica sottostante, cioè l’aumento progressivo della produttività) ebbe un grande riconoscimento dal governo sovietico. Le sue invenzioni furono adottate in altre miniere e Stachanov fu celebrato come “lavoratore modello”, dando origine a quello che fu chiamato lo stacanovismo, fenomeno volto ad aumentare la produttività incoraggiando i lavoratori, sia a livello propagandistico, sia tramite incentivi. Ecco la logica: emulazione (come lezione/apprendimento mirante a rendere “naturale” la logica produttiva sottostante) più incentivi.
Senza grandi clamori e senza che nessuno di noi, probabilmente, avesse avuto l’intuizione, la logica stacanovista era giunta nel cuore della civiltà capitalistica: l’industria delle polpette! La dialettica panino/polpetta innescava la immancabile sintesi: lavora aumentando la produttività (e, quindi, senza reclamare troppo sul piano dei diritti, dei tempi, della dignità relazionale, del salario, ecc…), renditi “modello” per gli altri lavoratori e io ti riconosco l’esposizione pubblica della tua “qualità”, della tua adesione alla logica sistemica e “anche” un po’ di salario in più.
La logica di Stachanov, che in teoria mirava al rafforzamento di un modello economico che doveva puntare all’edificazione di una società di liberi e uguali, alla produzione di risorse per rendere indipendente, autonoma e forte un’esperienza politica di liberazione dallo sfruttamento (o almeno quello era lo scopo di valorizzazione delle innovazioni produttive) si trasformava nel suo atto contrario, quello dell’aumento dello sfruttamento e della compressione dei diritti sociali. Il fatto che quell’esperienza assurgesse agli onori della rappresentazione mediatica, che giungesse a farsi spettacolo di se stessa, rappresentava la potenza, la capacità di sussunzione dell’atto stesso.
Per anni, dentro di me, quella cosa rappresentò la dimostrazione pratica, lampante, esplicita di come il lavoro potesse essere ridotto a merce e a una merce con scarsa qualità e nessun diritto. Un po’ tutti, però, pensavamo che, da questa parte dell’Atlantico, tale logica non avesse alcuna chance. Il nostro mondo europeo era distante da quello americano (e anche da quello sovietico…). Quando vidi i primi esempi di “importazione” del modello qui da noi rimasi prima incredulo e poi quasi indifferente. Percepivo quella cosa come “esterna” alla nostra logica di vita e quei modelli ben lontani da poter mettere le radici nei rapporti sociali, nelle esperienze lavorative italiane ed europee.
Avevo archiviato questa esperienza in un angolo della mia vita fino a quando non è apparsa una notizia su La Repubblica. In realtà si tratterebbe di una meta-notizia, di una notizia sul mondo della produzione delle notizie stesse. Anzi, si tratta di una notizia di Repubblica su Repubblica stessa, una sorta di “meta-repubblicata” potremmo dire. Del resto, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, ha dato ampie possibilità di far parlare di se stesso in questi mesi. L’acquisizione della testata da parte della famiglia Agnelli e i cambi nelle direzioni delle testate hanno sconvolto un sistema di relazioni consolidato tra interessi privati (quegli degli azionisti che vendono i giornali e decidono i contenuti) e interessi collettivi (quelli dei lettori orientati culturalmente e politicamente intorno alle fonti delle notizie). Ma il nuovo direttore è andato ben oltre, facendo germogliare nel quotidiano-partito (come è stato per lungo tempo additato quello de La Repubblica), le radici del negozio di “panini con le polpette”. Il neo-direttore, infatti, ha avuto la geniale idea di lanciare per la sua redazione “il premio del direttore“. Sulla scia dei venditori di polpette, il direttore Molinari premierà ogni settimana il miglior venditore di polpette, pardon di notizie, della sua redazione. Ed elargirà la bellezza di 600 euro di premio (l’equivalente del sussidio per chi non ha lavoro che il governo ha erogato in tre mesi a un cittadino travolto dalla crisi del Covid-19).
Io non so se la cosa, proprio in questo momento, sia più di cattivo gusto nel segnalare la differenza di “casta” tra il mondo giornalistico e la realtà della società che si vorrebbe raccontare o illuminare con la produzione delle proprie polpette, pardon notizie, o sia più d’interesse per l’Ordine dei Giornalisti per il rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia che dovrebbero presidiare.
Per ora posso solo immaginare l’angolo della parete della redazione ove, a turno settimanale, saranno esposte le foto del vincitore. Una richiesta sorge spontanea: fatecelo sapere anche a noi, mettete la foto in terza pagina (quella che una volta era della cultura) con la motivazione e la cifra vinta. È un problema di informazione al lettore.
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